Dall’inizio dell’anno sono andati in fumo oltre 53 mila ettari di boschi e di foreste e con essi milioni di animali selvatici arsi vivi negli incendi boschivi: ricci, scoiattoli, cervi, caprioli, volpi, ghiri, passeri, capinere, falchi, tartarughe, salamandre, lucertole. Siamo passati dai 41.158 ettari andati a fuoco nel 2021, ai 42.559 bruciati nel 2022 ai 53.522 ettari arsi al 27 luglio 2023.
Una triste contabilità attribuibile non solo alle temperature estreme, ma anche all’incredibile negligenza umana e agli incendi dolosi, responsabili di un allarmante 60% dei roghi. Una macabra contabilità che continuiamo di anno in anno a registrare senza trovare i necessari ed urgenti rimedi. Incendi che anche quest’anno, seppur in maniera decisamente inferiore rispetto allo scorso anno, stanno impegnando i Vigili del fuoco: 45.776 interventi dal 1° gennaio al 10 agosto per incendi di vegetazione (ex bosco e sterpaglie) e 138.146 per incendi ed esplosioni (Vigili del fuoco che sono stati fortemente impegnati per interventi relativi al dissesto idrogeologico).
Qui la relazione di ferragosto del Ministro dell’Interno.
Come sottolinea Legambiente: “Le cause naturali di un incendio boschivo sono estremamente rare. La presenza di una gran quantità di combustibile, ossia la vegetazione, e di comburente, l’aria, non bastano da sole a provocare il fuoco. Quello che manca, in un bosco, è il calore necessario per una reazione chimica a catena. Per questo i roghi, quando non dipendono da irresponsabilità o distrazione, sono quasi tutti dolosi, ossia appiccati con l’intenzione di radere al suolo la vegetazione”. Aggiungendo che: “Solo in parte gli incendi si spiegano con la tradizione agropastorale, che considera il fuoco un mezzo per procurarsi nuovo pascolo o, nel caso dei contadini, per rigenerare la fertilità del terreno. Nel resto dei casi, l’incendio doloso si lega quasi sempre a interessi speculativi legati all’edilizia, ma non solo: in alcune regioni il numero di incendi crea o conferma assunzioni di operai forestali precari. Non raramente è capitato che ad accendere un rogo siano stati proprio coloro che erano pagati per spegnerlo. Gli strumenti principali per frenare la devastazione delle aree protette restano però l’applicazione di leggi per evitare la speculazione sulle aree incendiate, il rafforzamento dei divieti e l’istituzione del catasto regionale delle aree attraversate dal fuoco”.
Di fronte a questa drammatica realtà, non solo non si riesce a intervenire preventivamente per mettere in sicurezza il territorio e per controllarlo adeguatamente (il 44% dei Comuni non ha ancora fatto richiesta per il catasto degli incendi), ma si risulta gravemente deficitari anche sul fronte dell’intervento in caso di incendi: la flotta dei velivoli antincendio è, per fare un solo esempio, notevolmente ridotta a causa di lavori di manutenzione. Attualmente, come si evince da un documento del Dipartimento della Protezione Civile, sono disponibili soltanto 19 velivoli (14 Canadair e 5 elicotteri S64F – ERICKSON) su un totale di 33 velivoli. Che strano Paese è il nostro: ha il “braccino corto” sui Canadair (la flotta è di fatto privatizzata), ma di “manica larga” per il Ponte sullo Stretto di Messina, dove pensa di spendere ben 14,6 miliardi e per i carri armati Leopard II, che ci costeranno tra 4 e i 6 miliardi di €.
Siamo di fronte a una distruzione su vasta scala della preziosa macchia mediterranea del nostro Paese e delle sue foreste, con centinaia di ettari di territorio ridotti in cenere e con danni che hanno già superato la cifra vertiginosa di 6 miliardi di euro. Come ci ricorda Coldiretti, ci vorranno almeno 15 anni per riportare alla vita le zone verdi. Eppure, nonostante i continui disastri che puntualmente si abbattono sul nostro Paese, la politica continua a essere inerte e ad accumulare sprechi e ritardi nella gestione della crisi climatica: sono stati rimossi dal PNRR 15,9 miliardi di euro, su un totale di 191,5 miliardi, destinati alla gestione del rischio di alluvioni, del dissesto idrogeologico, alla valorizzazione del territorio, all’efficienza energetica, alla rigenerazione urbana, all’impiego dell’idrogeno nei settori ad alto impatto ambientale e al verde urbano ed extraurbano. Non solo, ma sono passati vent’anni da quando una legge ha introdotto il reato di incendio boschivo, eppure non si è fatto nulla per aumentare le iniziative di prevenzione e rafforzare il controllo del territorio. Al contrario, ai tempi del Governo Renzi si pensò di militarizzare il Corpo Forestale dello Stato, contribuendo a depauperare un patrimonio prezioso di esperienze e di capacità.
“Puntualmente ogni estate e nello stesso periodo nel nostro Paese”, ha sottolineato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, “scoppiano roghi, il più delle volte di origine dolosa. Una piaga che va assolutamente fermata con azioni di prevenzione e politiche mirate su cui Governo, Regioni e Comuni devono intervenire in maniera sinergica, perché gli incendi si possono prevedere e possono essere evitati; più difficile è spegnerli. Senza contare i danni che provocano, in termini, purtroppo, di vite umane, ambientali ed economici. Per questo oggi abbiamo indirizzato al Governo Meloni dieci proposte di intervento chiedendo, tra l’altro, anche un inasprimento delle pene estendendo quelle previste dal Codice Penale per il reato di incendio boschivo a qualunque tipologia di incendio di vegetazione. Infine, non va dimenticato che è fondamentale responsabilizzare e coinvolgere cittadini, preziosa parte attiva nella lotta agli incendi, ma anche e soprattutto nella partita della prevenzione e informazione”.
Qui le 10 proposte di Legambiente per cercare di contrastare il fenomeno degli incendi boschivi.