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APPELLO La Via Maestra – Roma 7 ottobre Manifestazione nazionale PER il reddito e il lavoro contro la precarietà, per la difesa e la piena attuazione dei diritti costituzionalmente tutelati (pace, sanità, ambiente, diversità) CONTRO l’autonomia differenziata e lo stravolgimento della Carta fondamentale antifascista
La Costituzione italiana – nata dalla Resistenza – delinea un modello di democrazia e di società che pone alla base della Repubblica il lavoro, l’uguaglianza di tutte le persone, i diritti civili e sociali fondamentali che lo Stato, nella sua articolazione istituzionale unitaria, ha il dovere primario di promuovere attivamente rimuovendo “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Per questo rivendichiamo che i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione tornino ad essere pienamente riconosciuti e siano resi concretamente esigibili ad ogni latitudine del Paese (da nord a sud, dalle grandi città alle periferie, dai centri urbani alle aree interne), a partire da: il diritto al lavoro stabile, libero, di qualità; il diritto alla salute e un Servizio Sanitario Nazionale e un sistema socio sanitario pubblico, solidale e universale; il diritto all’istruzione, dall’infanzia ai più alti gradi, e alla formazione permanente e continua; il contrasto a povertà e diseguaglianze e la promozione della giustizia sociale, garantendo il diritto all’abitare e un reddito per una vita dignitosa; il diritto a un ambiente sano e sicuro in cui vengono tutelati acqua, suolo, biodiversità ed ecosistemi; una politica di pace intesa come ripudio della guerra e con la costruzione di un sistema di difesa integrato con la dimensione civile e nonviolenta. Questi diritti possono essere riaffermati e rafforzati solo attraverso una redistribuzione delle risorse e della ricchezza che chieda di più a chi ha di più per garantire a tutti e a tutte: un sistema di welfare pubblico e universalistico; una riforma fiscale basata sui principi di equità, generalità e progressività; una giustizia sociale e giustizia ambientale e climatica “nell’interesse delle future generazioni”. Questo modello sociale – fondato su uguaglianza, solidarietà, accoglienza, e partecipazione – costituisce l’antitesi del modello che vuole realizzare l’attuale maggioranza di Governo con le prime scelte che ha già compiuto e che si appresta a varare destinate a scardinare le fondamenta stesse dell’impianto della Repubblica, come: l’autonomia differenziata e l’elezione diretta del capo dell’ esecutivo. La Costituzione antifascista nata dalla Resistenza – nel riconoscere il lavoro come elemento fondativo, la sovranità del popolo, la responsabilità delle istituzioni pubbliche di garantire l’uguaglianza sostanziale delle persone, i diritti delle donne, il dovere della solidarietà, la centralità della tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali – ha delineato un assetto istituzionale che, attraverso la centralità del Parlamento, fosse il più idoneo ad assicurare questi principi costitutivi e a realizzare un rapporto tra cittadini/e e istituzioni che non si esaurisce nel solo esercizio periodico del voto ma si sviluppa quotidianamente nella dialettica democratica e nella costante partecipazione collettiva della rappresentanza in tutte le sue declinazioni politiche, sociali e civili. Per contrastare la deriva in corso e riaffermare la necessità di un modello sociale e di sviluppo che riparta dall’attuazione della Costituzione, non dal suo stravolgimento, ci impegniamo in un percorso di confronto, iniziativa e mobilitazione comune che – a partire dai territori e nel pieno rispetto delle prerogative di ciascuno – rimetta al centro la necessità di garantire a tutte le persone e in tutto il Paese i diritti fondamentali e di salvaguardare la centralità del Parlamento contro ogni deriva di natura plebiscitaria fondata sull’uomo o sulla donna soli al comando.
