Ufficio Comunicazione Focsiv – Il “Pull factor” delle ong, cioè la percentuale di incentivo delle migrazioni irregolari nel mar Mediterraneo da parte delle operazioni di salvataggio eseguite dalle organizzazioni umanitarie, non esiste.
Tale fenomeno, oggetto di discussione da parte della politica nazionale e questione di centrale interesse geopolitico internazionale (Conferenza migrazioni e sviluppo … e i diritti umani? – Focsiv) si toglie la maschera e svela un insieme di colpevoli ben più profondi e articolati.
Un ultimo studio pubblicato il 3 agosto su Scientific Report, rivista internazionale del gruppo editoriale Nature, confermerebbe come il fenomeno sia in realtà il risultato di una più complessa interconnessione di circostanze, che scagionerebbe il “fattore di attrazione” delle ong sul flusso migratorio nel Mediterraneo Centrale, definito “CMR- Central Mediterranean Route”, “la rotta più pericolosa e mortale verso l’Europa dell’ultimo decennio” come afferma lo studio.
Il report, scritto da Ramona Rischke, ricercatrice della Humbloldt Universitat di Berlino e da altri suoi colleghi, dimostra come il flusso migratorio verso l’Italia sia dovuto ad una serie di fattori quali i disastri ambientali dovuti al cambiamento climatico, le questioni socio-economiche ancora più aggravate dalle situazioni di instabilità politica, l’incremento del costo della vita e l’intensificarsi dei conflitti.
In base ai dati riportati, raccolti dall’archivio del monitoraggio dell’Agenzia europea per la protezioni dei confini – Frontex – e quelli provenienti dalle guardie costiere della Tunisia e della Libia, in collaborazione con l’Organizzazione mondiale per le migrazioni delle Nazioni Unite, è stato possibile valutare il fenomeno nel lungo tempo, gli ultimi 10 anni, scanditi da tre archi temporali ben distinti per diverse modalità di interventi di soccorso: Mare Nostrum guidato dallo Stato (1), operazioni umanitarie di salvataggi guidate da ONG e privati (2) e respingimenti coordinati dalla Guardia Costiera libica (3).
I ricercatori hanno utilizzato un modello strutturale bayesiano a serie temporali per stimare gli effetti di questi tre periodi di intervento sul flusso migratorio misurato in base ai tentativi di attraversamento (cioè i conteggi aggregati a serie temporali di arrivi, respingimenti e decessi), aggiustandolo per i vari fattori noti della migrazione irregolare.
Nel corpo del Report si legge: “L’affermazione che la ricerca e il soccorso possano costituire un “fattore di attrazione” si basa probabilmente sulla teoria dei “fattori di spinta e di attrazione” della migrazione. I “fattori di spinta” sono caratteristiche strutturali e sociali che incentivano le persone a migrare verso o fuori da una determinata regione. In questo senso, la mancanza di opportunità di sostentamento o di lavoro, la povertà, i conflitti violenti e prolungati, la corruzione e il degrado ambientale, legato al cambiamento climatico, sono stati segnalati come le cause principali o “fattori di spinta” della migrazione irregolare. I “fattori di attrazione“, invece, si riferiscono alle migliori prospettive occupazionali – in termini di disponibilità di posti di lavoro e delle relative opportunità economiche, di benefici sociali, di sicurezza e di rispetto dei diritti umani, eccetera – che i migranti si aspettano di trovare nei Paesi di destinazione rispetto alle condizioni di vita che devono affrontare nei Paesi di origine, di residenza o di transito. Pertanto, in senso stretto, la ricerca e il salvataggio non possono costituire un ulteriore “fattore di attrazione” all’interno di questo quadro teorico.
Sulla base della modellazione predittiva del Report, i risultati mostrano accuratamente il comportamento delle serie temporali target durante i vari periodi pre-intervento di interesse, il cui confronto (tra le serie temporali osservate e quelle controfattuali previste nei periodi successivi all’intervento) comprova che sicuramente le politiche di respingimento hanno influenzato il flusso migratorio, ma che i periodi di ricerca e salvataggio non hanno prodotto una differenza discernibile tra il numero di tentativi di attraversamento osservato e quello controfattuale previsto.
Di conseguenza, non è possibile evincere alcuna correlazione diretta tra le operazioni di salvataggio in mare come forma di incentivazione delle migrazioni per il Mediterraneo.
Una mera invenzione propagandistica più che un fenomeno con effettivi riscontri nella realtà. Unica eccezione nella casistica sarebbe la riduzione del numero dei tentativi di attraversamento durante il periodo di cooperazione tra UE e Libia per il respingimento coordinato e dell’estensione della zona di esecuzione della Libia, ma questo, riconfermano i ricercatori, a discapito di un deterioramento della situazione dei diritti umani in Libia stessa.
Pertanto, il pull factor delle ONG, si rivela essere alla fine solo uno dei tanti giganti di nebbia avanzati da una comunicazione propagandistica che carente di un approccio analitico mira a ridurre la capacità di discernere e di comprensione del fenomeno della migrazione.
Trovate qui in seguito, il link dello studio realizzato.