In questi giorni la Gestazione per altri (GPA) è ritornata d’attualità, dopo che la destra ha sbandierato l’arma della propaganda proibizionista, dichiarandola “reato universale”. Sebbene il proibizionismo della destra non sia una soluzione, è chiaro da anni che ci ci sono spinte neoliberiste in Italia che hanno l’obiettivo di arrivare ad una normativa che superi il divieto di Gpa contenuto nella legge 40 sulla procreazione assistita, grazie al cavallo di Troia dell’altruismo. Il lassismo sulla GPA non può essere una soluzione in quanto esempio lampante di come, nelle democrazie neoliberali occidentali, sia sempre più preponderante l’affermazione del biocapitalismo, della mercificazione totale della vita.
Negli anni il dibattito etico, bioetico e politico sul tema ha visto molta divisione interna nella sinistra radicale, nel movimento LGBTQ e nel femminismo. I femminismi emancipazionisti (es: femminismo liberale, femminismo neoliberista) che lottano per l’emancipazione dalla discriminazione di genere nella società, hanno sposato una linea possibilista e spesso oltranzista; mentre i femminismi liberazionisti, più dediti alla critica strutturale e radicale della società capitalista come la più grande espressione del patriarcato (ecofemminismo, femminismo marxista, femminismo della differenza, anarco-femminismo) hanno puntato il dito contro l’idea della “maternità in vendita”.
L’ecofemminismo, partendo anche dalle epistemologie indigene, parla di colonizzazione patriarcale del corpo delle donne da parte delle nuove tecnologie riproduttive, nate dal grembo dello sviluppo indefinito dell’attuale società industriale, dalla scienza cartesiana-newtoniana – che Vandana Shiva ha definito “patriarcale e maschilista” – dipendente dal mercato globale neoliberista dove tutto diventa merce. Dove vogliamo fermarci? Qual è il limite umano di questa pratica? Fino a dove si spingeranno le distopie del tecno-capitalismo sulla vita? Ne parliamo con Laura Corradi, sociologa ecofemminista, traveller e attivista impegnata nei movimenti femministi, queer, deep ecology, pacifisti, contro il razzismo, per la salute e i diritti sociali. Ha insegnato Feminist Theory e Sociology of Sexualities all’Università di Santa Cruz in California, dove ha appreso l’importanza del metodo intersezionale e l’importanza di intersecare variabili di classe, genere, razza/etnia/cultura, età, orientamenti sessuali, religione, status e diverse abilità, nella ricerca sociologica. Da sempre svolge ricerca con un approccio decoloniale nelle comunità etniche a basso reddito, tra rifugiati/e, tra le popolazioni indigene in India, tra le comunità Maori in Nuova Zelanda e tra i Rom e Sinti in Europa, prestando molta attenzione allo sviluppo dei femminismi indigeni. Autrice di libri, articoli scientifici e divulgativi, è una grande sostenitrice dei processi di decolonizzazione delle conoscenze e delle metodologie a partire dalle prospettive aborigene. Attualmente è ricercatrice e docente universitaria presso la Università della Calabria e si occupa di Sociologia della Salute e dell’Ambiente, di Studi di Genere e Metodo Intersezionale. Sul tema della GPA e delle twcnologie riproduttive ha scritto i saggi “Nel Ventre di un’altra” e “Odissea embrionale”.
Perché è così critica nei confronti della Gpa?
E’ una domanda interessante poiché in alcuni ambiti non sono ritenuta abbastanza critica rispetto alla GPA – forse perché capisco le ragioni di chi non la pensa come me, pur non condividendole. Ho iniziato ad interessarmi a questo tema negli anni Novanta quando in California mi occupavo di prevenzione delle cause ambientali di cancro per cui sono molto critica rispetto all’uso delle scienze in senso capitalistico, patriarcale, razzista, eteronormativo – esse hanno contributo alla crisi ambientale in cui ci troviamo – che è anche fra le cause della epidemia di infertilità attuale – credo sia importante andare alle radici del problema se si vuole capirlo. Rispetto alle tecnologie della riproduzione assistita, dopo aver studiato i problemi di salute correlati, ho preso una posizione politica basata sul principio di precauzione, sul rispetto del corpo e della salute di donne e nascituri/e.
Spesso la destra cavalca il fatto che la GPA sia stata concepita ad uso e consumo dell’omogenitorialità maschile, in realtà ad oggi nella stragrande maggioranza dei casi ne usifruiscono coppie ricche eterossessuali (Cameron Diaz, Cristiano Ronaldo etc…). Perché arrivano ad usufruire di questa pratica? Non si rischia di medicalizzare la gravidanza per canoni puramente estetici?