Scarica l’appello integrale [Pdf]\ Per tutto il materiale: www.collettiva.it/speciali/la-via-maestra\ Per aderire: adesioni7ottobre@collettiva.it
La strada del nucleare è un modello di transizione energetica che non ha nulla di sostenibile. Per le associazioni ambientaliste le fonti rinnovabili costituiscono il vero volano per lo sviluppo del Paese e per la lotta alla crisi climatica
Lo scorso 21 settembre l’esecutivo in carica ha convocato istituzioni ed imprese per affrontare il tema della transizione energetica, mettendo al centro l’opzione nucleare, già sdogata dal precedente governo Draghi, equiparata a fonte di energia pulita più efficace e sostenibile rispetto alle rinnovabili. Sollevata di scudi da parte delle associazioni ambientaliste che hanno criticato la strada intrapresa dal governo Meloni, chiedendo parimenti un incontro per un confronto serio sulla transizione ecologica, puntando sulle fonti alternative. Inoltre hanno voluto ricordando alla premier i referendum del 1987 e del 2011, con i quali gli italiano hanno già espresso un netto e deciso NO al nucleare. Per Legambiente, WWF Italia, Greenpeace Italia, e Kyoto Club «il Governo Meloni sta totalmente sbagliando strada. Si ostina a credere che quello del “nucleare sostenibile” sia un futuro energetico percorribile e realizzabile in tempi brevi, ma si tratta di una scelta sbagliata e insensata. Il nucleare di quarta generazione o nei mini-reattori modulari nucleari (Small Modular Reactor), la cui realizzabilità è tutta da dimostrare, ha costi alti, tempi lunghi e non elimina l’annoso problema delle scorie, uno dei principali ostacoli ancora irrisolti del settore. Investire in questa forma di produzione di energia, come contributo alla lotta alla crisi climatica, sarebbe una scelta assolutamente contraddittoria con l’urgenza negli interventi di riduzione delle emissioni climalteranti, ribaditi anche nei rapporti dell’IPCC, per contenere l’aumento della temperatura media terrestre entro 1,5°C rispetto all’era preindustriale. Così facendo si rischia di traghettare l’Italia verso una transizione energetica che non ha nulla di sostenibile e che non guarda al bene del Paese e dell’ambiente».
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Attac-Italia sulla lotta al surriscaldamento climatico: la trappola del debito inchioda ai combustibili fossili il Sud del mondo
Secondo quanto ha rivelato dalla inglese Debt Justice – in uno studio (The Debt Fossil Fuel Trap [scarica il pdf]) pubblicato recentemente – emerge chiaramente come in ben più di 50 paesi del sud del mondo – nel poco oltre ultimo decennio – il debito sia aumentato nell’ordine del 150%, costringendo gli stati indebitati a far leva su proventi derivanti dallo sfruttamento delle materie prime fossili per adempiere alle scadenze debitorie. «Il meccanismo, come al solito, è strutturato come una trappola che si autoriproduce», commenta Marco Bersani su Attac-Italia. Inoltre, sulla base dei dati Ocse, fa rilevare che: «oltre il 70% dei finanziamenti finalizzati al contrasto dei cambiamenti climatici (utilizzo delle energie rinnovabili) sono erogati sotto forma di prestiti, ma quando un Paese si trova in crisi debitoria non può accedervi ed è quindi costretto a ricorrere all’aumento delle trivellazioni per lo sfruttamento di carbone, petrolio e gas. Ma anche quando un Paese ha ancora la possibilità di accesso al credito, spesso trova sulla sua strada contratti “capestro”, che rispondono a meccanismi legati all’andamento del mercato, con forte penalizzazione dei Paesi che li contraggono». Ovviamente quel che non viene mai sottolineato dal mainstream è la perversione generata dalla commistione sistemica del modello economico dominante sul piano globale (la finta competizione sui mercati, in stretta alleanza contro il pianeta, come si sottolinea nell’articolo su Attac). Infatti: «banche e imprese petrolifere non sono solo due settori multinazionali all’apice della ricchezza mondiale, ma sono intimamente legate da intrecci societari fra loro». Quanto precede, scrive ancora Bersani, è dimostrato dal Rapporto del Transnational Institute (tni), rapporto che «lega indissolubilmente da una parte Deutsche Bank, BNP Paribas, Royal Bank of Scotland, JP Morgan Chase, Bank of America e Citigroup; dall’altra Royal Dutch Sell, Exxon Mobil, British Petroleum, Chevron, Total, Eni e Lukoil. In finta competizione sui mercati, in stretta alleanza contro il pianeta». Premesso quanto sopra, concordando con le conclusioni di Bersani, appare del tutto evidente che soltanto la lotta per la giustizia climatica, in uno con la cancellazione del debito possa portare ad un qualche risultato positivo per la definanziarizzazione della natura e per la riappropriazione sociale dei beni comuni e della democrazia.
