Sul Manifesto, in contemporanea su Mediapart e in arabo su Nawaat, la lettera aperta di 379 ricercatrici e ricercatori e membri della società civile.
Mentre l’allineamento della Tunisia alle politiche europee di esternalizzazione si è consolidato da tempo, denunciamo l’attuale pericoloso tornante nell’accettazione di queste politiche e dei presupposti razzisti che vi sottendono. Ormai la Tunisia mostra una propria volontà di rafforzare un sistema di esclusione e di sfruttamento di chi proviene da Paesi dell’Africa sub-sahariana. Invece di denunciare questa ulteriore escalation razzista, basata su un discorso populista e cospirazionista proprio al contesto di deriva autoritaria che sta attraversando il Paese, i responsabili europei strumentalizzano le migrazioni cosiddette irregolari presentandole come “una piaga comune”.
In maniera opportunista e irresponsabile, la UE consolida il discorso presidenziale e alimenta la fobia anti-migranti e anti-nere/i, oltre a veicolare l’immagine di un’Europa che aiuta la Tunisia a proteggere i suoi confini e non invece quelli europei.
Esprimiamo la nostra piena solidarietà con tutte le persone migranti e il rigetto dei discorsi di odio da entrambe le sponde del Mediterraneo. Come universitari/e e membri della società civile che lavorano su queste tematiche, desideriamo inoltre contrastare la disinformazione diffusa in Tunisia da alcune/i responsabili politici, giornaliste/i e individui che si presentano come universitari/e le/, i quali costruiscono argomentazioni razziste prive di ogni fondamento fattuale. È urgente interrogarsi sulle ragioni per cui delle popolazioni vulnerabili vengono utilizzate come capro espiatorio per nascondere il fallimento delle politiche pubbliche in Tunisia.
1) No, le/i cittadine/i dei Paesi dell’Africa sub-sahariana non sono una “piaga” per la Tunisia
È stato proprio il comunicato della presidenza della Repubblica del 21 febbraio 2023 che si riferiva a “orde di migranti sub-sahariani” minaccianti “la composizione demografica” del Paese a scatenare violenti attacchi contro le persone nere, così come arresti arbitrari, espulsioni dalle abitazioni e brutali licenziamenti. Mentre diverse ambasciate organizzavano rimpatri, molte/i sono fuggite/i via mare – nello stesso periodo si è verificato un aumento drastico di naufragi, decessi o sparizioni al largo delle coste tunisine. Alcune centinaia di persone tuttora dormono davanti gli uffici dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) a Tunisi, richiedendo una ricollocazione o un’evacuazione verso Paesi sicuri.
All’inizio di luglio a Sfax questi attacchi si sono nuovamente intensificati, in seguito alla morte di un cittadino tunisino di cui è stato incolpato un cittadino di un Paese dell’Africa sub-sahariana, mentre poco prima un uomo del Benin è stato pugnalato a morte. In un contesto in cui ancora oggi vengono liberamente diffusi discorsi di odio, le forze di sicurezza tunisine hanno intensificato le retate a Sfax, deportando almeno 1.200 cittadine/i subsahariane/i alle frontiere con la Libia e l’Algeria, all’interno di zone desertiche militarizzate e inaccessibili. Senz’acqua, né cibo, spesso malmenate/i, molte/i di loro sono riuscite/i a far arrivare le immagini della loro sofferenza – una realtà negata dal Ministero degli Interni. Ad oggi almeno 20 morti sono stati confermati da diverse fonti, un numero probabilmente ampiamente sottostimato.
Dietro le categorie razzializzanti di “subsahariane/i”, “africane/i” o di “migranti irregolari”, vi sono studentesse e studenti, lavoratrici e lavoratori, rifugiate/i e richiedenti asilo, persone arrivate per ricevere cure mediche, oppure da anni in attesa del permesso di soggiorno, così come persone che non possono uscire dal territorio per rinnovare il visto. La diversità dei percorsi e delle condizioni di queste persone, come la loro stessa umanità, vengono rese invisibili, con il risultato di marginalizzarle ulteriormente e disumanizzarle. Molte/i non riescono a regolarizzarsi a causa di un quadro legislativo obsoleto e incoerente e di procedure amministrative lente e complesse. Così come accade a molte/i tunisine/i in Europa, la condizione delle persone migranti in Tunisia diventa irregolare a causa di leggi e pratiche che classificano le popolazioni del continente africano in migranti “desiderabili” o “indesiderabili” e che criminalizzano gran parte dei suoi giovani. Invece, il soggiorno irregolare dei migranti occidentali – molto frequente in Tunisia, a causa delle medesime disfunzioni burocratiche – non viene visto come un problema securitario.