Al di là delle persone molto ricche che ricorrono alla Gpa, c’é una marea di coppie infertili disposte a fare sacrifici attirate dalle promesse del business della procreazione medicalmente assistita (Pma) e il consenso che danno a pratiche invasive non è certo informato sui problemi a cui possono andare incontro… Per non parlare poi del traffico internazionale di ovociti e dello sfruttamento delle fornitrici – prima ancora che delle gestanti. Su questo si sa poco.
Lei crede che si possa veramente parlare di GPA “altruistica”?
Ma perché non parliamo di maternità condivise, di superamento della famiglia nucleare verso forme più democratiche e di rendere possibli le adozioni per coppie e persone singole incluso LGBTQ+. Davvero ci sono troppi stereotipi su questo del nostro Paese.
Ucraina, Nepal, India e Thailandia. La GPA ha favorito un “turismo riproduttivo” dei ricchi e bianchi occidentali a discapito del cosiddetto “Terzo Mondo”. Facendo un’analisi intersezionale, la GPA attraversa rapporto di forza, di razza, di genere e di classe?
Si certo, il metodo intersezionale mette in luce le diseguaglianze sistemiche e sono contenta che dopo 30 anni di insistenza ora questa prospettiva venga adottata. India e Thailandia hanno cambiato le loro leggi – non vogliono più essere colonie né diventare Peesi affitta-uteri. Il problema si pone per altri Paesi in “via di sottosviluppo”.
GPA, fecondazione in vitro, clonazione, editing genetico sono tutte nuove tecnologie che delineano sempre di più come la “scienza” non sia “neutrale” in quanto certe ricerche e scoperte vengono portate avanti in quanto dipendenti dall’accumulo capitalistico e incentivate dal mercato. Come insegna anche la critica ecofemminsita all scienza occidentale, questo vale anche per l’azione umana sulla Terra (OGM, geoingegneria, bioingegneria, pesticidi, agricoltura cellulare etc…). Fino a che punto arriverà lo sviluppo del tecno-bio-capitalismo? Le tecnologie riproduttive mettono in pericolo la libertà delle donne?
Sì in un certo senso poiché le ricacciano nell’imperativo biologico della procreazione. Nelle nostre società patriarcali, dove un uomo geloso può ancora ucciderti, le donne valgono di più se hanno figli e a loro è accordato uno status che le donne senza figli non hanno. Certo la scienza ha padroni e padrini: sono le grandi multinazionali che determinano in che direzione bisogna andare – ed è una direzione capitalista e militarista, etero-patriarcale e volta alla supremazia dell’Occidente sul resto del mondo.
Vi sono inoltre delle questioni riguardanti la salute che lei ha analizzato nei suoi saggi “Nel Ventre di un’altra” e “Odissea embrionale” in cui traccia una critica ecofemminista…
Le idee e le argomentazioni che ho prodotto in questi libri – dove segnalo studi che dimostrano problemi di salute nei nascituri/e già con la fecondazione in-vitro – inizialmente non hanno avuto molto successo. Il dibattito si è arenato su questioni filosofiche, purtroppo anche nell’arena femminista, dove ho tracciato una posizione mediana, per la salute delle donne e di bambini/e. Ho dato priorità nelle mie ricerche al minimo comune denominatore che ancora abbiamo nel movimento femminista e che ci permetterebbe una alleanza intersezionale: la questione salute che ci ha sempre unite fin dai consultori autogestiti degli anni ’70.
Quale ruolo ha avuto il Vaticano su questo dibattito? Il ferreo proibizionismo oltranzista ha impedito che si pensassero altre soluzioni piuttosto che la GPA?
L’omo-transfobia del Vaticano nei decenni passati ha contribuito – con il veto alle adozioni gay per esempio – al ricorso alle tecnologie. Così in passato è stato con la proibizione sugli anticoncezionali, facendo aumentare proprio il numero degli aborti e dei figli indesiderati.
Cosa è la maternità per lei e come dovrebbe intervenire lo Stato per tutelarla?
Per me la maternità è un sentimento sociale che prescinde dalla connessione genetica. Nella mia vita ho contributo responsabilmente alla crescita di 6 persone. L’ultimo ha compiuto 18 anni a giugno e mi chiama “mama magique” perchè riesco a risolvere i problemi. Penso che la maternità sia bellissima; lo Stato dovrebbe intervenire il meno possibile ma fare il suo dovere quando ci sono problemi di povertà, economici, lavorativi o sociali – che possono ostacolare anche la vita dei/delle minori di età. E dovrebbe legiferare in maniera intelligente affinché tanti bambini/e possano avere persone adulte che li aiutino a crescere, senza che tale percorso implichi come ora discriminazioni di status, genere, classe, orientamento sessuale.