Siamo quello che mangiamo diceva quel tale, ma potremmo anche dire siamo quello che sprechiamo, anzi se c’è un esempio efficace della società (capitalista) dove viviamo viene proprio dalla quantità enorme di cibo che tutti i giorni, soprattutto nei paesi occidentali, viene buttato.
Ieri, venerdì 29 settembre, era la giornata internazionale contro lo spreco alimentare e il Centro studi Divulga ha reso noti i dati estremamente significativi di quanto cibo viene buttato in vari modi e ambiti.
Per quanto riguarda l’Italia ad ognuno di noi il mangiare che finisce nei rifiuti o viene eliminato è costato 385 euro all’anno, per un totale di 22,8 miliardi euro. Dal punto di vista totale il 79% dello spreco, 17,9 miliardi di euro, avviene nelle mura domestiche, mentre il rimanente è suddiviso tra la produzione agricola, 11% pari a 2,4 miliardi; industria alimentare, 4% equivalente a 970 milioni e infine nella ristorazione, 2% 550 milioni.
Il rapporto prende in esame otto Paesi europei e più spreconi di noi (8,65 milioni di tonnellate) ci sono Germania (10,9 milioni) e Francia (9 milioni).
Una classifica di cui c’è poco da andare fieri, anzi piuttosto scandalosa, non solo se raffrontata con quelle aree del mondo dove si continua a morire di fame, ma anche con le crescenti disuguaglianze negli stessi paesi occidentali, in primis il nostro. Oramai decine di inchieste giornalistiche, l’ultima degna di segnalazione quella di lunedì scorso di Presa Diretta, hanno evidenziato l’enormi difficoltà delle persone di strato sociale medio- basso a riuscire a mantenere un tenore di vita dignitoso.
Le file davanti ai punti mensa delle associazioni di volontariato sono sempre più lunghe e composte da chi fino a non molto tempo fa mai si sarebbe immaginato di trovarsi in questa situazione. E infatti dati recenti evidenziano come negli ultimi mesi nell’ambito famigliare lo spreco si sia ridotto di circa il 25%.
In ogni caso lo spreco alimentare è la fotografia di un sistema insulso, ingiusto che per l’ennesima volta chiama in causa un modello sociale ed economico inaccettabile che va radicalmente messo in discussione e cambiato.