Blocchi navali, stato d’emergenza nazionale, porti chiusi, pugno duro, rimpatri forzati, accordi(cchi) africani, abolizione della protezione speciale, porti assegnati alle Ong il più lontano possibile per cercare di tenere le navi umanitarie lontano dalla zona di ricerca e soccorso: sono solo alcune delle “strategie” di contrasto alle migrazioni (“strategie” tra l’altro del tutto fallimentari, dato il raddoppio degli sbarchi rispetto all’anno scorso; in questi giorni a Lampedusa ci sono stati 65 sbarchi in sole 24 ore).
Una politica migratoria dettata esclusivamente da un approccio ideologico.
Poi, arriva la vendemmia, si rischia di non avere sufficienti braccianti per cogliere l’uva ed ecco che allora lo “spauracchio immigrati” svanisce in un sol colpo e via libera a 40mila stranieri che saranno impegnati nel lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico-alberghiero: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2023/08/14/23A04691/sg).
D’altra parte durante il “click day” previsto dal Decreto flussi 2022 le istanze trasmesse dai datori di lavoro erano state oltre 252.000, il triplo rispetto alle 82.705 quote previste per l’ingresso di lavoratori stranieri per motivi di lavoro subordinato, anche stagionale: https://www.integrazionemigranti.gov.it/it-it/Ricerca-news/Dettaglio-news/id/3163/Flussi-2022-oltre-250-mila-domande-il-40-dalla-Campania.
E’ la solita schizofrenia con la quale si continua da anni ad affrontare il governo delle inevitabili migrazioni: decreti sicurezza e voce grossa in una perenne campagna elettorale (e d’odio) contro i migranti e poi “braccia aperte” -tra quote e flussi- quando risultano indispensabili per non far collassare la nostra economia (il nostro benessere, il nostro strombazzato Made in Italy e le nostre pensioni).
Politiche di respingimento urlate a beneficio di elettorati umorali e tolleranza sottobanco per evitare di paralizzare settori cruciali della nostra economia, che andrebbero in crisi profonda senza la forza lavoro straniera. Settori ove non di rado è maggiormente presente il sommerso e il lavoro nero. Secondo la Coldiretti, nel nostro Paese 1 prodotto agricolo su 4 viene raccolto da mani straniere con 358mila lavoratori provenienti da 164 Paesi diversi che sono impegnati nei campi e nelle stalle fornendo più del 30% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore.
Interi “distretti agricoli” sopravvivono grazie ai lavoratori immigrati: nel Veronese per la raccolta delle fragole, in Friuli-Venezia Giulia per le barbatelle, in Trentino per le mele, in Piemonte per l’uva, in Emilia-Romagna per la frutta, in Lombardia per gli allevamenti. E non è solo l’ “opulento Nord” ad aver bisogno delle braccia dei migranti. Anche nel basso Lazio, in Campania, in Puglia, intere filiere produttive si bloccherebbero senza la presenza, clandestina o meno, dei lavoratori migranti. Per non parlare del lavoro domestico e di cura, del nostro malandato welfare rivolto alle persone anziane, che continua a stare sulle spalle di migliaia di badanti. Basta passare in rassegna i puntuali dati di IDOS e soprattutto i 10 luoghi comuni che il Centro Studi e Ricerche ci invita a sfatare per cogliere la “truffa politica” che si consuma sugli immigrati: https://www.dossierimmigrazione.it/immigrazione-i-dieci-luoghi-comuni-da-sfatare-in-vista-delle-elezioni-europee/.
Immigrati che sono oggetto di pesanti sfruttamenti.
Come sottolinea Openpolis: “Spesso accusati di rubare il lavoro agli italiani, in realtà gli stranieri fanno mediamente lavori meno qualificati e meno retribuiti. Oltre a subire più frequentemente lo sfruttamento e condizioni lavorative degradanti, come nel caso del caporalato”: https://www.openpolis.it/i-lavoratori-stranieri-tra-irregolarita-e-sfruttamento/.
Ci sono poi interi settori che sopravvivono solo grazie agli immigrati. Stiamo parlando, per esempio, del commercio ambulante, che registra oltre 160mila imprese, il 21% di quelle commerciali del Paese. Ebbene, come evidenzia l’analisi condotta da Unioncamere-InfoCamere basata sul Registro delle Imprese delle Camere di commercio, la stragrande maggioranza delle bancarelle, 151mila, pari al 95% del totale, è gestita da micro-imprese individuali e oltre la metà di queste (56,8%) sono nelle mani di persone immigrate. Stiamo parlando di un’attività particolarmente adatta a rispondere alle esigenze delle diverse realtà locali, soprattutto quelle minori (i piccoli comuni, le aree interne e montane) e uno strumento che crea un legame stretto con il territorio, contribuendo alla vitalità economica delle comunità locali. Qui i dati: 10082023_com_commercio_ambulante_1-2023.docx .
Eppure, per tanti il commercio ambulante dei migranti si identifica esclusivamente con i venditori che battono le nostre spiagge durante i mesi da giugno a settembre, sfidando caldo, multe e le nostre facce infastidite pur di raggranellare 4 soldi. Per loro si arriva ad invocare addirittura “tolleranza zero” come se fossimo di fronte ad un grave problema di ordine pubblico.
“I venditori ambulanti migranti del Bangladesh, spesso senza documentazione adeguata, lavorano sulle coste italiane, guadagnando salari magri che a malapena sostengono il loro sostentamento. Da giugno a settembre, durante gli intensi mesi estivi, questi migranti lavorano instancabilmente, sfidando il caldo intenso e le lunghe ore di lavoro per guadagnare un reddito modesto. I venditori ambulanti in Italia non hanno attività registrate e non pagano le tasse, rendendo illegali i loro guadagni. Nel 2018, l’Italia ha introdotto la politica delle “spiagge sicure”, che prende di mira i venditori ambulanti migranti e criminalizza la loro attività. La legge prevede che chiunque venga sorpreso ad acquistare beni dai venditori ambulanti sulle spiagge italiane rischia multe fino a 7.000 euro, che equivalgono a 838.109 Taka del Bangladesh Inoltre, sono spesso oggetto di vessazioni da parte della polizia, delle imprese e dei turisti che li percepiscono come troppo fastidiosi.
Alcuni italiani li chiamano addirittura “vu cumprà”, una frase beffarda che significa “vuoi comprare?” Ciò riflette il sentimento spesso sprezzante nei confronti della loro presenza”. Così si legge nelle “Storie mai raccontate di venditori ambulanti del Bangladesh sulle coste italiane”, raccolte dal giornale bengalese Prothom Alo: https://en.prothomalo.com/bangladesh/78f0sdim2n.
Pur non volendo affatto giustificare l’illecito nè invocare la rinuncia alla certezza del diritto, potrebbe essere forse più opportuno cercare di offrire opportunità per l’emersione di forme di commercio negli spazi pubblici, nel rispetto della normativa sul commercio e fiscale, che continuare con il registro securitario e con i piani “Spiagge sicure”.
In Europa negli ultimi anni altri Paesi (Germania, Regno Unito, Francia) hanno gestito molte più richieste d’asilo rispetto all’Italia, senza schizofrenia e in modo ordinato.
E la stessa emergenza dovuta alla guerra in Ucraina ha dimostrato che l’accoglienza anche nel nostro Paese può avere un diverso approccio, efficace (anche rispetto agli interessi economici e demografici) oltre che etico.