Il Festival dell’Alta felicità di quest’anno ha un programma ricco di dibattiti, concerti, momenti di approfondimento. Ieri, nella sua ultima giornata, il programma prevedeva il dibattito Migrazioni: da Cutro alle Alpi che è stato un’occasione per approfondire tramite testimonianze dirette gli avvenimenti legati al naufragio di Cutro e cercare un punto di vista più ampio sul tema delle migrazioni in Italia.
Al dibattito partecipano Manuelita Scigliano e Ramzi Labidi dell’Associazione Sabir di Crotone e Karim Metref, educatore e giornalista free-lance. Modera il dibattito Gianna de Masi di Carovane Migranti.
L’associazione Sabir è stata la promotrice della Rete 26 febbraio, che riunisce 450 associazioni a livello nazionale per coordinare gli aiuti umanitari ed il supporto ai parenti delle vittime del disastro di Cutro.
Manuelita Scigliano e Ramzi Labidi hanno raccontato quanto successo a Cutro nelle settimane successive al naufragio di febbraio; un’esperienza umana che ha lasciato il segno e che li ha spinti a protestare per ottenere quel minimo rispetto da parte delle istituzioni nei confronti dei parenti delle vittime.
La strage di Cutro è stato uno spartiacque, perché l’opinione pubblica italiana si è resa conto che ai freddi numeri dei morti in mare corrispondono persone vere, con la loro storia e le loro relazioni.
Una parte consistente dei naufraghi di Cutro proviene dalla zona di Herat, quella parte dell’Afganistan in cui operavano i soldati italiani.
Poi ci sono le singole storie che è importante raccontare.
Ad esempio, la storia della nonna partita dall’Afganistan dei Talebani, a cui hanno ucciso il marito, per ricongiungersi con figli e nipoti che non vedeva da nove anni. L’unica possibilità di raggiungerli era affidarsi agli scafisti della rotta che parte dalla Turchia; è morta nel naufragio vicino ad una ragazza dell’età di suo nipote. Quando la figlia ha saputo che dentro la bara già chiusa c’era sua madre, ha cercato di strapparne il coperchio con le unghie.
Oppure la storia del ragazzo afgano che ha perso il fratello di sei anni non per il naufragio vero e proprio, ma per il freddo durante le due ore passate in acqua mentre aspettavano l’intervento dei soccorsi.
O le urla strazianti della madre che ha perso nel naufragio due dei quattro figli, urla che resteranno indelebili nella memoria di Manuelita.
Un discorso a parte merita la durezza delle istituzioni verso i parenti delle vittime, che sono arrivati a Cutro immediatamente dopo il disastro, durezza solo parzialmente mitigata dall’intervento della società civile e dell’impegno diretto del Presidente della Repubblica, invocato da Ramzi; si è dovuto comunque lottare per ottenere un minimo di supporto e di rispetto per il dolore dei parenti.
Il PalaMilone, la struttura dove sono stati portati i corpi ritrovati in mare, è rimasto chiuso per i parenti delle vittime per quarantotto ore. Quando la struttura è stata aperta, le associazioni hanno pensato al supporto portando sedie e quanto necessario per consentire ai parenti di stare vicino ai propri cari, compensando l’assenza delle istituzioni e protestando affinché venissero forniti cibo ed acqua.
Durante il Consiglio dei Ministri tenuto a Cutro nessuno ha pensato di rendere omaggio alle vittime del naufragio.
Ad un certo punto si è parlato del trasferimento coatto delle salme a Bologna (dove è presente il cimitero islamico di Borgo Panigale), trasferimento impedito solo grazie alle proteste dei parenti con l’appoggio delle associazioni e del sindaco di Crotone.
Karim Metref cerca di dare un contesto più generale al tema delle migrazioni: negli ultimi trent’anni la situazione è peggiorata parecchio, come risulta peggiorata la situazione internazionale a livello più generale.
Negli anni ’90 per spostarsi in un Paese europeo bastava un biglietto aereo: chi ci provava poteva anche rientrare nel caso in cui il tentativo non fosse andato a buon fine. Ora chi si sposta scommette la propria vita e costringe la propria famiglia a vendere tutto; il migrante è costretto a restare in Italia ed in Europa a qualsiasi costo per poter supportare la sua famiglia ridotta sul lastrico.
Negli ultimi trent’anni è stato annullato un diritto sancito dalla Carta dei Diritti dell’uomo: il diritto di spostarsi, creando di fatto un sistema di Apartheid del passaporto a livello mondiale; con certi passaporti puoi andare in tutto il mondo, con altri non ti puoi spostare dal tuo Paese.
Fa comodo non affrontare le cause che spingono la gente a migrare, vuoi perché sono cause strutturali al sistema socioeconomico, vuoi perché fa comodo avere manodopera a basso costo per l’industria agro-alimentare italiana.
Gianna de Masi nei suoi interventi ha inserito le questioni trattate nel dibattito nel solco della lotta NoTav, che già da tempo è diventata qualcosa di più dell’opposizione popolare ad una grande opera inutile, prendendo la strada della più amplia rivendicazione al Diritto alla felicità per tutti (da qui il nome del Festival). Diritto alla felicità che colloca immediatamente la lotta NoTAV a un livello intersezionale e la avvicina alle lotte per il clima (forte la presenza al festival dei giovani di Fridays for Future), a quelle per un’equa distribuzione delle risorse ed alle rivendicazioni dei migranti e di chi vuole mantenere il “diritto alla solidarietà”.