Sono passati esattamente 40 anni dal giorno in cui il colonnello russo Petrov ha salvato il mondo dalla guerra nucleare
di Michele Boato*
Il 26 settembre 1983 Stanislav Petrov, tenente colonnello dell’esercito sovietico di 44 anni, ha il turno di notte: nel bunker Serpukhov 15 (vicino Mosca) deve controllare i dati che vengono inviati dai satelliti che spiano i movimenti degli armamenti Usa.
La sorveglianza antinucleare sovietica si basa sul sistema di prima allerta Oko, 101 satelliti utilizzati per rilevare il lancio di missili balistici (spesso armati con testate nucleari) attraverso la rilevazione agli infrarossi dei gas di scarico prodotti dai loro propulsori sia in fase di decollo, che di volo, per intercettare il missile e individuare il luogo di impatto.
Le informazioni fornite dai satelliti sono poi trasferite al sistema antimissile balistico.
Alle 0.14 il sistema Oko lancia l’allarme: ha individuato un missile balistico partito da una base in Montana e diretto verso il territorio sovietico.
Petrov prende la difficile decisione di non seguire il protocollo e si mette ad osservare il sistema, anche quando questo lancia altri 4 allarmi per altri 4 missili.
Petrov sa cosa deve fare: la procedura, in caso di attacco missilistico statunitense, è drammaticamente semplice: 1. Allertare il sistema di difesa ed i vertici di co[1]mando militare;
2. Lanciare istantaneamente un contrattacco missilistico nucleare contro gli Stati Uniti secondo la dottrina della “Distruzione Mutua Assicurata”.
Dopo la comunicazione ai superiori, l’allarme percorrerà la scala gerarchica e porterà in pochi minuti alla massiccia operazione di rappresaglia: partiranno missili balistici sufficienti a distruggere obiettivi strategici in Inghilterra, Francia, Germania Ovest e USA.
È un periodo di grandissima tensione tra le due superpotenze: all’inizio del mese un caccia sovietico aveva abbattuto un aereo di linea sudcoreano che, per errore, era penetrato nello spazio aereo dell’URSS: erano morte tutte le 269 persone a bordo.
Pochi mesi prima il Presidente Reagan aveva coniato l’espressione “Impero del Male” e annunciato il programma delle guerre stellari.
Si programmava il dispiegamento dei missili Pershing in Europa.
Al Cremlino c’era Yuri Andropov che si era convinto che gli USA stavano preparando un attacco, un primo colpo nucleare.
Oggi gli storici ricostruiscono quel periodo come il momento di maggiore rischio per l’umanità: forse ancora peggiore della crisi dei missili a Cuba.
Ma Petrov non è convinto. Perché solo 5 missili e non, come tutti prevedono, centinaia?
Sa quale è il suo compito, ma pensa che un attacco preventivo, tale da scatenare la terza guerra mondiale, atomica, non potrebbe mai partire con soli 5 missili.
E nello spazio di pochissimi secondi prende la decisione più importante della sua e delle nostre vite: interpreta il segnale come un errore del satellite.
Alcuni minuti dopo il radar conferma che non è in corso alcun attacco: ciò che il satellite sovietico interpreta come il lancio di 5 missili balistici intercontinentali dalla base nel Montana è in realtà l’abbaglio del sole riflesso dalle nuvole.
Tutto dipende da una congiunzione astronomica legata all’equinozio di autunno da poco passato: il Sole, la Terra ed uno dei satelliti di Oko si trovarono perfettamente allineanti durate i propri moti di rivoluzione ed il sistema Oko interpreta i riflessi solari come i fumi del propulsore di un missile.
Se Petrov avesse seguito il protocollo, nel giro di pochi minuti centinaia di missili russi sarebbero stati lanciati verso il territorio americano. In un’ora la guerra nucleare avrebbe ucciso decine di milioni di persone.
È un caso che sia lui il responsabile; forse un’altra persona avrebbe seguito alla lettera il protocollo e la specie umana non esisterebbe più.
Petrov ha appena salvato il mondo, ma il mondo non lo viene a sapere.
Il tenente colonnello Stanislav Petrov ha ricevuto molte onorificenze, nel resto del mondo, ma non in patria: non riceve nessuna medaglia o encomio per aver salvato il pianeta, anzi gli ordinano di mantenere il segreto e la sua carriera si arresta quella sera di inizio autunno.
Petrov afferma sempre di non considerarsi un eroe, di aver fatto ciò che gli sembrava più logico: «in fondo, ho deciso solo di non fare niente!»
I suoi superiori non la pensano così: è obbligato ad andare in pensione anticipatamente, ha un esaurimento nervoso per lo stress.
La propaganda sovietica non può permettersi di far emergere le falle dei propri sistemi ed apparati militari e il segreto è mantenuto fino al crollo dell’URSS.
La storia di Petrov inizia a circolare solo 20 anni dopo, quando il 19 gennaio 2006 si reca a New York per ritirare un premio dell’Onu.
Nel 2013 l’Assemblea Generale dell’ONU introduce in suo onore la Giornata Internazionale per l’eliminazione totale di tutte le armi nucleari, che viene celebrata ogni anno proprio il 26 settembre.
Petrov muore nel 2017 all’età di 77 anni.
* Tratto dal libro Michele Boato “Nonviolenza in azione. Iniziative e protagonisti” ed Libri di Gaia. Venezia 2022