L’1 e il 2 settembre nella città di Como si terrà L’altra Cernobbio, quest’anno a distanza di sicurezza dal Forum annuale dello studio Ambrosetti. L‘incontro promosso da Sbilanciamoci è un’occasione che unisce diverse realtà per discutere da una prospettiva critica temi quali l’ambiente, il lavoro, la sanità, la pace e la povertà. Perché ancora oggi è necessario e proporre narrazioni diverse da quelle neoliberiste promosse da leader politici ed economisti al Forum Ambrosetti.
Sulle pagine della rivista online Il Mulino a inizio estate si è aperto un dibattito sul neoliberismo in Italia. Angelo Panebianco ha sostenuto come il nostro Paese non possa configurarsi come aderente a quel corpus di valori politico-economici promosso da Thatcher e Reagan negli anni ’80, in quanto vittima di posizioni monopolistiche e rendite di posizione.
L’economista che si cela dietro il nom de plume Norberto Dilmore ha risposto a Panebianco facendo notare che i processi di globalizzazione, la creazione di catene globali dell’offerta, la deregolamentazione finanziaria, la riduzione della tassazione del capitale, sono tutti fenomeni legati al neoliberismo. E che «i gruppi dirigenti – politici ed economici – di tutti i Paesi hanno dovuto fare i conti con essi». Per approfondire la discussione si rimanda all’articolo di Nicola Melloni su Jacobin Italia, dove vengono analizzate le privatizzazioni e le liberalizzazioni attuate negli ultimi vent’anni e i settori in cui le politiche neoliberiste sono state più pervasive.
Per quanto interessa qui, si prende per assodata la strada intrapresa della progressiva riduzione della presenza dello Stato nell’economia attraverso la deregolamentazione in favore di mercato, che ha portato però a concentrazioni di risorse, opportunità e potere. Appare dunque inevitabile collegare le crisi che stiamo vivendo a un sistema ideologico che ha fede cieca nell’opportunità di accumulo illimitato di capitale a beneficio di pochi e viene descritto come l’unica scelta possibile. Un sistema incapace di gestire le crisi che produce, avallando l’aumento di disuguaglianze, guerre, pandemie e devastazione ambientale.
L’informazione contro la progettualità
A quanti non accettano questo stato di cose una discussione sembra più che mai necessaria per offrire una risposta a quegli stati di eccezione diventati la nuova normalità. E ciò anche se diventa più difficile costruire stabili narrazioni alternative nell’isteria di un’informazione ansiogena che limita qualsivoglia discussione progettuale che risponda a necessità. Questo perché il regime di «infocrazia», come ha spiegato con lucidità il filosofo Byung-Chul Han, influenza l’agire politico prevedendo e guidando le azioni. E ciò tramite un potere che non controlla più soltanto i corpi – come la biopolitica della società disciplinare descritta da Michel Foucault – ma si spinge verso quella che Han definisce «psicopolitica», che nei tratti peculiari del sistema capitalista post-industriale disciplina direttamente la psiche in modo permissivo, costruendo nuovi bisogni e nuovi consumi nelle nostre democrazie digitali.
In questo contesto appare arduo, si diceva, non solo produrre una risposta concertata ma anche definire una scala gerarchica rispetto ai problemi verso cui intervenire per «sistemare le cose». E specie se il potere nelle mani di chi ha interesse nel sistemarle è limitato e comunque si ritrova ad agire all’interno di coordinate definite. Ma questi problemi è utile elencarli, per comprendere come nulla appaia scollegato, bensì unito in una rete che necessita di essere ritessuta. Con progettualità appunto, per guardare oltre al semplice governo delle emergenze.
Ragione e ordine di priorità
Il primo tema cardine a sollevarsi è quello ambientale. Se non altro per un dato semplice: senza un ecosistema che possa ancora ospitare la vita umana sul pianeta, tutto il resto è superfluo. Non serve aprire le porte al complesso tema dell’estinzione umana e della sesta estinzione di massa per sottolineare la necessità di parlare seriamente di questo tema. Basta osservare quanto successo nell’anno corrente, dall’alluvione in Emilia-Romagna ai ciclici nubifragi preceduti da periodi di siccità, sino agli incendi in Sicilia.
Qui si aprono quindi importanti interrogativi su quale futuro ci immaginiamo, sia da un punto di vista del sostentamento energetico che da quello collegato della mobilità. In termini pratici, per proseguire celermente lungo la strada della transizione è fondamentale risolvere quel “trilemma dell’energia” che esorta a mettere in equilibrio sicurezza, equità e sostenibilità. Questa è la sfida più grande e necessita di un agire politico contro gli interessi dei giganti del gas e del petrolio che rimarcano, con la complicità delle classi dirigenti, la priorità della sicurezza (nazionale) rispetto all’equità e alla sostenibilità.
La questione della sicurezza porta però a un altro punto, che è quello della pace. Questo perché vivere in sicurezza è sinonimo di vivere in pace e senza la prima non esiste la seconda, e viceversa. Tutto dipende però da cosa si intende per sicurezza. Da un anno e mezzo ormai stiamo vivendo l’intensificarsi delle ostilità tra il mondo euroatlantico e la Russia nella ridefinizione degli equilibri internazionali, a seguito dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca e sicurezza è diventato sinonimo di difesa militare.
