E’ passato appena un mese dal rogo scoppiato nella Rsa “Casa dei Coniugi” a Milano, dove persero la vita 6 persone anziane, 81 rimasero ferite e decine intossicate e già un velo d’oblio sembra sceso su quella tragica vicenda. Si, certo, le indagine della magistratura vanno avanti per verificare eventuali responsabilità, ma ancora una volta si ha l’impressione che si cerca di non affrontare di petto il problema della “reclusione” delle persone anziane. Di non approfondire, per esempio, la lucida provocazione che meno di due anni fa portò don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, a dire: “Le Rsa vanno chiuse. O, comunque, profondamente trasformate!”. Aggiungendo: “ In Italia abbiamo superato culturalmente tutte le logiche legate all’istituzionalizzazione (minori, psichiatrici, tossicodipendenti, ecc…) tranne che per gli anziani. Dopo tutte le morti, nessuno che abbia riflettuto sul modello attuale. Un modello che alcuni decenni fa sembrava vincente. Invece, penso di poter dire che l’epidemia ha mostrato i limiti non soltanto di tipo terapeutico, ma anche esistenziale che le persone anziane sono costrette a vivere. Occorre partite da un principio fondamentale: ognuno ha diritto a vivere e morire nella propria casa. Da qui l’impegno a fare in modo che l’assistenza alle famiglie sia un’assistenza vera. Oppure pensare a strutture diverse”: https://www.comunitadicapodarco.it/don-albanesi-basta-con-le-rsa-e-il-momento-di-trasformarle/.
Don Vinico Albenesi che lanciò poi la Campagna Welfare Umano (https://welfareumano.it/), per un welfare che deve essere in grado di consentire all’individuo, soprattutto nella fase più fragile della propria esistenza, “di vivere la vita, la più felice possibile”. Una Campagna per dare voce alle persone che sono in difficoltà, a partire dalle persone migranti, dagli adolescenti, dagli anziani, dalle madri con figli, per riprendere il significato letterale della parola inglese “welfare” che, tradotta, suona benessere e il benessere è il risultato di elementi affettivi, economici, relazionali, sociali che le persone vivono.
E’ tutto il welfare, cioè tutte quelle azioni necessarie a garantire un tenore di vita dignitoso per tutti, ad essere oggi sotto attacco. Ciò che sta accadendo in questi giorni ai percettori del Reddito di cittadinanza è solo la spia più evidente della difficoltà d’approccio che chi è temporaneamente al potere ha ad affrontare i temi delle povertà, della disabilità, delle malattie, del lavoro, delle solitudini. Anziché aprire una discussione su come assicurare un tenore di vita dignitoso per tutti, anche a coloro che a causa di malattia, disabilità, solitudine, povertà o discriminazione non sono in grado da soli di vivere una situazione di benessere, si continua imperterriti a smantellare anche quel poco di welfare che c’è. Una discussione che dovrebbe necessariamente considerare gli operatori del sociale, non sempre estranei alle situazioni di degrado che accompagnano il settore dei servizi sociali nel nostro Paese. “Contro il non profit”, il provocatorio pamphlet di Giovanni Moro di quasi dieci anni fa (Laterza, 2014), rappresenta, per esempio, un’analisi lucida ma poco discussa (purtroppo) della degenerazione di un certo non profit (oggi Enti del Terzo Settore-ETS), di dubbia utilità sociale, più votato agli arricchimenti personali, ai conflitti di interesse, all’elusione fiscale, ai rapporti di lavoro insani, alla concorrenza sleale con le imprese private, che al welfare di qualità. Un certo terzo settore diventato spazio protetto dal politico di turno per azioni in cui un pò tutto è possibile, dai ristoranti alle palestre, dalle cliniche alle polisportive, con tutto ciò che ne consegue in termini di dubbia utilità sociale. Azioni che spesso, anche grazie a comportamenti evasivi ed elusivi e all’assenza di qualsiasi controllo, depredano le casse pubbliche a vantaggio delle tasche di pochi privati.
Assistendo al paradosso, per esempio, che chi ha in gestione (come ente non profit, ovviamente) beni comuni (piscine, palestre, campi sportivi ecc) incassa a piacimento (spesso anche non rispettando i dettami comvenzionali) e si arricchisce, quasi sempre senza fornire alcuna prestazione sociale, mentre chi invece gestisce strutture di welfare e lo fa con correttezza quasi sempre si ritrova con i bilanci in rosso. E’ il caso, per esempio, di alcune Casa famiglie che operano nella città di Roma, che ha spinto il presidente di Casa al Plurale, Associazione di coordinamento delle case famiglia di Roma e del Lazio, a inviare una lettera aperta al sindaco di Roma con la quale chiedere un adeguamento delle tariffe praticate. “Le tariffe delle case famiglia, scrive il presidente di Casa al Plurale, furono fissate nel 1995 con una Delibera sperimentale della Giunta Rutelli, paragonandole a quelle delle case di riposo. Da allora nessuna manutenzione, nessuno ci ha messo le mani, nessuno al governo della città, finora, si è chiesto se nel mentre non fossero cambiate le norme, i costi del lavoro e nessuno si è chiesto se quel primo calcolo del tutto approssimativo e inesatto, fosse corretto e se sì in base a cosa. Esiste un nostro studio, presentato pubblicamente in Campidoglio nel novembre dello scorso anno, definito congruo dai dirigenti del Dipartimento Politiche Sociali. Veniamo al punto: occorrono almeno 18 milioni di euro per adeguare le tariffe per le 415 persone con disabilità in casa famiglia (e ancora di più ne occorrono per i minori in casa famiglia). Benissimo il piccolo incremento di 7 euro che il Consiglio Comunale ha deliberato e che la Giunta ha confermato. Ma davvero non basta. Occorre parlarne, pubblicamente, perché dare risposta ai più fragili è dare risposta a tutta la città: è una responsabilità collettiva!”.
Qui per approfondire: https://www.casaalplurale.org/.
Qui il Report sui Costi: https://www.casaalplurale.org/wp-content/uploads/2023/05/COSTI-STANDARD-individuali-Case-famiglia-versione-27.07-TIP.pdf.
E pensare che durante la recente pandemia tutti a dire che occorreva ripensare la sanità e i servizi sociali, che andava riconsiderato il rapporto Pubblico-Privato con un ritorno massicio del Pubblico, che andava riscritto il rapporto tra Stato e Regioni e il ruolo della collaborazione per realizzare politiche di welfare efficaci!