“A me piace attraversare strade che ancora non esistono: per renderle più sicure per chi passerà dopo” – questo ha dichiarato Michela Murgia in un vecchia intervista rilasciata a Freeda e credo sia esemplare di tutto il suo operato.

Ha sempre affermato che, per lei, fare la “scrittrice” aveva un ruolo politico e militante. Scrivere significava  dare messaggi politici e lavorare con l’importanza delle parole significava fare “semiotica politica”. Scrivere, e farlo col suo modo diretto, per lei significava lottare per la giustizia e proteggere i diritti delle persone.

Nata a Cabras nel 1972, Michela Murgia era scrittrice, saggista, critica letteraria, drammaturga, blogger, intellettuale poliedrica, podcaster, attivista politica di sinistra, antimilitarista, indipendentista sarda, teologa cattolica e femminista: una splendida sintesi eclettica.

Tutto il suo impegno letterario è stato caratterizzato da messaggi  politici, poiché per lei la letteratura era ancora un luogo sicuro per dire e raccontare cose che in altri luoghi risuonano scandalose.

Con il suo libro “Il mondo deve sapere”, descrisse in modo tragicomico lo sfruttamento nei call center; in “Accabadora” (premio Super Mondello e premio Campiello) ha trattato il tema del fine vita; in “Ave Mary. E La Chiesa inventò la donna” rivoluzionò l’idea di Maria in un’ottica femminista cristiana; in “Futuro interiore” ha raccolto alcune sue riflessioni su temi politici riguardanti il tema del “corpo collettivo”, del vivere ed abitare la democrazia, sottolineando tutte le attuali contraddizioni delle democrazie liberali anche da un punto di vista geografico (come la geografia della Sardegna sia cambiata a causa del turismo, diventando un’estensione di “seconde case”) e filosofico (di come a livello architettonico la democrazia abbia generato le degradanti periferie e non sia stata in grado di generare “bellezza” per le persone che ci abitano). Se è vero che i luoghi generano comportamenti, non sono gli abitanti delle periferie ad essere “degradati”, ma le strutture delle periferie stesse che in quel modo purtroppo sono state pensate da chi di dovere.

Murgia è conosciuta soprattutto per il suo impegno femminista, per la difesa della Legge 194 sull’aborto, per le unioni civili e le adozioni gay, per la lotta alla cultura maschilista e agli stereotipi di genere, alla sessualizzazione del corpo femminile, per un’educazione di genere nelle scuole, per un linguaggio inclusivo di genere fino a diventare famosa per il suo aperto sostegno alla schwa. Nel 2009, dopo la pubblicazione di Ave Mary, dichiarò che il “femminismo è l’unico movimento che lotta per la sua legittima distruzione: una società libera dalla discriminazione”.

La sua critica si è sempre focalizzata su come il patriarcato sia stato in grado di generare, a partire dalla differenze biologiche tra i sessi, delle differenze sociali.

Teologa cattolica di formazione fu attiva nell’Azione Cattolica, insegnante di religione, ma ben presto si avvicinò alla teologia femminista diventando forse una delle più grandi divulgatrici del CTI (Coordinamento Teologhe Italiane) insieme a Marinella Perroni, Cristina Simonelli e Selene Zorzi. Negli ultimi anni ha anche riscoperto la teologia queer e il transfemminismo queer, facendoli dialogare nel suo pamphlet “God save the Queer”.

Eppure Murgia è stata anche molto altro: non dimentichiamo il suo impegno per le lotte antirazziste, per i diritti dei rifugiati e dei migranti, per il sostegno alle ONG, il suo antimilitarismo contro le guerre. Il suo attivismo l’ha vista opporsi all’americanismo e alle esercitazioni NATO in Sardegna, oltre a sostenere le lotte in difesa della Costituzione (il suo sostegno al NO alla Riforma di Renzi nel 2016) o a solidarizzare con la causa del Movimento NoTav.

Nel 2013 si dichiara simpatizzante dapprima del movimento di sinistra iRS – Indipendentzia Repubrica de Sardigna, e in seguito il partito indipendentista sardo di sinistra ProgReS – Progetu Repùblica de Sardigna. Nel 2014 si candida alle elezioni regionali sarde e arriva terza con il 10% circa delle preferenze, non ottenendo però il seggio in Consiglio Regionale.

Famosa è stata anche la sua lotta al precariato, con un’aspra critica anche i sindacati, i primi che, alla luce delle continue politiche neoliberiste e meritocratiche dei governi di centro destra e centro-sinistra, hanno normalizzato il fenomeno a tal punto da riservare un sindacato di categoria ai lavoratori precari (Es: Nidl Cgil), al posto di combattere seriamente questa condizione.

Michela Murgia è stato un faro politico e culturale a partire dal suo concetto collettivo del “noi”. In “Futuro Interiore”, descrisse l’origine etimologica della parola “confine”: “Cum finem”, ovvero “in cui si finisce insieme”. Il confine non è un muro da difendere, ma bensì un luogo di relazione naturale destinato ad essere travalicato. Durante la sua conferenza dal titolo “La presunzione delle cose integre”, analizzò soprattutto un lato oscuro della nostra società: la “paura dei poveri”. L’aporofobia è il vero sentimento negativo presente nelle società occidentali e interseca dinamiche di classe e di razza. Noi siamo razzisti quanto classisti: paradossalmente non ci spaventa il nostro amico straniero che frequenta i nostri stessi luoghi, ma ci spaventa lo straniero povero che scappa da casa sua, spesso anche a causa della nostra indifferenza.