Torna Urban Nature 2023, il 7 e l’8 ottobre la festa WWF della Natura in città: «Le aree urbane nel mondo sono fondamentali per la salute e la sicurezza delle persone e per fermare il declino della natura»
Numerosi appuntamenti e iniziative saranno realizzati in tutta Italia, dove nelle piazze sarà possibile regalarsi una felce per aiutare il WWF a creare Oasi in ospedale per i piccoli pazienti delle strutture pediatriche. Di seguito alcune note estratte dal REPORT URBAN NATURE 2023:
- AREE VERDI rappresentano sempre di più una risorsa fondamentale per la sostenibilità e la qualità della vita delle persone in città. Lo dimostrano numerose ricerche scientifiche sulla relazione tra spazi verdi, qualità della vita e mortalità nelle aree urbane, confermando l’effetto positivo degli spazi verdi sulla salute mentale dei cittadini e sulla riduzione della mortalità;
- AREE URBANE nel mondo ospitano più della metà della popolazione, di conseguenza sono e saranno sempre più al centro dei temi legati alle sfide globali, acquisendo un ruolo fondamentale per la salute e la sicurezza delle persone e per fermare il declino della natura… L’espansione urbana cresce a dismisura in tutto il mondo a scapito della Natura e della salute e sicurezza delle persone, tanto che oggi c’è una correlazione negativa tra la densità di popolazione e gli spazi verdi. In Italia, ad esempio, cresce più il cemento della popolazione: impermeabilizzazione e cementificazione sono progredite negli ultimi 3 anni con una media di 19 ettari al giorno (l’equivalente di 26,5 campi da calcio!), con importanti trasformazioni ed effetti collaterali negativi sul territorio, tra cui la perdita spesso irreversibile non solo di aree naturali selvatiche, ma anche di aree agricole, con seri rischi per la sicurezza alimentare
- NATURA CITTÀ inquinamento di aria, terra e acqua, stress, depressione e alienazione sono i principali effetti gravi della mancanza di natura nelle città.Le aree urbane coprono oggi quasi il 3% della superficie del Pianeta, producono oltre il 70% delle emissioni di carbonio e più del 50% dei rifiuti a livello globale, consumano tra il 60% e l’80% dell’energia e il 75% delle risorse naturali (alimenti e acqua). Cifre per altro destinate ad aumentare. L’enorme impronta ecologica delle città e l’elevata concertazione di vite umane, attività e beni in una superficie ristretta rendono le città sempre più deboli e vulnerabili di fronte alle sfide del futuro come il cambiamento climatico. Ne sono un esempio le città italiane, in cui negli ultimi 43 anni gli eventi meteorologici estremi hanno portato oltre 22.000 morti complessivi e 100 miliardi di euro di danni economici.
Per il WWF, serve un piano nazionale del verde urbano per la riforestazione delle città che preveda una progettazione sostenibile e adeguati programmi di manutenzione, dove tutti devono fare la loro parte: istituzioni, aziende e cittadini. La creazione di spazi verdi ben progettati, ben curati e lo stimolo all’uso da parte delle persone possono effettivamente portare ad una triplice vittoria: sostenibilità ambientale, salute pubblica ed equità sociale.
Quì il Report-WWF
Il nord Italia è la zona più inquinata d’Europa. Il particolato è un agente inquinante fra i più dannosi: causa patologie respiratorie e circolatorie. Il 18,2% di italiani è esposto ad una concentrazione di Pm2.5 superiore ai 20 µg/m³
Secondo l’Oms, l’inquinamento atmosferico è il principale fattore di rischio per la salute in Europa. Come stima la commissione europea, il suo costo è pari ad almeno 330 miliardi di euro l’anno e grava fortemente sul sistema sanitario. Tra le varie sostanze presenti nell’atmosfera, il particolato è uno dei più pericolosi. L’esposizione prolungata a questo agente causa infatti danni a molti apparati del corpo umano come quello circolatorio e respiratorio, ma provoca anche l’insorgere di patologie del sistema centrale e di quello riproduttivo. Tra le relazioni più frequentemente attestate ci sono i tumori ai polmoni, le ischemie e gli attacchi cardiaci, ma anche disturbi respiratori cronici come l’asma. La tossicità è ancora più elevata nel caso del Pm2.5, ovvero quello con il diametro più ridotto (2,5 micrometri), che permette alle particelle di intrufolarsi in profondità nei meandri del corpo umano. In Italia ci sono concentrazioni molto alte in diverse zone del paese. Quasi un quinto della popolazione (più di 10 milioni di persone) respira aria con una concentrazione di particolato fine superiore ai 20 microgrammi, detenendo così il primato negativo in Europa. Infatti – fra gli stati membri dell’Ue – siamo i primi in graduatoria: soltanto la Polonia si trova a livelli di esposizione di inquinamento atmosferico analoghi; ma si tratta in totale di meno di 1 milione di polacchi, una quota di gran lunga inferiore (pari a 2,2% della popolazione). In sostanza, dalla ricerca emerge chiaramente che sono tutte italiane le province più inquinate dell’Ue (8 su 10), fra queste svettano in alto: Milano, Monza e Cremona.
per approfondimenti vai sulla ricerca di Openpolis
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