Samvel Sahramanyan, presidente del Nagorno-Karabakh, ha detto di aver firmato un ordine che decreta ufficialmente la fine della ‘sua’ repubblica separatista. Lo scioglimento, che avverrà a partire dal primo gennaio del 2024, è a tutti gli effetti una resa formale all’Azerbaigian, Paese da cui gli armeni hanno cercato di difendersi per più di tre decenni. Difatti, nonostante la comunità internazionale l’abbia sempre considerata come parte integrante del territorio azero, la regione in realtà è stata abitata principalmente da armeni, che con una guerra combattuta negli anni ’90 hanno ottenuto l’indipendenza di tutta l’area.
Ciononostante, la decisione di Sahramanyan, alla luce dei recenti avvenimenti, è risultata piuttosto ovvia. La scorsa settimana, infatti il Nagorno-Karabakh è stato militarmente attaccato e occupato dall’esercito azero, portando le autorità locali a dichiarare la resa nel giro di un paio di giorni. L’operazione, giunta al culmine di mesi di sanguinosi scontri al confine tra le due parti, ha costretto migliaia di residenti a mettersi immediatamente in viaggio verso l’Armenia. Centinaia di famiglie armene affamate ed esauste hanno intasato le strade del Nagorno-Karabakh per evacuare la regione nel minor tempo possibile: infatti, nonostante il presidente azero, Ilham Aliyev, abbia promesso di garantire la sicurezza e i diritti dei gruppi armeni presenti nella regione, i trascorsi violenti tra le due parti e le guerre che ne hanno segnato i rapporti hanno reso i residenti scettici riguardo la possibilità di una convivenza pacifica. Per questo motivo, dopo la resa, quasi la metà dei 120 mila abitanti ha lasciato immediatamente l’area.
Giustificata col pretesto della lotta al terrorismo, l’operazione del governo dell’Azerbaigian è stata perpetrata per combattere e cacciare le milizie armene separatiste presenti nella regione. Queste, secondo l’accusa del Governo, sarebbero state responsabili della morte di quattro soldati e di due civili azeri. Dal canto loro, invece, gli armeni hanno denunciato un’operazione di pulizia etnica portata avanti per settimane nella regione.
Ma in realtà l’attacco militare è stato solo il più recente di una lunga serie di guerre combattute per il Nagorno-Karabakh a partire dalla caduta dell’Unione Sovietica – di cui sia Armenia che Azerbaigian erano parte – negli anni ’90. Evento dopo il quale i separatisti di etnia armena presero il controllo di alcune parti della regione e, a seguito di un referendum (boicottato dalla popolazione azera), si dichiararono Stato indipendente, per ottenere l’annessione con l’Armenia.
Le tensioni che seguirono sfociarono in un conflitto che portò alla morte di almeno 25.000 persone e a centinaia di migliaia di sfollati (principalmente azeri), che si chiuse con il Protocollo di Bishkek. Questo, firmato nella capitale del Kirghizistan dai rappresentanti armeni, azeri e da quelli della repubblica del Nagorno-Karabakh (Repubblica di Artsakh), prevedeva un cessate il fuoco provvisorio sotto mediazione della Russia. Nonostante le tensioni costanti, l’accordo resse fino al 2020, quando la guerra riesplose per due mesi, culminando in una netta vittoria dell’Azerbaigian. Il Paese ottenne la riconquista di ampie parti di territorio. Anche la ‘seconda’ guerra si concluse con un accordo di pace mediato dalla Russia, che questa volta riconosceva all’Azerbaigian il controllo delle zone conquistate. Il patto prevedeva inoltre l’invio, per almeno 5 anni, di 2.000 soldati russi come forze di pace, in particolare lungo il corridoio di Lachin, la principale via di collegamento tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia.
Da mesi il blocco al corridoio di Lachin per mano delle forze azere aveva impedito i rifornimenti al Karabakh di cibo, carburante e generi di prima necessità, portando la regione sull’orlo di una crisi umanitaria. L’alleanza tra la Russia e l’Armenia, per anni la principale garanzia di sicurezza per Yerevan, ha difatti sancito la condanna della regione: il governo russo ha definitivamente rifiutato di concedere all’Armenia aiuto militare, lasciando di fatto l’alleato armeno al proprio destino – e con un esercito nettamente inferiore a quello dell’Azerbaigian. Anche in questo caso, come spesso accade nelle contese geopolitiche, le motivazioni sono legate a interessi economici e strategici.