Inoltre, nulla conferma l’affermazione secondo la quale la forza lavoro migrante sarebbe responsabile del degrado dell’economia tunisina, come viene suggerito dalla vulgata xenofoba. Come molte/i tunisine/i, in realtà esse/i sono spesso sfruttate/i e esposte/i alla precarietà e alla vulnerabilità alimentare. L’attuale crisi economica è piuttosto causata dalla mancanza di prospettive economiche, dalle politiche di austerità sostenute a livello internazionale, alla gestione del debito pubblico, o ancora dall’ incapacità dello Stato a porre rimedio alle disuguaglianze socio-economiche.
2) No, il Memorandum con l’UE non protegge la sovranità tunisina
Nei suoi interventi pubblici, il presidente Kaïs Saïed sembra difendere la sovranità della Tunisia, dichiarando che il Paese non accetterà di diventare “un paese di ricollocamento” per migranti espulse/i dall’Europa, né un “Paese di transito o un luogo d’insediamento”, oppure di essere ridotto al ruolo di gendarme dell’Europa.
Tuttavia il Memorandum – con il quale l’UE s’impegna a fornire un appoggio finanziario per la gestione delle frontiere – dimostra che il governo continua a integrare gli obiettivi delle politiche europee impegnandosi pienamente nella securizzazione delle frontiere dell’UE. Il presidente agisce nel solco tracciato dai suoi predecessori e potrebbe perfino andare oltre nell’esternalizzazione, dato che l’accordo menziona “un sistema d’identificazione e di rientro dei migranti irregolari già presenti in Tunisia verso il loro Paese di origine”. Ciò suggerirebbe lo sviluppo dell’approccio “hotspot”, secondo il quale i flussi migratori vengono gestiti alle frontiere esterne dell’UE, in Paesi come la Tunisia, impedendo completamente l’accesso al continente europeo. Mentre il governo afferma di rifiutare l’insediamento di persone migranti da Paesi dell’Africa subsahariana, la chiusura delle frontiere contribuisce al loro confinamento in Tunisia.
3) No, né le popolazioni tunisine, né quelle europee ne trarranno benefici
In continuità con gli accordi migratori conclusi prima e dopo il 2011, questo Memorandum è stato firmato in maniera non trasparente, senza discussioni parlamentari e senza consultare i sindacati o la società civile. In più, il Memorandum non fornisce garanzie precise di rispetto dei diritti umani, né misure per controllare l’utilizzo dei doni erogati alle forze di sicurezza tunisine.
L’UE insiste nel voler dare carta bianca alla Tunisia, strategia tanto più irresponsabile perché inefficace. Finché le cause socio-economiche strutturali delle migrazioni cosiddette irregolari non verranno messe in causa e l’accesso alla mobilità non verrà radicalmente ripensato, l’approccio securitario non farà che rendere le traversate più mortali, rafforzando i trafficanti.
Questo Memorandum aumenterà l’asimmetria fra l’UE e la Tunisia nell’accesso alla mobilità e alle opportunità, in particolare contribuendo a quella che viene chiamata “la fuga dei cervelli” e a modelli economici che alimentano le cause delle migrazioni e delle diseguaglianze. Le vaghe contropartite proposte dall’UE come la facilitazione dei visti e i “partenariati dei talenti” fanno parte di quelle promesse già fatte in passato alla Tunisia che non sono mai state mantenute. L’esternalizzazione delle frontiere europee colpisce in questo modo l’insieme delle persone migranti considerate “non desiderabili” del continente, tunisine come degli altri Paesi africani.
D’altronde la volontà manifestata nel Memorandum di “preservare la vita umana” è ben poco credibile, dato che dal 2014 circa 27.000 persone sono morte o disperse nel Mediterraneo, a causa delle stesse politiche europee che si sono ritirate dai salvataggi in mare, di fatto criminalizzandoli.
Il solo modo per tutelare veramente gli interessi e la dignità di tunisine/i e di cittadine/i del continente africano presenti nel Paese è di attivare modalità di ascolto e di dialogo costruttivo con le popolazioni tunisine e non tunisine colpite da queste politiche, con le varie associazioni che le rappresentano e con attori sociali e comunità di ricerca. Questi scambi dovrebbero contribuire a far emergere una riflessione collettiva sulle soluzioni politiche alternative all’attuale gestione mortifera delle frontiere, riconoscendo le migrazioni come un diritto e una ricchezza per tutte/i.