Il 15 settembre del 2022, a nove anni dalla precedente sciagura, un’alluvione colpiva pesantemente Senigallia e soprattutto le località del suo entroterra. Rispetto al 2014, quando a essere interessata fu principalmente l’area urbana, la zona coinvolta è stata molto più estesa e mentre l’alluvione precedente contò tre vittime, questa volta i morti sono stati  ben 13. Per avere un’idea della gravità dell’accaduto, nel recente evento alluvionale in Emilia Romagna, che ha colpito territori molto più vasti e intere città, a perire sono state 17 persone.

Sin dalle prime ore le forze migliori dell’associazionismo di base e del volontariato hanno prestato soccorso alle popolazioni colpite, in molti casi arrivando anche prima dei soggetti ufficiali preposti normalmente di fronte ai vari cataclismi. Passata l’emergenza, l’impegno è proseguito in vari ambiti, legali e organizzando iniziative pubbliche. Tra queste “l’accertamento popolare”, cioè “passeggiate informative” lungo i corsi dei fiumi Misa e Nevola, che esondando provocarono i gravi danni, per rivendicare la necessità e il diritto degli abitanti del territorio di non delegare a chi in molti casi è responsabile di aver ampiamente cementificato e antropizzato i territori e quindi monitorare l’habitat dove si vive. Il primo appuntamento si è tenuto quest’estate nella località del Brugnetto, piccola frazione a pochi chilometri dalla città, il secondo ieri, sabato 16 settembre, a Senigallia proprio in occasione del primo anniversario, indetto da “Comitato in Difesa del Territorio Area Agricola Brugnetto”, “Coordinamento Alluvionati 2014/2022”, “Coordinamento Volontarie/i Alluvione 2022”.

Una cinquantina di persone hanno camminato lungo un breve tratto del Misa, in pieno centro, fermandosi in alcuni punti significativi, soste durante le quali esperti e attivisti hanno denunciato le criticità e le politiche recenti e lontane che hanno causato eventi alluvionali anche nei decenni precedenti.

Per fare il punto sulla situazione abbiamo intervistato Giulia Zandri del Coordinamento Alluvionati/e, attivista del Centro Sociale Arvultura di Senigallia e da anni impegnata nel movimento ambientalista.

Che cos’è il Coordinamento volontarie e volontari ?

E’ una realtà che si è formata la domenica successiva all’alluvione. E’ stato un primo momento in cui le persone si sono ritrovate al Centro Sociale Arvultura di Senigallia per fronteggiare l’immediata emergenza e ha iniziato una prima attività di soccorso con una modalità spontanea che si è poi strutturata ed è durata circa venti giorni.

Il nome ce lo siamo dati qualche giorno dopo per essere individuati come soggetto, che in quella fase ha coinvolto circa trecento tra donne e uomini, tanti giovani, non solo della città, ma provenienti da varie parti della provincia, delle Marche e anche da fuori regione.

A parte questa prima fase, come si è sviluppato il vostro impegno? Su che basi, con quali obiettivi e attraverso quali pratiche?

Dopo le prime settimane, il coordinamento composto da varie realtà tra cui “Alterego, la fabbrica dei diritti”, un’associazione di giurisprudenza con sede a Roma, si è concentrato soprattutto sull’aspetto legale, cioè, come in Emilia Romagna, la richiesta della compilazione del B1, il modulo per il rimborso dei danni, che aveva una scadenza molto breve, il 28 ottobre, un mese e mezzo dalla sciagura. E’ da tenere presente che dopo la pulizia delle case che evidentemente richiede dei giorni, quantificare l’ammontare dei danni non è così immediato, soprattutto di fronte ad un’alluvione, perché non è subito visibile.

Quindi in questa fase siamo stati molto attivi, organizzando vari incontri tra gli alluvionati e l’avvocato romano che sin dall’inizio ha seguito la vicenda. Abbiamo anche supportato la compilazione dei moduli. Successivamente abbiamo cercato di relazionarci con i comitati che erano sorti nella varie zone, alcuni dei quali già nati in occasione dell’alluvione di nove anni fa. Ci siamo concentrati su tre punti, in particolare insieme al “Comitato alluvione 2014”(che è ancora alle prese con la causa intentata allora, trasferita a L’Aquila (!) la quale è in una fase di assoluto stallo) e quello di Bettolelle (frazione di Senigallia, ndr) e cioè: un sistema di allarme efficiente, i rimborsi che ad oggi tardano ad arrivare e la cosa  più importante, la riduzione del rischio. Ci tengo che venga chiamata così e non “messa in sicurezza”, perché di fronte a questa tipologia di eventi non esiste una “messa in sicurezza”, non si può parlare di un territorio sicuro in cui non può succedere nulla. Viceversa verso il rischio possono essere usati vari parametri e di conseguenza agire affinché venga ridotto. In sostanza diminuire al massimo il pericolo di un nuovo fenomeno alluvionale.

