La popolazione italiana è in costante calo dal 2008 e lo scorso anno si è registrato il record minimo di nascite, scese, come non succedeva dalla seconda metà dell’800, sotto la soglia delle 400mila unità. Una denatalità che neppure la presenza della popolazione residente di origine straniera riesce più a compensare: anche tra le famiglie con almeno un genitore straniero sono infatti diminuite le nascite, passando da più di 107.000 nati nel 2012 a poco meno di 86.000 nel 2021. Altrettanto simile appare la decrescita nei nuclei con entrambi i genitori stranieri, dove si passa da circa 80.000 figli/e nel 2012 ai quasi 57.000 del 2021.
I fattori che stanno alla base di questi trend negativi sono molti e riguardano ogni aspetto della vita quotidiana: il ritardo con cui i giovani tendono a iniziare la vita indipendente a causa dell’investimento nell’educazione e nella formazione; le difficoltà che incontrano ad entrare nel mondo del lavoro, dove spesso sono costretti ad accettare occupazioni precarie, instabili e povere; un mercato immobiliare estremamente sfavorevole, per non dire proibitivo, nei confronti delle giovani coppie; i costi insostenibili della cura dei figli e delle figlie; la carenza di politiche a sostegno delle famiglie; l’assenza di una rete di supporto familiare sul territorio; le difficoltà di conciliare adeguatamente la maternità e la paternità con il lavoro. Nel 2021, il 6% degli uomini si è dimesso dal proprio impiego in occasione della nascita di un/a figlio/a, dato che per le donne è schizzato addirittura al 65,5%, ovvero più di 6 donne su 10 rinunciano al proprio lavoro per adempiere alle responsabilità di cura dei propri figli.
Troppo spesso di questi tempi quando si parla di denatalità ci si dimentica però che avere figli/e è una possibilità e non un obbligo imposto dalla società, che si deve arrivare alla maternità e alla paternità con consapevolezza e partendo da una scelta fatta in assoluta libertà, che va tutelato anche chi nel proprio orizzonte di vita non ha ritenuto di considerare la genitorialità e tutti coloro che non possono avere figli/e. Così come ci si dimentica con facilità dello squilibrio di genere che caratterizza la suddivisione del lavoro produttivo e riproduttivo all’interno della società contemporanea.
Ed è proprio allo squilibrio di genere che si richiama una parte dell’8^ edizione del Report del maggio scorso di Save the Children intitolato “Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2023”, curato da Alessandra Minnello e Maddalena Cannito. “Dalle risposte relative alla distribuzione dei carichi di cura emerge tra le coppie che convivono, si legge nel Rapporto, un forte squilibrio a svantaggio delle donne. Sebbene solo il 13% delle mamme che convivono con il padre o l’attuale partner si dichiari insoddisfatta della loro collaborazione nell’accudimento del bambino, sono loro a dedicare gran parte del proprio tempo quotidiano alla cura del figlio/a: 16 ore al giorno contro le 7 del partner”.
La cura dei figli continua insomma a penalizzare le mamme, nonostante alcuni importanti passi avanti fatti sul terreno della parità. “In relazione al congedo parentale (ovvero facoltativo), nonostante si rilevi un certo livello di adesione dei padri, che nel 16% dei casi hanno preso un congedo più lungo delle madri e nel 22% in maniera equilibrata rispetto alle madri, permane– si sottolinea nel Report, una prevalenza di donne che ne usufruiscono (53% hanno preso un congedo più lungo, a cui si sommano quelle che lo hanno preso in maniera equilibrata rispetto ai padri). Da segnalare che, tra le motivazioni addotte a un congedo più lungo da parte delle donne, il 37% delle mamme lavoratrici intervistate indica motivi legati al mercato del lavoro: per il 21% lo stipendio inferiore a quello del padre e per il 16% il lavoro del padre più promettente del proprio hanno influito sulle scelte relative alla cura dei figli”.
E’ pur vero però che anche in Italia la paternità sta cambiando ed è importante accelerare con tutti i mezzi un cambiamento culturale, sostenuto dalle politiche, che renda la cura dei figli anche una responsabilità maschile, mettendo in luce i numerosi benefici che il coinvolgimento paterno ha su diversi fronti. Sono molti ormai, si sottolinea nel Rapporto di Save the Children, gli studi che hanno trovato una relazione positiva di una paternità attiva e accudente sulla parità di genere nelle coppie eterosessuali, sui mutamenti delle pratiche e dei modelli di maschilità, sulla riduzione della violenza nelle relazioni intime, sulla salute, il benessere di madri e padri, sullo sviluppo cognitivo ed emotivo di bambini/e. Certamente il cammino è ancora lungo e tanti passi vanno fatti sia sul lato del cambiamento di modelli culturali di riferimento maschili che delle politiche, ma il percorso della condivisione delle cure sembra ormai irreversibile e rappresenta un tassello fondamentale per contrastare la crisi demografica in atto nel nostro Paese, rilanciare l’occupazione femminile e, in ultima battuta, raggiungere, promuovere e avanzare verso la parità di genere.
Qui il video con le testimonianze delle madri “equilibriste”.