Il bombardamento di Stepanakert, capitale dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, avvenuto martedì 19 settembre, potrebbe portare a una nuova escalation di violenza nel conflitto del Nagorno-Karabakh. Secondo i resoconti dei media, l’esercito azero ha bombardato la capitale del Nagorno Karabakh e altre posizioni armene definendola un’azione «antiterrorismo» contro gli attacchi continui delle forze armene, e dopo che nei giorni scorsi alcuni civili e poliziotti azeri erano morti a causa dell’esplosione di una mina. Sembra ormai lontano l’incontro tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev, avvenuto a Bruxelles lo scorso 15 luglio, che aveva prodotto un cauto ottimismo verso le sorti del conflitto, almeno stando alle parole del presidente del Consiglio europeo Charles Michel.
Accordi che non riescono ad arrivare
Nonostante filtrasse positività dalle dichiarazioni di Michel, proprio nei giorni successivi si è assistito a un fermo da parte dell’Azerbaigian di 19 autotreni carichi di 360 tonnellate di aiuti umanitari provenienti da Yerevan e diretti in Artsakh suscitando forti critiche verso Michel sia in Armenia, sia in Nagorno-Karabakh. In aggiunta, c’è chi sostiene che l’incontro di Bruxelles sia stato infruttuoso. Inoltre, nelle settimane successive agli incontri di Bruxelles, l’acuirsi della tensione nel Caucaso meridionale ha coinvolto anche gli osservatori dell’EUMA (la missione UE in Armenia) ai confini tra i due Paesi, i quali sono stati bersaglio di colpi di fucile da parte di soldati non ancora identificati.
Verso un disastro umanitario
L’Azerbaigian ha bloccato definitivamente il corridoio di Lachin – che collega la repubblica separatista all’Armenia – istituendo un checkpoint gestito da militari dopo che l’11 luglio scorso alcuni controlli hanno dimostrato che parte dei convogli umanitari del Comitato internazionale della Croce rossa (ICRC) partiti dall’Armenia e diretti verso il Karabakh, trasportavano anche merci commerciali, quindi diverse da quelle umanitarie.In una dichiarazione l’ICRC ha confermato che si è trattato di merci contrabbandate, precisando però che queste merci non sono state ritrovate nei veicoli ufficiali dell’ICRC, bensì in alcuni mezzi pesanti commerciali che, pur avendo temporaneamente esibito l’emblema dell’ICRC, venivano guidati da dipendenti di un’azienda commerciale, ingaggiata dall’ICRC per portare aiuti in Karabakh.
Conseguenza del blocco è che la popolazione del Nagorno-Karabakh si vede completamente tagliata fuori da ogni tipo di rifornimento e questo sta creando un grave disastro umanitario. Nelle scorse settimane una donna incinta ha avuto un aborto spontaneo perché l’ambulanza non era disponibile a causa della mancanza di carburante e un uomo di 40 anni è anche morto di fame, come riportato dallo Human Rights Defender’s Office.
«È in corso un genocidio contro 120mila armeni che vivono nel Nagorno Karabakh», denuncia Luis Moreno Ocampo, fondatore della Procura della Corte penale internazionale e che insieme a un gruppo di giuristi internazionali ora chiede di aprire gli occhi sul tentativo di eliminare definitivamente la popolazione della regione che l’Azerbaigian vorrebbe riprendersi. A queste dichiarazioni Baku ha risposto asserendo che le accuse sono del tutto infondate, riportando con delle immagini episodi di vita quotidiana della popolazione dell’Artsakh, come la celebrazione di un matrimonio tra due armeni, le quali dimostrerebbero la non presenza delle condizioni per un genocidio.
Mancanza di soluzioni concrete
Il punto cruciale è che, malgrado l’accordo trilaterale del 2020 negoziato da Mosca, i peacekeepers russi non hanno monitorato il corridoio come stabilito. La Russia al momento è impegnata in una guerra in Ucraina che si prospetta molto lunga e le forze russe nella regione sono quindi poche e sempre più disinteressate. Se d’altra parte la missione EUMA è stata anche in parte rafforzata, si può notare però che non c’è stata una volontà da parte dell’Unione Europea e della comunità internazionale di condannare apertamente la condotta dell’Azerbaigian e sorvegliare sistematicamente il corridoio.
Si prospetta un nuovo conflitto
Negli ultimi giorni tre ragazzi armeni di vent’anni sono stati arrestati da parte delle forze di Baku, accusati di aver oltraggiato la bandiera dell’Azerbaigian. In risposta, a Yerevan, gruppi paramilitari formati da cittadini si sono organizzati in previsione di una nuova guerra. Il Presidente del Nagorno-Karabakh, Arayik Harutyunyan, ha annunciato le proprie dimissioni mentre l’Azerbaigian sta ammassando equipaggiamenti militari pesanti sulla linea di contatto con il Nagorno-Karabakh.
L’apice dell’escalation però, è stata raggiunta con l’attacco missilistico azero su Stepanakert avvenuto ieri, 19 settembre. Ci sono stati ventitré feriti e due morti tra i civili. Baku ha così violato anche l’accordo di cessate il fuoco siglato con la Russia e proprio di recente il Capo del Comitato di Difesa della Federazione Russa, Andrey Kartapolov, ha ammonito Baku dichiarando che: “Finché nulla minaccia le forze di pace russe, gli azeri non hanno il diritto di usare le armi”.
Il ministero della Difesa dell’Azerbaigian ha dichiarato in un comunicato che “vengono distrutti solo obiettivi militari legittimi”, mentre il ministero degli Esteri ha affermato che l’unica via per la pace nella regione è il ritiro completo delle forze armene nella regione.
“L’Azerbaigian continuerà le operazioni antiterrorismo nell’enclave del Karabakh fino a quando i separatisti armeni non scioglieranno il parlamento di Stepanakert”, queste invece le parole del Presidente Ilham Aliyev al Segretario di Stato americano Antony Blinken, dopo che gli Stati Uniti hanno chiesto a Baku di fermare le ostilità e Mosca ha esortato entrambe le parti a fermare lo spargimento di sangue nella regione contesa.
Intanto, le forze locali e le autorità dell’Artsakh acconsentono a deporre le armi, grazie a un accordo che è stato raggiunto tramite la mediazione dei peacekeepers russi, che ha sancito il cessate fuoco oggi a partire dalle 13:00. Domani invece, si terranno dei negoziati in Azerbaigian con l’ipotesi di una reintegrazione dell’Artsakh nell’Azerbaigian e con conseguente dissoluzione del parlamento di Stepanakert. Migliaia di armeni del Karabakh nel mentre hanno raggiunto l’aeroporto di Stepanakert per evacuare e ricevere assistenza da parte dei peacekeepers russi.
La situazione al momento è incandescente e sembra che nell’immediato non ci possano essere le condizioni per scenari di miglioramento o di pace. La comunità internazionale e l’Unione Europea dovranno perseguire senz’altro la via diplomatica e cercare una soluzione condivisa, senza però valutare solamente il piano proposto dalla Russia che si sta disinteressando totalmente della Regione e bisognerà fare in fretta poiché i venti di guerra soffiano sempre più forte.