Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo una lettera di Maurizio Pallante che chiarisce alcune sue visioni sul tema della decrescita suscitategli dall’articolo Crescita economica o decrescita? Meno sarebbe molto di più

Ho letto e apprezzato le argomentazioni con cui Thomas Schmid sostiene che solo la decrescita consentirebbe di ridurre sia l’impatto ambientale, sia le gravi diseguaglianze sociali che affliggono l’umanità in questa difficile fase storica. Vorrei tuttavia precisare che non ho mai condiviso né l’idea che la decrescita sia uno slogan, né che sarebbe più efficace parlare di a-crescita anziché di decrescita. E vorrei precisare perché.

A mio modo di vedere la decrescita non può essere uno slogan per due ragioni. La prima è stata espressa con molta chiarezza da Alessandro Pertosa nel libro Solo una decrescita felice (selettiva e governata) può salvarci, pubblicato dalla Lindau nel 2017, di cui sono co-autore.

Sluaghghairm, da cui slogan, è una parola di derivazione gaelica – composta dai termini ghairm ‘grido’ e sluagh ‘guerra’ – che significa grido di battaglia lanciato dai componenti di una tribù o di un clan contro i propri nemici. La sua prima attestazione in italiano risale al 1905, quando il termine viene usato per significare sentenza o massima, così come anche talvolta leitmotiv, parola d’ordine di una causa o linea di partito.

Parallelamente a questi significati, nel XX secolo, il mondo occidentale ha declinato il termine slogan anche – e soprattutto – in ambito pubblicitario come sinonimo di motto creato per caratterizzare un prodotto. E così, nel processo di onnimercificazione compiuto negli ultimi duecento anni dalla razionalità capitalista, prima, e da quella tecnologico-capitalista, poi, da originario grido di battaglia ha finito per significare in modo quasi esclusivo una frase ad effetto, brevissima e incisiva, della pubblicità commerciale.

Definire la decrescita uno slogan mi sembra quanto meno riduttivo, ma soprattutto quali indicazioni operative se ne possono trarre? Nessuna. Per me la decrescita è la diminuzione della produzione e del consumo di merci che non hanno nessuna utilità – gli sprechi e le inefficienze – e l’aumento della autoproduzione di beni per autoconsumo, che riduce la dipendenza dal mercato: l’economia che Ivan Illich definiva vernacolare.

In relazione all’a-crescita ho scritto, nello stesso libro, che significa non aumento, mentre decrescita significa diminuzione. I concetti sono diversi e gli esiti possono diventare opposti. Se ho la febbre a 40 – il pianeta ha la febbre a 40 – anche se non cresce continuo a star male, anzi sempre peggio. Per stare bene deve decrescere.

Un’ultima osservazione sulla frase finale «Meno sarebbe molto di più». Meno non può essere molto di più perché i due concetti sono opposti. Alto non può essere basso. Grasso non può essere magro. Meno – concetto quantitativo – potrebbe essere meglio – concetto qualitativo. E meno può essere meglio se si riduce la produzione e il consumo di merci che non hanno nessuna utilità. Se si introducono criteri qualitativi nella valutazione delle attività produttive, mentre il Pil misura solo la quantità degli oggetti e dei servizi venduti nel corso di un anno. Dalla definizione di decrescita che io propongo si possono trarre indicazioni operative sia nei propri stili di vita, sia nella politica economica e industriale.

Tanto dovevo precisare perché mi sono state attribuite idee che non ho mai condiviso.

Maurizio Pallante