La “città degli angeli” è sempre più centrale nelle lotte dei lavoratori statunitensi. Eppure un centinaio di anni or sono, a Los Angeles (d’ora in poi LA) i “poteri forti” avevano il mazzo in mano e reprimevano violentemente le nascenti iniziative per i diritti collettivi, facendo della città un luogo riservato solo ai profitti e vietato al sindacato.
Quei tempi sono fortunatamente lontani. La progressiva ripresa delle Union losangeline ha vissuto un momento fondamentale con i cortei del 1990 della campagna nazionale Justice for Janitors rivolta al personale di pulizia e organizzata dal sindacato SEIU dapprima a LA, dove fu affrontata brutalmente dalla polizia (della vicenda parla il film “Il pane e le rose” di Ken Loach). Nel 2008, alla scadenza contemporanea di una trentina di contratti di 350.000 lavoratori, un immenso corteo di 28 miglia, “Hollywood to the Docks”, aveva riunito varie categorie di lavoratori.
Al giorno d’oggi, uno studio della Cornell University ha rilevato che 1/4 dei 226 grandi scioperi di quest’anno negli USA si è svolto in California, la maggior parte nella contea di LA. I principali hanno avuto come protagonisti a marzo il personale non docente della scuola e oggi il personale degli hotel e gli sceneggiatori ed attori di Hollywood. Dal centro all’aeroporto internazionale di Los Angeles, la settimana scorsa i lavoratori della città hanno nuovamente marciato intonando uno slogan dei loro lontani predecessori: “In sciopero. Chiudetela. Los Angeles è una città sindacale”.
Una contea, quella di LA, di 11 milioni di persone, concentrato di immense ricchezze e di spietate povertà, terra di sogni e opportunità (spesso infrante), dove almeno 600.000 persone vivono in povertà e 80.000 sono i senza casa censiti.
Come scrivevamo su Pressenza a luglio e agosto, il problema della casa è drammatico anche per grandi fasce di lavoratori a tempo indeterminato che guadagnano salari spesso di poco superiori al salario minimo. L’acquisto di un appartamento costa mediamente un milione di dollari e il mercato è in mano in gran parte alla speculazione immobiliare a breve termine. Manca almeno mezzo milione di alloggi a prezzi accessibili ed anche gli affitti in città sono schizzati alle stelle (la locazione media è di quasi 3.000 dollari al mese). Crescono così sia gli accampamenti di tende (che ricordano quasi le tendopoli della grande migrazione interna verso l’ovest degli anni Trenta) sia il numero di persone che dormono in auto, anche lavoratori con basse retribuzioni.
Inevitabile, in una fase di ripresa del movimento sindacale USA, che nei luoghi dove i lavoratori sono più coesi e organizzati si aggiungano via via vertenze. La più recente è avvenuta l’8 agosto, lo sciopero di 11.000 dipendenti comunali di LA, il primo da 40 anni, che ha coinvolto impiegati e addetti alla nettezza urbana e al traffico. Organizzato dal sindacato SEIU soprattutto per le grandi carenze di personale e le “ripetute violazioni del diritto del lavoro” da parte dell’amministrazione comunale di Los Angeles, in cui sono presenti consiglieri sostenuti da sindacati e associazioni che sono molto spesso in forte disaccordo con gli esponenti moderati del Partito Democratico che governano da tempo la città.
Nel mentre, continuano le iniziative, giunte alla quarta ondata di scioperi, delle lavoratrici alberghiere, con boicottaggi degli hotel e “concerti” sotto le loro finestre e anche del settore dell’intrattenimento: gli sceneggiatori sono in sciopero dal 2 maggio e gli attori dal 14 luglio. Dopo le manifestazioni di New York e di LA (5.000 persone a metà agosto davanti alla sede generale di Warner Brothers) le trattative riprese con il padronato degli studios si erano nuovamente arenate sulle stesse priorità dei lavoratori che sono in sciopero. Sempre più centrale la questione dell’intelligenza artificiale (IA) generativa, la sostituzione di lavoro umano con creazioni artificiose che riduce le giornate lavorative, connesse a streaming di video, film, programmi TV, a sessioni di un giorno pagate una sola giornata. Mentre gli studi cinematografici potrebbero continuare a guadagnare milioni pro futuro, utilizzando infinitamente il lavoro di scrittori e artisti.
