Per fare un tavolo ci vuole il legno. E nel recente confronto tra Governo e opposizioni il legno probabilmente non c’era. Non in relazione all’argomento discusso in quella occasione, cioè il salario orario minimo, ma per l’asimmetria dell’incontro. In effetti, che senso ha avuto mettere di fronte i rappresentanti del Governo con i leaders di alcuni partiti che non fanno parte della maggioranza governativa?
E’ opportuno segnalare che il Parlamento è il luogo costituzionalmente predisposto per un confronto tra tutti i rappresentati degli elettori con l’obiettivo di approvare le leggi, compresa eventualmente quella sul salario minimo. Pertanto è in Parlamento che le diverse forze politiche di maggioranza e di minoranza (impropriamente definite “di opposizione”), devono mettersi intorno ad un tavolo. Lì ci dovrebbe essere, almeno in teoria, il legno che può sostenere il dialogo.
Ovviamente anche il Governo può presentare una propria proposta al Parlamento. Ma fondamentalmente al Governo spetta il compito di dare attuazione alle leggi approvate dal Parlamento, frutto del confronto tra le diverse forze politiche. Non spetta al Governo convocare i partiti che non fanno parte della coalizione che ha dato la fiducia al Governo.
Stupisce che questa anomalia costituzionale sia passata sostanzialmente sotto silenzio. Nulla hanno detto in proposito i presidenti delle due Camere e nemmeno i capigruppo dei partiti di maggioranza, di fatto scavalcati da questa iniziativa governativa.
In questa vicenda è emerso un altro aspetto interessante. Il governo, per cercare un punto di incontro con i partiti di minoranza, ha chiesto la mediazione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel). Una scelta che si può considerare corretta, visto che la Costituzione indica il Cnel come “organo di consulenza delle Camere e del Governo”, che “ha iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale” (art. 99 Cost.).
Colpisce però il fatto che negli ultimi decenni praticamente tutte le forze politiche hanno cercato (senza successo) di abolire il Cnel, spesso indicato con un “carrozzone” inutile. È vero che non poche volte nel Cnel sono stati collocati i politici non rieletti, ma occorre anche considerare che il Cnel è stato previsto dai costituenti proprio come luogo di confronto delle componenti sociali ed economiche (imprenditori e sindacati anzitutto, ma in seguito anche del terzo settore) al di fuori del condizionamento delle dinamiche e degli scontri tra forze politiche.
È curioso oggi ritrovare il protagonismo del Cnel, rilanciato soprattutto dal Governo, senza che sia stata detta una parola sul perché oggi si vuole dare fiducia ad un organismo sul quale c’era da tempo un consenso unanime per l’abolizione. Anche in questo caso i politici italiani mostrano di avere una memoria assai labile. Se così non fosse, saprebbero che il progetto poi confluito nel Cnel, in particolare nell’ipotesi di Giorgio La Pira in Assemblea Costituente, avrebbe dovuto rappresentare la seconda Camera del Parlamento, cioè l’attuale Senato della Repubblica, con la partecipazione diretta delle forze socio-economiche e dei territori, anziché realizzare un semplice doppione della Camera dei Deputati dove siedono esclusivamente gli esponenti delle forze politiche. Prendendo per buona l’intenzione di trovare un luogo di mediazione sulla questione del salario minimo, il Cnel oggi potrebbe diventare un tavolo utile. Poi però per avere un bel tavolo di legno bisognerebbe tornare nella sede opportuna, cioè in Parlamento, soprattutto se il Senato venisse riformato nella prospettiva indicata da La Pira, con una composizione ancora più ampia e pluralista di quella dell’attuale Cnel. Perché per fare un bel tavolo a volte servono legni vecchi, che provengono da alberi antichi.