Passeggiando per Buenos Aires mi imbatto in un grande accampamento davanti a quello che poi scopro essere il palazzo della Giustizia Nazionale.  Nei giardini ridotti a fango dalla pioggia persistente, una trentina e più tende protette da telo trasparente ospitano una delegazione delle 400 comunità indigene del territorio della provincia di Jujuy, nel nord argentino al confine con la Bolivia, famosa nel campo delle lotte sociali per le vicende legate alla figura di Milagro Sala e della Tupac Amaru e di cui avevo riportato anche io come “inviato speciale” da Jujuy nell’ormai lontano 2017.

Decido quindi di andare a vedere più da vicino cosa succede: capisco quindi che un volantino che mi aveva consegnato qualche giorno prima un gruppo di rappresentanti dei popoli originari, con i loro vestiti e le loro bandiere multicolore, rappresenta la stessa cosa di ciò che sto vedendo oggi: è stato lanciato il “3° Malon della Pace”. Il “Malon” è una specie di adunanza, di chiamata “alle armi” della tradizione indigena, mi disse una amica qualche giorno fa chiedendo spiegazioni sul volantino, però questa volta declinata in forma nonviolenta, pacifica.

Ecco dunque che avvicinandomi all’accampamento e scattando le prime foto dei cartelli che hanno appeso nelle inferriate che recintano il palazzo di Giustizia, arrivano degli echi di tamburi, e si vedono in lontananza avvicinarsi al ritmo della musica e di canti svariati striscioni, bandiere, e anche dei ragazzi e delle ragazze su trampoli. Evidentemente non sono rappresentanti dei popoli indigeni, ma un corteo distinto che si avvicina ed entra nell’area dell’accampamento.

Sono venuti, spiegheranno dopo, a solidarizzare con la lotta e le richieste degli accampati, venendo da un’altra manifestazione davanti al vicino Ministero dell’Educazione: la chiamano una Marcia Culturale, contro gli “aggiustamenti strutturali” del governo nel campo dell’educazione, dell’arte e della cultura. Due “consegne” tra le altre, si mostrano negli striscioni di vari collettivi con le loro sigle: “Contra el Ajuste y Precarizacion”. “Arte y cultura Resisten”.

Gli occupanti dei giardini accolgono soddisfatti e con curiosità i nuovi arrivati, che si esibiscono in alcune brevi rappresentazioni sceniche di gruppo, dopodiché si presentano ed esprimono la loro solidarietà alle rivendicazioni indigene. Uno dei rappresentati dell’accampamento, con cui parlerò successivamente, ringrazia e ricorda i motivi della loro mobilitazione che li ha fatti arrivare dalla loro lontana provincia fino alla Capital Federal: sono lì dal primo agosto, ossia  da quasi 35 giorni, per   esigere che la Corte Suprema si pronunci sulla incostituzionalità della riforma della provincia di Jujuy, portata avanti con metodi arbitrari dall’eterno governatore della provincia (lo era già nel 2017) Gerardo Morales, riforma che tra le altre cose “espropria” terreni, risorse idriche e naturali, e inoltre sollecita provvedimenti contro le persecuzioni e le incarcerazioni e incriminazioni arbitrarie che da anni si accaniscono non solo contro rappresentanti dei popoli originari, ma anche contro varie organizzazioni sindacali ed associazioni culturali e politiche. Nello specifico, recita il volantino che tenevo nello zaino, la riforma di Morales viola il Trattato Internazionale “Convenio 169” (Legge 24.071/92) perché è mancata la consultazione previa dovuta con i Popoli Originari dei territtori in discussione. Per gli stessi motivi, viola la Costituzione nazionale nell’articolo 75 inciso 17, non prevedendo la partecipazione dei popoli indigeni in merito al diritto al possesso e alla proprietà comune. Viola altresì il diritto all’acqua e alla vita culturale dei Popoli Originari del territorio e infine il diritto di protesta, attaccato dal governatore nei modi sopracitati (articolo 14 bis della Costituzione Nazionale).

Attendono quindi con stoica fiducia questo pronunciamento da parte della Corte Suprema che tarda ad arrivare, mentre avvengono sporadici colloqui con alcune delegazioni politiche progressiste (in campagna elettorale presidenziale). E in questo aspettare, anche sotto la pioggia, hanno accolto con gradita sorpresa la solidarietà di studenti, docenti e giovani operatori culturali, unendo per pochi minuti le loro voci per i loro diritti, ricordando insieme che questo tipo di lotte è contro un sistema accentratore e discriminatore, che sta usando alcuni territori e alcune categorie di persone come laboratorio “privilegiato”, come esperimenti sociali da esportare in tutto il mondo, nell’accentramento del potere ad opera dei gruppi finanziari a danno della maggioranza delle popolazioni, ricordando, tra i vari pericoli incombenti, anche l’Agenda 2030 dell’ONU, che sotto le spoglie dello “sviluppo sostenibile” in realtà sta “coprendo” il nuovo e ultimo tentativo del Neocapitalismo di controllare in modo autoritario questo processo di accentramento senza eguali nella storia dell’umanità.