Su questo argomento, i lavoratori hanno segnato due punti a loro favore. Un giudice distrettuale di Washington ha deciso che le opere create dall’intelligenza artificiale non possono essere protette da copyright perché “la lavorazione umana è requisito fondamentale”. E l’appoggio a questa lotta da parte della conferenza del raggruppamento internazionale sindacale UNI Global che si svolge a Philadelphia questa settimana, dove gli interventi hanno denunciato che un utilizzo della IA in funzione anti-lavoratori minaccia l’esubero di migliaia di creativi.
Per il momento, si tratta di ripararsi dal caldo durante i picchetti per strada, evitando con creme solari, idratazione e alternarsi frequente i rischi di colpi di calore e di organizzare giornate a tema, riprese dalle serie televisive in voga (una delle più partecipate, quella dedicata a Dungeons and Dragons di fronte alla sede della NBC Universal) per attrarre simpatizzanti dello sciopero e, perché no?, divertirsi un po’.
Contrariamente a quello che si possa pensare, solo una loro ristretta fascia, soprattutto tra gli attori, ha retribuzioni astronomiche. Gli altri vivacchiano ai minimi tabellari, se e quando lavorano. Attori e scrittori in sciopero accusano infatti il padronato di prolungare di proposito la vertenza presentando proposte ridicole in modo da far perdere loro le abitazioni. Oggi come oggi, molti di quelli che sono in sciopero si affidano per vivere a organizzazione no-profit: 2.600 lavoratori del cinema e della televisione sono aiutati dall’Entertainment Community Fund, che ha già sborsato 5,4 milioni di dollari a partire dal 25 agosto con sovvenzioni una tantum fino a 2.000 dollari per gli individui o 3.000 dollari per le famiglie. Numerose piccole aziende, bar, chiese e associazioni comunitarie offrono beni di mutuo soccorso. E la Fondazione del sindacato SAG-AFTRA distribuisce agli scioperanti soldi per la sopravvivenza raccolti con aste e spettacoli di beneficenza e con contributi di attori famosi per un totale finora di 15 milioni di dollari. Un milione ciascuno da parte di Jennifer Lopez, Ben Affleck, Oprah Winfrey, Julia Roberts, George Clooney, Matt Damon, Leonardo Di Caprio, Dwayne Johnson, Nicole Kidman, Meryl Streep ed altri e anche di Arnold Schwarzenegger, ex governatore californiano per il Partito Repubblicano ed oggi avversario di Trump. Pure le grandi star hanno infatti forti timori per l’utilizzo indefinito del proprio viso con l’IA e hanno la necessità di attori che li contornino nelle loro pellicole.
Infine, problema assai grave, l’86% dei 160.000 lavoratori iscritti al sindacato non riesce a lavorare durante l’anno per un tempo sufficiente (e a guadagnare almeno 26.000 dollari) per poter godere dell’assistenza sanitaria di settore e deve fare un secondo lavoro (nei bar, come dog-sitter, ecc) per poter pagare l’affitto. Tanto più in quest’anno di scioperi.
E’ dunque una Hollywood inaspettata, simile a buona parte della città, dai tanti poveri al limite dell’indigenza e nessuna copertura sanitaria e pensionistica. Una situazione che accomuna tanti lavoratori dell’intrattenimento alle lavoratrici che rassettano e puliscono le camere degli hotel, ai dipendenti del settore pubblico e degli ospedali, ai baristi di Starbucks o ai magazzinieri di Amazon. Non per niente, ai sempre più diffusi cortei e raggruppamenti in giro per LA sono presenti sindacati e lavoratori di tutte queste categorie. Un buon segnale di un tentativo unitario di un mondo del lavoro statunitense storicamente frammentato.
Fonti:
https://www.wgacontract2023.org/strike/special-pickets
Ellie Stevens, Here’s who is on strike in LA, and what it means for Angelenos, CNN,8.8
Reis Thebault, How Los Angeles went from union foe to U.S. strike capital, Washington Post,18.8
Mark Gruenberg in People’s World, SAG-AFTRA strike continues, workers win one on Artificial Intelligence, 25.8 e World unions gathered in Philly declare: Autocracy and A.I. threaten workers, 29.8
Associated Press, Hollywood’s working class turns to nonprofit funds to make ends meet during the strike, 30.8