L’ultimo panel de La strada maestra ha visto coinvolte una lunga serie di sigle associative e di movimento, messe in dialogo da Sbilanciamoci! per raccogliere gli spunti emersi nel corso della due giorni e tentare di dargli forma all’interno dell’impostazione tattico-politica dell’attivismo italiano.
Con Giulio Marcon di Sbilanciamoci!, dunque, hanno dialogato nel sabato pomeriggio del 2 settembre in uno spazio Gloria ancora molto gremito, per progettare La costituente del cambiamento Carlo Testini, della presidenza nazionale di Arci, Alessandro Pagano, segretario Cgil Lombardia, Alfio Nicotra, presidente di Un ponte per, don Giusto Della Valle, della parrocchia di Rebbio e Camerlata, Tess Kucich, di Rete della conoscenza, Alberto Poggio, del Movimento No Tav, Daniela Padoan, presidente di Libertà e giustizia (in collegamento), Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, Bianca Chiesa di Unione degli studenti, Roberto Romano, ricercatore di economia e Simone Drogo, di Link – Studenti universitari.
Di fronte a una crisi globale che mette in discussione il sistema produttivo e il modo di vita stesso di gran parte della popolazione globale, è necessario agire per ricostruire e cambiare il modello produttivo con un’azione costruita dal basso ma animata da una profonda comprensione dello stato attuale delle cose sul piano economico, sociale ed ambientale. Tutto questo in un paese, l’Italia, profondamente diseguale e a più velocità, secondo le parole di Marcon, in cui attivare la partecipazione dei e delle cittadine risulta particolarmente difficile.
A intervenire per fare il punto della situazione, portavoce ed esponenti di alcune delle molte realtà che nei prossimi mesi si attiveranno su tutto il territorio.
Organizzarsi per tentare di farsi parte non più che subisce, ma che nei limiti del possibile governa e orienta il mercato. Allentare la morsa del liberismo sui corpi e sulle vite sembra essere la priorità del movimento dal basso. Sui luoghi di lavoro, nelle scuole, nei territori devastati dalle grandi opere inutili (come la Tav) e dall’incuria (di cui testimonia Legambiente e di cui si parlava anche negli incontri del primo giorno sulla mobilità), è necessario spingere affinché si compiano investimenti preoccupati, per dirla con Pagano. Servono, cioè, flussi di denaro mirati alla tutela del pianeta e allo sviluppo pieno delle persone e non all’accumulo di capitale e all’annichilimento di un corpo sociale che, le ultime elezioni lo mostrano chiaramente, è sempre più scollato dal processo democratico e dalla salvaguardia costituzionale.
Lavoro e fisco sono due pilastri della ricostruzione, da una parte nei termini di vivibilità e dignità per tutti e tutte; dall’altra, garantendo una tassazione progressiva che non sia uguale, ma equa e che garantisca la possibilità di investire sulla collettività senza pesare sulle tasche e sulle possibilità economiche di nessuna e nessuno. Agire nel mercato, come ha rilevato Romano, è inevitabile, ma ciò non significa esserne servi; lo Stato fin dalla Costituzione è chiamato ad agire per rimuovere gli ostacoli che permettono la piena realizzazione della cittadinanza. In questo senso, il fisco categoriale è inevitabile se si vuole far seguito nei fatti alle parole scritte sul documento fondativo del Paese e garantire alle parti in causa la piena capacità di contrattazione sociale e politica.
Sul piano della partecipazione, le portavoci di studenti/e hanno proposto una rilettura dello svuotamento degli spazi democratici non tanto come crisi, ma come cambiamento di paradigma che invita i movimenti e le associazioni a ripensare le proprie pratiche. A fronte di questa trasformazione, riorganizzare la prassi implica prepararsi a una vera e propria battaglia per un futuro che, ad oggi, è sempre più incerto.
Per costruire conflitto, i corpi intermedi devono riappropriarsi di un margine di decisionalità che non può che passare attraverso la costruzione di spazi alternativi di confronto politico in cui interrogarsi sul sistema partecipativo in vista di scontri vertenziali puntuali nei confronti delle istituzioni.
I bisogni delle persone, a partire dalla questione abitativa, devono essere il movente antisistemico del confronto e del dibattito interno al terzo settore, che non deve solo fare da tramite, ma mettere al centro di processi formativi e autoformativi la cittadinanza. In questo senso, particolarmente pertinente è la testimonianza delle organizzazioni studentesche, che vedono scuola e università sempre più meritocratiche, povere perché private di fondi, diseguali ed asservite alle logiche di mercato e d’impresa. La campagna I diritti non si meritano, che verrà portata a livello nazionale dal prossimo autunno, costituisce il contributo studentesco all’opposizione alle ingerenze neoliberiste nei luoghi del sapere.
D’altra parte, agire nel presente significa anche guardare alla dimensione internazionale rendendosi conto che uno dei mali strutturali del sistema capitalismo, la guerra, è sempre più qualcosa di insostenibile anche per quei paesi che propugnano la retorica della guerra giusta.
Se ne parlava già nella sessione sul tema della pace, ma la questione delle spese militari ritorna nelle parole di Nicotra come tema forte di una ricostruzione sociale che non può prescindere da un’azione politica che si imponga sulla guerra, ponendole fine e restituendo la forza di sciopero, voto ed autodeterminazione alle persone.
Le forze da mobilitare sono insomma quelle democratiche e il riferimento politico della due giorni è la Costituzione: un documento cui riferirsi, secondo Padoan, per programmare il futuro discostandosi da un presente rispetto al quale il punto non è la difesa dell’esistente e dalla sua frammentazione (tra presidenzialismo e autonomia differenziata), bensì la costruzione di divergenze e discontinuità che salvaguardino la vivibilità e la pace future. Testini ha ribadito, come presidente dell’Arci nazionale, il fatto che tutto ciò, senza l’attivazione del terzo settore ed un forte dialogo interno ad esso è utopistico. Date le domande della globalizzazione, tra l’altro, è inevitabile pensare a un’estensione globale di questa progettualità: la visione locale non basta più e non si può più perdere tempo nelle manovre di persuasione interna di corpi che dovrebbero essere già attivi almeno sul piano territoriale.
La strada maestra è insomma una serie di bivi e diramazioni che hanno per denominatore comune la necessità di sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Pace e disarmo, investimento nel pubblico, mutualismo, cooperazione, transizione, azione sindacale e attivazione negli spazi di cultura, lavoro, ricreazione e sapere. Tutte pietre su cui costruire una strada, via maestra in preparazione della grande manifestazione del prossimo 7 ottobre a Roma.
Che la via maestra sia laica o informata, almeno nello scoccare della scintilla che porta a imboccarla, o d’ispirazione spirituale, è un tema effettivamente marginale, almeno in questa fase. Ciò che conta, come hanno affermato anche don Giusto e Barbara Megetto, è un’attivazione diffusa e complessiva che riporti vivibilità ed equità per tutte e tutti, tanto sul territorio quanto a livello globale, e riporti unione laddove le logiche di profitto e sfruttamento hanno creato separazioni e divisioni “interne alla classe”.
Serve riprendere, oltre alle parole, la voglia di andare fino in fondo alle proprie istanze, ri-occupando gli spazi laddove la politica tace e li nega, e andando fino in fondo con le proprie lotte, verso un futuro sempre più incerto e sempre più da costruire. In questi due giorni, il 7 ottobre, sempre.