“Uscire dalla guerra! E uscire dalla NATO, uscire una volta per sempre!…” Questo in estrema sintesi il messaggio emerso dalla partecipatissima ‘Tre giorni per la pace” che si è tenuta dal 22 al 24 settembre al Centro Internazionale di Quartiere in zona Corvetto-Porto di Mare a Milano. Una tre giorni impegnativa, densa di contenuti, stimoli, proposte, interventi di alto profilo, e soprattutto importante perché frutto dell’impegno di oltre trenta organizzazioni che da qualche tempo hanno deciso di convergere all’interno di un “Coordinamento per la Pace – Milano”: viene facile dirlo alla luce del successo riscontrato nel week end … ma “non è cosa facile, anche sul fronte della pace ci sono mille distinguo e divisioni, tocca impegnarsi”, come hanno più volte sottolineato gli organizzatori.
E dunque: ancora più convinti applausi alla compagine che si è impegnata, che è riuscita a superare le immaginabili difficoltà di partenza e di percorso – e che è infine riuscita a portare in porto (Porto di Mare, appunto) questa tre giorni di incontri tutti seguitissimi (trovate il programma e una prima recensione qui e qui).
“Mi chiedi come siamo arrivati a queste tre giornate, e beh sarebbe interessante chiederlo a ciascun referente delle organizzazioni che si sono date da fare” mi dice Patrizia Varnier, attivista/poetessa che avevo già visto in azione nel febbraio scorso, con un riuscitissimo evento in Piazza della Scala, all’interno di quel mosaico di interventi promosso da Europe for Peace in collaborazione con questa stessa testata. “Ricostruire la pace – manifestazione in prosa, musica e poesia”, questo il titolo di quella piccola/bella cosa dinnanzi a Palazzo Marino, con la partecipazione della “Banda degli Ottoni” e vari interventi che si avvicendavano al microfono.
“Idea non solo mia, animata dall’intuizione che fosse possibile mettere insieme voci e soggetti diversi lungo il fil rouge della poesia, accomunati dalla stessa urgenza di pace, in un mondo sempre più violento e conflittuale. E dunque appunto “Ricostruire la Pace”, partendo dalla consapevolezza di qualcosa che è stata distrutta e per essere ricostruita richiede il contributo di tutti…” nel senso proprio di poiesis, parola/concetto greco che ha in sé il significato di costruzione.
Aderirono un tot di organizzazioni: Lega Disarmo Unilaterale, Rete Corpi Civili di Pace, Cub, Mondo senza Guerra e senza Violenza e altre… a un certo punto arrivò anche il nutrito drappello di coloro che, nello stesso pomeriggio, si erano auto-convocati nella vicina Piazza Liberty per l’ennesima manifestazione per Julian Assange, davanti al Consolato Americano: Leonardo Cribio, portavoce del Comitato per la Liberazione Julian Assange Italia, Lorena Corrias, protagonista di quegli eventi che ogni sabato nella piazza più centrale di Como “rappresentano” nel perimetro di un tappetino che misura come la cella del Carcere di Belmarsh, la durezza della persecuzione che Assange sta scontando da anni, per il crimine di aver detto la verità… Il tutto si concluse con la rinnovata urgenza di uscire dall’impasse, di fare qualcosa.
Sì ma… come?
Innanzitutto superando le divisioni che minano il successo delle tante iniziative che ogni mese succedono qua e là, e non riescono a fare massa critica, non riescono a incidere, non riescono a contrastare il decorso sempre più inesorabile di conflitti che non accadono per caso, ma sono frutto di precise scelte politiche, di vere e proprie regie – nella più totale indifferenza di quel che pensa o vuole la maggior parte della gente, ormai priva di rappresentanza, sempre più irrilevante in termini di ‘pubblica opinione’.
Ecco spiegate (anzi, accennate) le premesse che hanno creato le condizioni per questa Tre giorni, “rinnovando a ogni nuovo incontro la consapevolezza che possono esserci delle differenze, che sulla genesi di questo conflitto russo/ucraino possono esserci punti di vista molto diversi, ma non possiamo non essere tutti consapevoli della pericolosità della situazione. Tutti ci mettiamo in gioco con fatica e non ci arrendiamo, continuando a lottare per un mondo diverso rispetto a quello attuale, per un mondo di pace” ha ribadito nella giornata conclusiva di domenica Marcello Gentile, nel ruolo di conduttore di un confronto per niente facile tra il giornalista/saggista Manlio Dinucci (in collegamento remoto) e Marco Tarquinio (ex direttore, ora editorialista de L’Avvenire), invitati ad esprimersi su “Storia e prospettive del movimento per la Pace”.