Se si pensa anche al dibattito sul confronto per l’egemonia (o l’apertura al multipolarismo) tra Cina e Stati Uniti siamo immersi in una militarizzazione lessicale delle discussioni che, analogamente al tempo della pandemia, si riempie di parole di guerra e retoriche da “nuova guerra fredda”. Un fenomeno, la guerra, che viene ancora utilizzata come metodo di risoluzione delle controversie ed è, ovviamente, causa e conseguenza della produzione di armi sempre più sofisticate e potenti progettate per ottenere, paradossalmente, più sicurezza.
È solo in un contesto di pace e di rispetto dell’ambiente e dell’ecosistema che le altre dimensioni dell’esistenza possono realizzarsi a pieno. In primis quella della salute, bene primario che andrebbe garantito a ognuno e che troppo spesso è appannaggio di pochi privilegiati, con il settore sanitario pubblico che anche in Italia subisce le cause delle privatizzazioni continue e i tagli alle strutture. Ma anche quella del lavoro, visto come un dovere a cui non potersi sottrarre (quando non un favore fatto dai datori) e quasi come un fine più che uno strumenti di autodeterminazione, che troppo spesso è precario e povero.
Uno status quo inaccettabile
«Per la prima volta in 25 anni, la ricchezza estrema e la povertà estrema sono aumentate drasticamente e contemporaneamente», si legge nel rapporto 2023 di Oxfam sulla povertà dal titolo La disuguaglianza non conosce crisi. Così a livello globale e fortemente anche in Italia, come conferma Oxfam. «Nel biennio 2020-2021 l’1% più ricco globale ha beneficiato di quasi due terzi dell’incremento della ricchezza netta aggregata – sei volte la quota di incremento che ha interessato le imposte patrimoniali dei 7 miliardi di persone che compongono il 90% più povero dell’umanità».
Dati che mostrano di anno in anno quanto questo sistema non sia accettabile checché ne dicano gli esorcisti del socialismo. Non è accettabile che di fronte a molteplici catastrofi una ristretta élite economica si arricchisca con la connivenza delle classi politiche. E ciò accade pressoché in tutto il mondo pur nelle profonde differenze tra Paesi e lo sfruttamento che pure è motore di conflitti interni e internazionali nel Sud Globale.
Uno sfruttamento che si riproduce anche nel contesto della digitalizzazione dove vediamo una nuova religione tra intelligenza artificiale, algoritmi e Big Data, attraverso cui si replicano spesso stereotipi e dinamiche di oppressione. Basti pensare ai gigacapitalisti: pochi, miliardari, detentori di strumenti di massa culturalmente e politicamente influenti.
Ascoltare il desiderio per costruire
Il forum promosso da Sbilanciamoci! quest’anno verrà ospitato dall’Arci allo Spazio Gloria a Como perché ritenuto motivo di preoccupazione per l’ordine pubblico per tenersi a Cernobbio durante il forum a cui si contrappone, con la ragione e con le idee. Sempre a Cernobbio durante l’Ambrosetti sono vietate persino le manifestazioni. Così la sicurezza è considerata apertamente uno strumento di cui disporre e una prerogativa dei pochi (ricchi e potenti, e per certi versi responsabili delle crisi) che devono essere protetti dai tanti che vorrebbero far presente come il “business as usual” non sia più sostenibile. L’altra Cernobbio ogni anno vuole rappresentare l’alternativa delle sinistre e offre l’opportunità di riflettere su quali possano essere le vere priorità di chi rifiuta il cinismo che si fa sistema.
Un’occasione che non è solo negazione di un modello o presa d’atto pessimistica della realtà, ma un appuntamento per gioire nel riconoscersi in contrasto con un sistema che fa della democrazia ormai pura formalità. Perché è inutile fare manutenzione a una strada che nel percorrerla porta inevitabilmente a un vicolo cieco. Serve ricostruirla dalla terra viva e ritracciarla con presupposti nuovi e condivisi. Le crisi non sono tante ma è soltanto una, che si ramifica su più fronti, e riguarda il neoliberismo che alimenta il capitalismo predatorio (che spesso si fa imperialismo). Solo riuscendo a desiderare un’altra politica come gestione della cosa pubblica in senso partecipato e inclusivo – nel rifiuto della discriminazione delle minoranze ma anche nella considerazione delle sensibilità della maggioranza che vive in povertà – sarà possibile far emergere quel potere diffuso di alternative e costruire una casa comune.
Per certi versi è ancora vero quanto condensa il titolo di una raccolta di scritti politici per i tipi di Minimum Fax del compianto filosofo Mark Fisher: Il nostro desiderio è senza nome. Ma esiste e vale la pena di ascoltarlo e perseguirlo con piccole rivoluzioni e prese di potere. Un potere che non è male in sé ma strumento necessario per la costruzione di nuovi mondi di uguaglianza e pace. Perché serve il potere per realizzare quanto Antonio Gramsci definiva l’11 febbraio del 1917 sulle pagine de La città futura come massima giuridica in capo ai socialisti, ovvero la «possibilità di attuazione integrale della propria personalità umana concessa a tutti i cittadini». E questo è un fine che il neoliberismo, presente anche in Italia sia culturalmente che politicamente, non persegue.