In questa nostra epoca, definita della massima libertà di espressione, data, più che da una Democrazia matura, dal fenomeno pervasivo e onnipresente dei social, merita un’attenta riflessione capire altresì lo stato di salute del diritto di critica.

Intanto partiamo da una seria e netta distinzione tra i due concetti; libertà di espressione e diritto di critica. Pur essendo due principi cardine delle cosiddette democrazie liberali, hanno di fondo, dal punto di vista ontologico, due concetti molto diversi tra di loro che i social, coi loro ideatori e controllori, tendono con piena coscienza a inquinare nel dibattito pubblico. Tant’è che molto spesso accade, proprio sui social e di riflesso nella stampa libera, che il diritto di critica venga confuso con la libertà di espressione, con il risultato ovvio che ci è permesso sparare la qualsivoglia diavoleria (vedi ad esempio il ruolo degli haters(1) nel dibattito pubblico) ma davanti alla critica costruttiva e argomentata interviene la censura ad insindacabile giudizio della violazione della sensibilità della community.

Una community che risulta, stranamente, suscettibile alle critiche nei confronti del potere!

Da chi sono state scritte queste regole e in quale pubblico dibattito siano state discusse non ci è dato saperlo ad oggi. La libertà di espressione (garantita in Italia dall’art 21 della Costituzione) sui social spesso può essere associata al dibattito o alla baruffa da Bar, con l’importanza marginale che queste ultime hanno nel formare una coscienza collettiva e una identità sociale. La baruffa da Bar, infatti, si esaurisce nel luogo in cui nasce, senza lasciare traccia tangibile nella società̀. Finito lo sfogo, finita la serata, tutti a casa a calmare gli animi tra le accoglienti mura domestiche.

Ma cosa accade, dal punto di vista sociologico, se la baruffa da bar viene in modo consapevole amplificata, giorno dopo giorno, commento dopo commento, da un algoritmo programmato a modificare in modo certosino la nostra percezione della realtà?

Accade quello che tutti noi abbiamo sotto gli occhi, una società confusa, psicolabile, ansiosa, infantile e in crisi identitaria.

Ben diverso è invece il pensiero filosofico di fondo che sostiene il diritto di critica.

Dal punto di vista legislativo il diritto di critica è anch’esso tutelato dall’art. 21 della Costituzione e anche in parte dal 18 e dal 49, ma ben altra sostanza filosofica assume, nel dibattito pubblico rispetto alla libertà di espressione, quando viene esercitato nel pieno delle sue potenzialità.

La critica infatti, specie se costruttiva, argomentata e attinente alla realtà, è il sale del progredire umano e delle società democratiche. Di solito, infatti, viene affidata nelle mani degli intellettuali o di una classe dirigente molto istruita. Il diritto di critica plasma, a differenza della libertà di espressione, le società in meglio. I due principi, badate bene, sono interconnessi e inestricabili. Ma hanno un portato sociologico diverso. Questo per metterci in guardia dal cassare in fretta con l’affermazione del tipo “Ma ti hanno dato la possibilità di dirlo no?” chi lamenta una censura oculata delle proprie opinioni.

Bene, chiariti in breve questi due punti dobbiamo chiederci; cosa ne sarà del diritto di critica se quest’ultimo, sui social, viene ostruito con modi ingegnosi e a dir poco silenziosi?

Accade spesso che molti intellettuali, giornalisti o semplici ma arguti cittadini, accomunati tutti da uno spiccato senso di critica nei confronti del potere di turno, siano stati censurati, bannati, bloccati, estromessi dal dibattito con le scuse e le motivazioni più assurde e banali. Ed è un tema di una importanza epocale per una società democratica, in quanto rivela il fatto che, avendo il potere una paura atavica della critica, non ha smesso mai di occuparsene, escogitando modi sempre più complessi e invisibili per censurarla e limitarla.

Al contrario, la società, abbagliata da un mezzo che sembra un vero e proprio giocattolo, ingannata da una libertà illusoria, dalla comodità a portata di mano, ha smesso di occuparsi proprio di quel potere che con perizia l’ha rinchiusa in un recinto che sa molto di Luna Park delle comodità.

È un argomento attuale e di vitale importanza per le società liberali, sul quale val la pena riflettere per il nostro bene e quello delle generazioni future.

Un argomento che non consideriamo concluso. La sua analisi apre domande molto importanti che cercheremo di approfondire insieme in altre riflessioni. Domande che meritano un dibattito.

E da cosa dipende la salute di una Democrazia, se non dal suo dibattito interno?

Chi di noi, in tutta onestà, vede del serio dibattito in giro?

 

 

(1) Haters è un neologismo coniato dall’inglese e letteralmente significa “odiatore”. Viene usato in riferimento a una persona che, approfittando dell’anonimato, usa parole piene di odio e violenza nei confronti di un’altra persona online, nascondendo se stesso dietro uno schermo.