Tema tutt’altro che facile per le tante condizioni cui è soggetto il concetto stesso di Pace, in un mondo che è sì emerso dai due sanguinosi conflitti mondiali che hanno inaugurato e poi sfigurato il ‘secolo breve’ (se solo pensiamo all’atomica di Hiroshima e Nagasaki che ha di fatto messo fine alla guerra, come ha ricordato Marco Tarquinio); ma che ora si ritrova diviso più che mai in blocchi, dilaniato da ben 182 conflitti (“davvero troppi per un pianeta che conterebbe non più di 200 nazioni”!), con un’Europa sempre più ostaggio di una cosiddetta “alleanza atlantica”, che (soprattutto per l’Italia) significa servitù militari, l’onerosa ospitalità di basi perennemente attrezzate alla “guerra infinita”.
Per non dire delle testate atomiche con cui (in quanto aderenti al Trattato di Non Proliferazione Nucleare) non dovremmo avere nulla a che fare… per non dire del MUOS… per non dire delle conseguenze economiche, dell’impossibilità di far fronte agli investimenti che sarebbero necessari in termini di welfare, salari, pensioni, politica energetica – e che passano in secondo piano rispetto all’ulteriore invio di armi in Ucraina, per alimentare una guerra che (ci dicono gli stessi analisti della Difesa USA) non ha alcuna probabilità di essere vinta militarmente, e perciò è destinata solo a proseguire, con sempre più morti, soprattutto ucraini (oltre 400.000 morti, oltre ai 100.000 morti russi), sempre più fiorente crescita per chi le armi le produce (un mercato che “valeva” 1980 miliardi euro nel 2020 e arrivato a 2240 nel 2022) e sempre più miseria, incertezza, lacerazioni culturali per i cittadini di un’Unione Europea sempre più vessata e divisa.
E dunque? “Io continuo a dichiararmi federalista” risponde Marco Tarquinio. “Per me è chiarissimo che dovrebbe esserci più Europa invece di più NATO. E invece è il contrario: su 27 Stati che aderiscono all’Unione, 23 sono membri della NATO…”
“E come sappiamo la NATO è il braccio armato degli Stati Uniti” gli fa eco poco dopo Manlio Dinucci. “Quindi le scelte dell’Europa sono in tutto e per tutto condizionate dalla politica estera USA, per ‘tradizione’ guerrafondaia… E come ben sappiamo all’orizzonte del conflitto russo-ucraino, c’è quello ben più decisivo ed ‘epocale’ con la Cina, già ufficialmente dichiarata nei documenti USAcome la più grossa minaccia per l’egemonia americana…(…) Poco fa abbiamo solo accennato alle atomiche di Hiroshima e Nagasaki, ma ci stanno arrivando in casa le bombe B6112 che sono testate nucleari di inimmaginabile potenza, in spregio alla Costituzione, azzerando ogni vincolo di consultazione con il Parlamento. Una situazione inaccettabile…”
“C’è un grosso problema di rappresentanza politica, è vero, ma non possiamo dimenticare le centinaia di migliaia di persone che il 5 novembre scorso hanno riempito Piazza San Giovanni a Roma e tutte le strade circostanti, un vero e proprio sciame” ha poi sottolineato Tarquinio. “E c’erano pure gli ucraini a dire No alle Armi, e dunque: il movimento per la pace è fatto di persone diversissime e a volte anche divise… ma non è questo il tempo di limitarsi ai post sui social, non smettiamo di esserci, non smettiamo di confrontarci, non smettiamo di riconoscerci nelle nostre diversità.”
Un confronto rappresentato nella tavola rotonda che ha poi concluso la giornata, con una carrellata di interventi e proposte da vari punti ‘caldi’ della Lombardia (in particolare da Brescia, data la vicinanza alle basi di Ghedi e Aviano) che ci ripromettiamo senz’altro di seguire.
Tutti gli incontri della “Tre Giorni per la Pace a Milano” sono disponibili in streaming al link
https://linktr.ee/coordinamentopacemilano