Le scuole sono cominciate da circa una settimana, settimana che in teoria ha coinciso con la settimana europea della mobilità sostenibile (SEM). Eppure il traffico motorizzato, davanti le scuole, torna a mostrarsi prepotente.

Se in molti paesi europei le strade scolastiche (zone pedonali davanti alle scuole) sono la norma, in Italia siamo ancora molto indietro.

L’Italia sconta una assuefazione all’auto che gli deriva dal predominio dell’industria automobilistica e delle scelte dissennate dei governi di destra e sinistra che hanno dismesso mezzi pubblici e inculcato il mito dell’auto simbolo di libertà.

Così l’Italia è il secondo paese al mondo col più alto tasso di motorizzazione (dopo gli USA) con circa 67 auto ogni 100 abitanti (bambini compresi). In pratica un’auto ogni maggiorenne. L’abitudine di accompagnare i figli fin davanti al portone della scuola ha assunto le dimensioni di una piaga sociale, che peggiora di generazione in generazione. Se fino agli anni 80-90 era normale vedere bambini che andavano a scuola a piedi da soli, ora i bambini non possono farlo per la quantità di auto (sempre più grandi) che percorrono le strade, in una spirale che si autoalimenta.

Le conseguenze sono inquinamento, smog, proprio nei luoghi più frequentati dai bambini,ma soprattutto rischio di incidenti, insicurezza e mancanza di spazi per giocare e zero autonomia nel percorso casa scuola.

Nel 2019 è partita la Campagna Strade scolastiche, grazie ad alcune mamme e papà di buona volontà supportati da varie associazioni per la mobiltà sostenibile.

Nel novembre 2020 una interessante ricerca del Politecnico di Milano analizzò 400 scuole milanesi e lo spazio fuori di esse (“sagrato scolastico”) denunciando uno spazio urbano a uso e consumo di auto e poco ospitale per pedoni e piccoli ciclisti.

“La città bella insegna bellezza, la città brutta insegna paura e diffidenza. La fragilità urbana diventa fragilità culturale. Dilatare e qualificare la città pubblica davanti alle scuole diventa quindi una proposta progettuale, urbanistica e politica” diceva lo studio.

I benefici delle strade scolastiche sono evidenti ma non è tuttora facile farli comprendere, sia ai genitori, compressi nella loro routine frenetica, sia ai decisori politici, spaventati di perdere il consenso.

La campagna Strade Scolastiche è oggi portata avanti anche dalla Clean Cities Campaign, una coalizione europea di oltre 70 ONG, associazioni ambientaliste, movimenti di base e organizzazioni della società civile che ha come obiettivo una mobilità urbana a zero emissioni entro il 2030.

Le zone pedonali intorno alle scuole, oltre a ridurre lo smog, che affligge le vie respiratorie dei bambini in proporzione molto più che gli adulti, si riduce il traffico, il rischio di incidenti, si incoraggia lo spostamento casa-scuola in bicicletta, a piedi, si libera lo spazio e si facilita socialità e autonomia. Attualmente le strade/zone scolastiche possono già essere realizzate utilizzando gli strumenti classici del divieto di transito, della zona a traffico limitato o dell’area pedonale, in determinate fasce orarie, come già molti Comuni stanno facendo, ma a macchia di leopardi e servirebbe una legge a livello nazionale che obbliga i comuni a realizzarle davanti ad ogni scuola.

A Faenza, la mia città, la situazione è come in altre città, a macchia di leopardo. Alcune strade scolastiche esistenti lo scorso anno non sono più sorvegliate, a causa della scarsità di volontari, finanziamenti e della mancanza dei precettori del reddito di cittadinanza che svolgevano un ottimo lavoro. Restano dei cartelli verticali che gli automobilisti ignorano bellamente, d’altra parte la possibilità di beccare un vigile o una multa è pari a zero.

Nella Scuola Don Milani, dove va la mia bambina più piccola, invece, non c’è mai stata nessuna strada scolastica, neppure un cartello verticale. La proposta di istituire una ztl o zona pedonale da almeno 9 anni finisce puntualmente per soccombere.

D’altra parte, il parcheggio delle Don Milani (scuola nuova, del 2010) è stato “sapientemente” progettato con posti auto a spina di pesce, per farci stare più auto, ma facilitando così l’ivestimento di chiunque non sia abbastanza alto. Inoltre è fatto in modo che ovunque si parcheggi, per uscire bisogna passare davanti al portone.

Il famoso inchino al portone.

Non è però solo un problema strutturale. Lo scoglio insormontabile è quello culturale. E non perché si parla con una fascia di popolazione poco istruita, tutt’altro, spesso sono proprio le fasce benestanti a opporre più resistenza, anche perché in genere chi è più povero ha meno auto a disposizione. Esiste d’altra parte un servizio piedibus, con volontari che portano i bambini a scuola a piedi, partendo da un parcheggio distante 300 metri, ma questo non impedisce a decine di auto ogni mattina di sfilare e fare l’inchino al portone.

Mi sono sentita dire (da gente istruita e colta e non al bar) che:

– i parcheggi a spina di pesce vanno bene perché così ce ne stanno di più;

– se i bambini sono messi sotto è colpa dei genitori che non li hanno badati, proprio per questo infatti si obbligano i genitori e ritirare i bambini da scuola;

– la comodità degli adulti di andare al lavoro in auto supera di gran lunga la necessità di tutelare la sicurezza dei bambini;

– finora non ci sono stati incidenti gravi (insomma finché non ci scappa un bambino morto o ferito non si fa nulla, eppoi chissà se ne basta solo uno ndr);

– anche a Bologna stanno riaprendo le Ztl al traffico di chi porta i figli a scuola, questa è dimostrazione che se lo fanno anche nelle metropoli del “Nord” si può fare anche da noi e non è questione di inciviltà. In genere si chiude il discorso con “e comunque Faenza non è Berlino”.

Soprattutto non vuole nemmeno provare ad assomigliargli.

Il problema è anche delle amministrazioni poco lungimiranti. Il mio Comune, ad esempio, ha utilizzato fondi per la mobilità casa scuola per realizzare una pista ciclopedonale a zig zag dentro al parco, lasciando però la strada più diretta che porta a scuola (Via Corbari) senza ciclabile,  nonostante questo intervento fosse previsto nel PUMS Piano Urbano Mobilità Sostenibile approvato nel 2020. Anche la mia domanda di rendere via Corbari almeno zona 30, è caduta nel vuoto.

Come mamma e consigliera del Consiglio di Istituto, ho ufficialmente chiesto che la mobility manager scolastica si faccia carico del problema, che relazioni al comune la situazione di pericolo nel parcheggio scolastico, nella speranza che qualcosa si sblocchi.

La tentazione di cedere e arrendersi è forte, dopo anni di tentativi, ma questa lotta è per i diritti dei bambini e non bisogna darsi per vinti.

Vedi il link di Anna Becchi a Roma!

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