Il 2 ottobre 1943, 80° anni fa, mentre la Danimarca si trovava sotto occupazione tedesca, i nazisti decisero di attuare un raid per catturare e deportare tutti gli ebrei presenti nel paese. Si trattò del raid nazista più fallimentare nella storia della Shoah, grazie alla grande resistenza nonviolenta della popolazione danese. Questa viene raccontata da Andrea Vitello, autore di Pressenza, nel suo libro con la prefazione di Moni Ovadia, intitolato “Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca”. Pubblicato dalla casa editrice Le Lettere, si tratta di un saggio storico frutto di una rigorosa ricerca scientifica.
L’argomento principale del libro è il salvataggio degli ebrei della Danimarca, iniziato il 2 ottobre 1943, giorno in cui il raid nazista fallì, fino alla fine di ottobre/inizio novembre quando tutti gli ebrei furono trasportati in Svezia. Anche gli ebrei apolidi vennero protetti così come coloro che furono catturati e deportati nel campo di concentramento/ghetto di Theresienstadt. Il tutto fu reso possibile anche grazie a Georg Ferdinand Duckwitz, nazista tedesco della prima ora, che avviserà della data del raid i membri del partito socialdemocratico danese, permettendo così di far nascondere tutti gli ebrei. Anni dopo la guerra Duckwitz sarà riconosciuto come Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem.
Il libro racconta in modo dettagliato la resistenza nonviolenta danese, la quale iniziò subito dopo l’occupazione tedesca del paese. Inizialmente consistette nello stampare volantini e giornali clandestini, ma in breve tempo coinvolse molti aspetti della società. L’obbiettivo della Germania era quello di nazistizzare la società danese, ma non vi riuscì. Infatti, per fare un esempio, quando i tedeschi favorirono l’uscita a Copenaghen di un giornale antisemita, sul modello del «Der Stürmer» di Julius Streicher, questo fu costretto a chiudere per le poche vendite. Anche le mostre di letteratura così come le proiezioni di film di propaganda antisemita, vennero chiuse per mancanza di pubblico. Tra le varie forme di resistenza nonviolenta vi era anche quella di voltarsi dall’altra parte quanto suonava la fanfare tedesca o di lasciare i locali, bar – librerie- ect, fin quando i tedeschi non se ne erano andati. Quando la Danimarca era sotto occupazione nazista, il suo governo si rifiutò più volte di considerare la “questione ebraica” e di introdurre la legislazione antisemita, nonostante le pressioni tedesche. La resistenza nonviolenta danese mutò nell’estate del 1943, dopo le sconfitte dei nazisti a Stalingrado ed El Alamein, rimase nonviolenta ma passo anche agli scioperi e ai sabotaggi. Quando si venne a scoprire del raid nazista la popolazione danese prima nascose gli ebrei e poi li trasportò in Svezia, a rischio della propria vita. La resistenza danese cominciò ad organizzarsi proprio per salvare gli ebrei. Nel saggio vi sono molte storie e testimonianza.
Spesso quando sentiamo parlare di resistenza, soprattutto all’interno della seconda guerra mondiale, sentiamo raccontare solo della resistenza armata, come se quella nonviolenta non fosse esistita. Invece vi sono state moltissime forme di resistenza nonviolenta, compresa quella danese, durante questo periodo storico che, però volutamente non vengono raccontate soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado.
Questo libro ha il privilegio, per la prima volta in Italia, di farci conoscere in modo dettagliato la resistenza nonviolenta danese, la quale dovrebbe essere ben raccontata, come le altre, nelle scuole per far capire alle nuove generazioni come esista anche un modo nonviolento di fare resistenza e non per questo sia meno efficace di quello violento.
Infine devo dire che sono rimasto molto colpito dalla definizione dell’autore di “normalità del bene”, data dal fatto che siccome per i danesi aiutare gli ebrei era un’azione normale solamente 22 di loro sono stati riconosciuti come Giusti tra le Nazioni, perché gli altri non hanno fatto pervenire il loro nome allo Yad Vashem. Questo dimostra come sia possibile costruire una società basata sull’umanesimo e sulla tolleranza in grado di accettare ogni comunità, dove aiutare gli altri è una cosa normale invece di un qualcosa per cui richiedere dei premi o degli encomi.