Irene León Trujillo, sociologa e analista politica ecuadoriana, è specialista in “alternative alla globalizzazione e diritto alla comunicazione”. Fa parte di ALAI e della Rete degli Intellettuali e artisti in difesa dell’umanità (Redh). L’abbiamo intervistata a proposito della turbolenta situazione in Ecuador, avviato verso le elezioni anticipate del 20 agosto.
Che lettura dai della società ecuadoriana alla vigilia delle elezioni del 20 agosto?
Siamo in pieno scontro fra due progetti, fra due modelli di paese. Da un lato, il neoliberismo che in questa fase sta mostrando una capacità distruttiva senza pari: distruzione dell’istituito, della sicurezza, della convivenza, della cultura. Da sei anni a questa parte, il ritorno del neoliberismo che cerca di trasferire al mercato tutti i settori della vita sta facendo piazza pulita di tutte le conquiste sociali che avevamo ottenuto. Non si tratta solo dell’Ecuador, ma di un progetto articolato con quello dei poteri fattici del capitalismo e delle corporazioni internazionali: dal capitale finanziario al complesso militare-industriale e ai capitali illeciti che in questo momento vediamo dilagare da noi, ma anche in molti altri paesi del mondo. Tutto questo comporta gravi conseguenze socio-economiche, come sempre accade quando c’è un ritorno indietro di questa portata in un paese che, come il nostro, con la Rivoluzione Cittadina, aveva vissuto una ben diversa situazione.
E così ci troviamo immersi nel caos e nella violenza correlata, che hanno registrato una crescita smisurata. Dal lato opposto, c’è la proposta di un paese sovrano, articolato a un progetto di integrazione regionale, all’iniziativa del Sud, a quella del mondo multipolare che, per quanto riguarda l’Ecuador, significa costruire iniziative per una diversa economia, significa mettere la vita prima del capitale, come recita la nostra costituzione basata sul “buen vivir”, che si propone di sviluppare la società intorno alla vita e non, come purtroppo stiamo vedendo ora, intorno alla morte. Letteralmente.
I candidati alla presidenza, che prima erano 8, ora sono 7 dopo l’uccisione di Fernando Villavicencio, candidato per il Movimiento Construye a succedere a Guillermo Lasso. Nella sua lista, figurano personaggi come l’ex ministro dell’Interno di Lasso, Patricio Carillo, che ha diretto la politica repressiva durante le proteste del 2022 e che rappresenta i settori più reazionari della polizia in Ecuador, o la ex ministra di Moreno, María Paula Romo. Villavicencio era ferocemente avverso alla Rivoluzione cittadina, però denunciava che l’Ecuador si era trasformato in un “narco-stato”, con un livello di insicurezza impressionante. Cosa pensi di questo omicidio – il primo di un candidato alla presidenza in Ecuador – e come si è arrivati a questo punto, considerando che prima l’Ecuador veniva considerato un paese molto sicuro?
Ci siamo ritrovati in un contesto elettorale sui generis, provocato da una misura presa in extremis dal governo del presidente Lasso: la sospensione e la chiusura del Parlamento e la convocazione di elezioni anticipate. La costituzione lo consente, ma la procedura non è stata proprio lineare. Ora siamo alla vigilia delle elezioni generali, in un contesto caratterizzato da molta violenza politica. In questo quadro si inserisce l’omicidio di Villavicencio: un uomo della destra, non del centro-destra, come è stato scritto, con una riconosciuta affinità al banchiere Lasso. Ovviamente si tratta di un fatto grave, che ferisce il paese e la fragile democrazia che abbiamo ora. Si tratta, però, di un’espressione della forte ascesa della destra e della de-istituzionalizzazione a cui ha dato impulso il ritorno al neoliberismo in questi sei anni.
In questo processo di svilimento delle istituzioni, si è anche prodotta la banalizzazione della politica, che il neoliberismo considera secondaria, persino non praticabile, giacché il suo intento è quello di gestire lo Stato in base a criteri imprenditoriali, e ne demonizza l’organizzazione. In questo processo di ostracismo della politica e di riduzione al minimo della sua forza, c’è una competizione fra diversi attori, compresi gli attori del settore privato contro la politica.
In questo scenario, entrano in campo anche i settori illeciti. Secondo i media nazionali, già a febbraio di quest’anno si registravano 61 attacchi contro politici e 22 persone uccise. Situazioni come quella che ha portato all’assassinio di Villavicencio, solo possono risultare dal caos impiantato nel paese come elemento consustanziale del neoliberismo, e che pesa su questo processo elettorale. L’altro ieri sono state rese pubbliche le minacce ricevute da un membro dell’autorità elettorale, cosa che comprova che la violenza si sta dirigendo anche contro questa istituzione. Infatti, in questi ultimi giorni, stanno crescendo le insinuazioni o i “suggerimenti” espliciti circa il rinvio delle elezioni, fino a prefigurare un governo di transizione composto da militari. Vi sono manovre mediatiche visibili in questo senso.
Pur essendo immerso nel sistema politico che descrivi, Villavicencio aveva fatto della “sicurezza” e della “legalità” un suo cavallo di battaglia. Com’è da intendere, per te, il problema della “sicurezza”?
