Le immagini di Lampedusa, con centinaia di persone per ore sotto il sole prima di essere assistite e l’hotspot incredibilmente sovraffollato, sono la fotografia di un fallimento annunciato. Nonostante gli importanti sforzi per migliorare le condizioni di prima accoglienza nell’isola e accelerare i trasferimenti delle persone sulla terra ferma, le difficoltà croniche richiedono interventi più strutturali, estesi ai meccanismi di coordinamento del soccorso in mare e al sistema di accoglienza.
“Non esistono soluzioni facili, ma l’ostinazione con cui in questi anni si sono perseguite politiche muscolari, unicamente orientate a fermare gli sbarchi e rimuovere la questione migrazione dall’agenda politica ci ha condotto in un vicolo cieco. L’Italia non è un Paese sotto assedio, ma un Paese prevalentemente di transito incapace di gestire questo flusso di persone” dichiara Marco Bertotto, direttore dei programmi di Medici Senza Frontiere (MSF) in Italia.
L’approccio emergenziale, che da troppi anni caratterizza la risposta dei governi italiani al fenomeno strutturale della mobilità umana, non ha fatto altro che generare nuove emergenze. L’Italia è di nuovo in difficoltà perché la risposta securitaria, a volte ideologica, perfino dopo tragedie come Cutro, continua a seguire logiche di pura deterrenza, mentre gli accordi di dubbia moralità e certa inefficacia con Libia e Tunisia hanno dimostrato i limiti delle politiche di esternalizzazione adottate a livello europeo.
“Lampedusa è stata trasformata in unico punto di approdo a seguito del boicottaggio di un meccanismo coordinato di soccorso in mare. In più, dal 2018, il sistema di accoglienza è stato progressivamente depauperato e oggi non consente di rispondere efficacemente all’incremento degli arrivi. Servono soluzioni di lungo termine che rispettino i principi di solidarietà e accoglienza, oltre ai diritti delle persone in movimento” conclude Bertotto di MSF.