Abbiamo portato avanti queste rivendicazioni e a maggio c’è stata la manifestazione a Pianello di Ostra, la località che ha avuto il maggior numero di vittime, con cinque morti, avendo comunque presente che ci si muove soprattutto in un’ottica di informazione e denuncia.

Hai ricordato l’alluvione del 2014. Cosa è stato o non è stato fatto in tutto questo tempo e che interventi sono stati approntati dopo quella di un anno fa, tenendo presente che questi eventi hanno sempre un comun denominatore,  l’antropizzazione? Per quanto riguarda il territorio in questione ci sono delle specificità, quali politiche sono state fatte nei confronti dei fiumi Misa e Nevola, quali sono le responsabilità di chi ha governato e governa il territorio?

E’ una domanda molto complessa. Una risposta completa richiederebbe pagine. Sicuramente sono stati fatti svariati interventi dopo il 2014. La questione che bisogna evidenziare è la mancanza di una visione complessiva. Non ci si rapporta all’asta fluviale Misa Nevola in un’ottica generale, anche probabilmente, come sempre, per l’interferenza tra gli apparati amministrativi, perché un aspetto riguarda la Regione e poi ci sono i Comuni…

In ogni caso ci vorrebbe uno sguardo complessivo. Ciò che succede ad Arcevia (Comune a circa 50 chilometri da Senigallia, ndr.) si rispecchia a valle. Sicuramente la mancanza maggiore a partire dal 2014 è stata la mancata costruzione di un adeguato sistema di allerta, rispetto al quale si è registrato un impegno solo nell’ultimo anno.

Vorrei sottolineare che un anno fa la piena ad Arcevia si è verificata alle 18 circa e a Pianello l’allerta c’è stata dopo tre ore. E’ evidente che con un adeguato sistema di allarme i morti si sarebbero evitati. C’è da tenere presente che nel 2014 è stata coinvolta Senigallia e i quartieri periferici. Nel 2022 la zona è stata molto più estesa e di maggiore impatto, ma è assurdo che in un terreno alluvionabile, e non da oggi, le varie amministrazioni comunali non siano riuscite a comunicare tempestivamente. Inoltre a valle nella fase successiva sono state fatte molte segnalazioni di interventi inadeguati, in particolare  gli argini dal 2014 sono stati rifatti in alcuni punti alzandoli ma, come denunciato dalla popolazione, la situazione è peggiorata invece di migliorare, dato che la piena fuoriuscendo dal punto più elevato assume una forza ancora più travolgente. Altra questione molto dibattuta riguarda le vasche di espansione. Non si tratta di essere pro o contro, il punto è che non è una vasca che può ridurre il rischio in una zona così estesa.

Non si è valutato bene il contesto, le problematiche relative alla cementificazione, all’antropizzazione, per cui l’evento si è riproposto dopo solo nove anni. Dobbiamo tenere in considerazione che il primo progetto delle vasche di espansione è del 1986…

In questi dodici mesi sono stati compiuti interventi diversi rispetto al 2014?

Il Presidente della Regione Marche Acquaroli sostiene che in questo anno sono stati impiegati 400 milioni di euro stanziati dal governo, ma questi soldi non si vedono nel senso che ci sono molti cantieri attivi lungo l’asta fluviale, sicuramente ci sono dei lavori in corso, ma bisogna passare dall’ottica della straordinarietà all’ordinario. Per esempio la pulizia del fiume non è un’azione legata alla contingenza, un qualcosa di straordinario, perché si tratta di un lavoro ordinario, da fare con continuità. Soprattutto dove si stanno rifacendo gli argini si utilizza materiale di risulta dell’argine stesso, ma così lo si rende precario di fronte a una piena. Ci si vanta della sburocratizzazione delle pratiche, ma in questo modo con lo snellimento degli appalti c’è molto meno controllo sul tipo di interventi. Altro motivo di vanto della Regione è l’elargizione di 5.000 euro per i rimborsi, ma a noi sembra una risposta totalmente inadeguata. Le persone hanno dovuto contare soprattutto sui propri mezzi, naturalmente chi li aveva, dato che ci sono voluti dieci mesi per ricevere un minimo sostegno economico, peraltro non arrivato a tutti.