Che in un paese nel caos il crimine organizzato si presenti come un attore protagonista è parte della dinamica del mercato e del ruolo del settore privato. È l’altra faccia dei poteri reali che governano e pesano nella società, anche sopra i governi. Da sei anni l’Ecuador sta cadendo nel precipizio in cui imperano questi poteri: in quanto luogo di passaggio strategico per la droga e per il riciclaggio di denaro sporco, e in quanto si è permesso di crescere a questa dimensione precisa del neoliberismo ed è aumentato l’asservimento dello Stato. Per questo, porre il problema solo in termini di “sicurezza”, è sbagliato. Occorre porselo in termini più generali, come conseguenza del disinvestimento dello Stato dai suoi compiti a favore di una presunta autoregolazione delle forze del mercato. Le forze del mercato, che perseguono i propri interessi, non possono “autoregolare” né la sicurezza, né tantomeno possono supplire al necessario compito di cura del bene comune e della sicurezza dei cittadini, che è proprio dello Stato. Lo Stato ha l’obbligo di garantire e coordinare tutti questi elementi in base alla normativa costituzionale, non può trasferirli a terzi. E non può trasferire a terzi la difesa del paese. In Ecuador, in questa fase di ritorno al neoliberismo, e specialmente con il governo di Lasso, si pretende di trasferire la responsabilità della sicurezza e della difesa nazionale alle forze Usa o israeliane. Molti segnali portano a crederlo, confermati anche da questa campagna elettorale. La destra spinge sempre più in questo senso, andando contro il dettato della costituzione che proibisce la presenza di basi militari straniere sul nostro territorio. Per questo, la Rivoluzione cittadina aveva espulso la base Usa di Manta dal paese. L’agenda della destra prevede invece un riposizionamento strategico che rimetta in discussione il controllo sovrano della difesa nazionale.
L’uso della magistratura a fini politici, il lawfare, è oggi una pratica sperimentata dalle classi dominanti per liberarsi dei propri avversari politici. Una pratica che, nel suo paese, abbiamo visto dispiegarsi fin dal 2017, dopo l’elezione di Lenin Moreno, proveniente dalle fila della Rc. Così, sono stati estromesse molte figure politiche legate ai precedenti governi, a cominciare dal vicepresidente Jorge Glas e dallo stesso ex presidente Correa. Come analizzi questo fenomeno e il peso che ha assunto nella politica attuale, sia in Ecuador che a livello internazionale?
Un elemento chiave per l’analisi di quel che succede qui è che il paese è immerso in un processo intenso di giudiziarizzazione di un settore della politica e di strumentalizzazione dell’apparato giudiziario affinché persegua i progetti alternativi di cambiamento. Questo si accompagna a una persecuzione mediatica e a una intensa persecuzione politica, per buona parte diretta contro la direzione politica in esilio. Non si può capire l’Ecuador di oggi senza considerare questo processo di lawfare. Un elemento chiave è che l’oggetto principale di questa persecuzione e della violenza politica è il movimento della Rivoluzione Cittadina, che ha già avuto 4 politici uccisi in questo anno di processo elettorale e che, dal ritorno del neoliberismo in Ecuador, sconta una costante persecuzione e un assedio permanente, perché è considerata la principale forza politica. In questo contesto elettorale, tutti i sondaggi danno per vincente Luisa González, candidata alla presidenza per la Rivoluzione cittadina, che potrebbe passare al primo turno.
Tu sei una delle promotrici di un appello internazionale contro la violenza politica di genere. Come si esprime in Ecuador?
Per il fatto di essere la rappresentante della prima forza politica, proiettata verso la vittoria elettorale al primo turno, Luisa ha rischiato di essere aggredita, ha subito minacce e violenza politica proprio per il suo essere donna e di sinistra. È un fenomeno molto evidente in Ecuador, ma anche in altri paesi dell’America latina e non solo. Le donne che portano avanti progetti alternativi al capitalismo sono bersaglio di violenti attacchi maschilisti da parte dei movimenti politici e degli attori della destra. Accade a Luisa, ma è accaduto anche ad altre parlamentari, deposte per aver preso la direzione dell’Assemblea Nazionale all’inizio di quest’anno e per aver denunciato, tra l’altro, i legami di Lasso o comunque del suo entourage con settori illeciti. Sono state colpite da una violenza politica inaudita per essere donne e di sinistra.
L’aggressione politica contro Luisa è anche quella contro il progetto della Rivoluzione Cittadina, perché adesso la gente capisce che prima il paese stava molto meglio di ora ed era molto lontano dal caos odierno in cui il neoliberismo lo ha gettato. Quello di Luisa è anche un modello vincente in cui vedere, attraverso la sua figura di giovane donna che porta proposte alternative e che è riuscita a contrastare le aggressioni, il riscatto dell’Ecuador.
Tu fai parte della Rete degli intellettuali e artisti in difesa dell’umanità (Redh), che compie vent’anni. Come valuti questo tipo di impegno e quale evoluzione vedi nel futuro?
Da vent’anni, la Rete degli intellettuali e artisti in difesa dell’umanità anima un progetto coordinato di pensiero e d’azione, nato sull’obiettivo prioritario della difesa di Cuba. Una responsabilità politica ed etica che riguarda il mondo intero e spinge ad agire anche tutte le aree della creatività artistica. In questo momento, la Redh sente la responsabilità di riattualizzare la sua visione e la sua proposta in difesa dell’umanità nel rilancio di un intento comune necessario a livello planetario. È indispensabile continuare la difesa di Cuba all’interno della necessità di concepire un mondo di relazioni diverse. Una difesa che, in questi anni, ha incluso il posizionarsi a fianco di tutte le visioni di cambiamento generale che sono emerse a livello regionale, com’è, per esempio, con il Venezuela, attaccato dalle misure coercitive unilaterali e da un assedio permanente. In questa nuova fase, la Redh manifesta la volontà di impegnarsi, a partire dal pensiero e dalla creatività, nella costruzione di un progetto di cambiamento per il mondo intero, in un contesto di gravi e crescenti minacce per l’umanità.