Murgia divenne famosa per le sue  apparizioni al programma “Quante Storie” di Corrado Augias in qualità di critica letteraria: una delle più interessanti novità degli ultimi 10 anni della televisione pubblica. Oltre ai bei libri presentati e alla critica femminista che riservava, ha presentato anche libri che avevano bisogno  di “stroncature” e che dovevano essere per forza criticati. Ci ha insegnato che l’industria editoriale spesso, oltre alla cultura, si impegna nel consumo culturale, nella pubblicazioni di “libroidi” che non hanno alcuna spiegazione d’esistere se non per motivi economici e di visibilità di alcuni personaggi famosi. Lei le stroncature di libri le ha fatte in diretta tv, mettendoci la faccia e riscuotendo un grandissimo successo dal mondo della cultura.

Di grande interesse fu anche il programma di esegesi culturale “Chakra” che in pochi ricordano, purtroppo: applicando il dibattito dialogico-democratico, ha trattato di vegetarianesimo, nuove genitorialità, diritti animali, canoni di bellezza, dinamiche tossiche del web e maternità surrogata. Un esercizio di democrazia che purtroppo la tv di Stato non ha più imitato.

Molto importante è stato il suo impegno antifascista; destò scandalo con il pamphlet “Istruzioni per diventare fascista” che, in modo ironico, esplicitava le opinioni comuni dei fascisti del Terzo Millennio, oltre a proporre il “fascistometro” per misurare la percentuale di fascismo che c’è in ognuno di noi.

Durante la crisi sanitaria da Covid-19 criticò la comunicazione bellica e la militarizzazione della gestione pandemica, dichiarando: “A me personalmente spaventa avere un commissario che gira con la divisa, non l’ho mai subito il fascino della divisa” – in riferimento al Generale Francesco Paolo Figliuolo.  “Da un uomo che proviene da un contesto militare non ci si può che aspettare un linguaggio di guerra. Mi domando se il linguaggio di guerra sia quello giusto da utilizzare con chi non è militare, cioè con tutto il resto del Paese”. Criticò inoltre la mitizzazione dell’idea dell’uomo forte: “Funziona? Ma funziona su chi? Non capisco. Io gli unici uomini che ho visto in divisa davanti alle telecamere che non fossero le forze dell’ordine durante un arresto importante sono i dittatori. Quando vedo un uomo in divisa mi spavento sempre, non mi sento più al sicuro. Non sono sicura che la categoria bellica sia la categoria con cui si può responsabilizzare un Paese. Ci spaventa di più”.

In occasione del 2 giugno 2023, in presenza del Battaglione della  X Mas – storicamente fascista e nato sul rastrellamento delle popolazioni slave – durante i festeggiamenti ufficiali, ha dichiarato: “Io sono antimilitarista, non è un mistero. Non odio i militari, ma sono cittadina di uno Stato che nella Costituzione ripudia esplicitamente la guerra. Se è la Costituzione più bella del mondo dovremmo essere tutti e tutte antimilitaristi”.

L’ultima sua lezione di antimilitarismo ce l’ha data quando ha dichiarato di essere malata di cancro in fase terminale: “Ho il carcinoma renale al quarto stadio. Dal quarto stadio non si torna indietro. Le metastasi sono già ai polmoni, alle ossa, al cervello. (…) Meglio accettare che quello che mi sta succedendo faccia parte di me. La guerra presuppone sconfitti e vincitori; io conosco già la fine della storia, ma non mi sento una perdente. (…) Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi. (…). Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai”.

Nell’intervista sulla sua ultima opera, «Tre ciotole», spiega che il personaggio del suo libro non vuol sentir parlare di «lotta» contro il male:  «Perché non mi riconosco nel registro bellico. Mi sto curando con un’immunoterapia a base di biofarmaci. Non attacca la malattia; stimola la risposta del sistema immunitario. L’obiettivo non è sradicare il male, è tardi, ma guadagnare tempo. Mesi, forse molti. (…) Parole come lotta, guerra, trincea… Il cancro è una malattia molto gentile. Può crescere per anni senza farsene accorgere. In particolare sul rene, un organo che ha tanto spazio attorno. (…) Non è una cosa che ho; è una cosa che sono. È un complice della mia complessità, non un nemico da distruggere. Non posso e non voglio fare la guerra al mio corpo, a me stessa».

Il 10 agosto 2023, il giorno delle stelle cadenti, Michela Murgia se n’è andata all’età di 51 anni, dopo aver celebrato la sua famiglia “queer” e il matrimonio in articulo mortis con l’attore e regista Lorenzo Terenzi, anche come atto di denuncia delle carenze legislative italiane sulle coppie di fatto.

Il suo ultimo post su Instagram  è stato un attacco all’azione razzista del sindaco di Ventimiglia, colpevole di aver negato l’accesso all’acqua ai migranti sul suo territorio:“È normale che ci faccia schifo chi nega agli esseri viventi il diritto ai bisogni più elementari. Che poi un’amministrazione possa pensare di risolvere il problema del degrado urbano lasciando le persone ad agosto senza acqua – cioè più esposte alle infezioni – è un’idiozia tale che ci arriva anche chi non ha il pollice opponibile, cosa che credo serva persino per diventare sindaci con la Lega”.