Ad essere onesti, la de-dollarizzazione non è un fenomeno nuovo, ma un processo in atto da almeno 25 anni, come dimostrato dalla composizione delle riserve in valute estere detenute dalle banche centrali mondiali, dove il dollaro è in discesa perpetua dal 72% del 1999 fino all’attuale 59%. L’euro viaggia al 21% circa, dopo aver raggiunto il 29% nel 2010, poi crollato con la crisi dei debiti sovrani europei, lo Yen giapponese al 6% e la sterlina al 5%. Quindi ciò significa che sta avvenendo un processo di sovvertimento del ruolo egemonico del dollaro nelle transazioni commerciali internazionali? Si sta forse affermando una nuova moneta spinta dai Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica aggiuntosi recentemente) in grado di sostituirsi al dollaro nella fiducia degli operatori sui mercati internazionali? Ad oggi la risposta è no, ma ci sono sviluppi interessanti da tenere in considerazione.
Per cominciare, con de-dollarizzazione ci si riferisce alla perdita di supremazia del dollaro statunitense negli scambi commerciali. Questo scenario parte dalla semplice assunzione che un mondo senza il bigliettone verde è possibile, sulla carta ovviamente. Come sappiamo, la realtà è diversa. L’attuale sistema monetario internazionale incentrato sul dollaro è figlio dell’esito della Seconda Guerra Mondiale e degli accordi di Bretton Woods, il cui obiettivo era quello di ricostruire il tessuto di scambi internazionali. Ancora oggi, la predominanza del dollaro è imparagonabile a quella di qualsiasi altra valuta e questo perché la scelta nell’utilizzo di una moneta si riconduce alla fiducia che le persone nutrono in questo strumento.
Razionalmente scegliamo una moneta in base alla proiezione del suo valore futuro, cioè alla sua capacità di conservazione e trasferimento di valore nel tempo. Ergo, la moneta più stabile, quella che si svaluta meno rispetto alle altre. E questo dipende da uno spettro enorme di variabili macroeconomiche, a partire dalla forza dell’economia di quel Paese, all’efficacia della sua banca centrale, al suo equilibrio fiscale, etc. Ragione per cui il dollaro è preferito alle altre monete.
Infatti se guardiamo al settore privato, e più precisamente alla presenza del dollaro nella fatturazione delle esportazioni, nella denominazione dei crediti e delle passività bancarie, dunque nell’economia reale, cosi come nelle transazioni in SWIFT, la presenza del dollaro rimane dominante, con tendenza negli ultimi anni sostanzialmente invariata, o in aumento, come nel caso delle economie in via di sviluppo o emergenti, oggi capaci di generare quasi la metà dello stock di debito in USD degli oltre 12 bilioni emessi da entità al di fuori degli Stati Uniti. Per fare un altro esempio, le transazioni in valuta estera (FOREX) si realizzano ancora per un 90% in USD; banalmente perché è più liquido, cioè più conveniente.
Ma la famosa contrazione delle riserve in dollari non ha di riflesso portato ad un incremento delle valute dei paesi BRICS o di Paesi emergenti? Non esattamente. La riduzione di USD è stata compensata da una maggiore diversificazione a favore di altre monete stabili minori, come il dollaro canadese o australiano, e solo in misura limitata il renminbi cinese, che però rimane marginale al 2.7% delle riserve totali.
Se da una parte é vero che i BRICS sono Paesi tendenzialmente slegati dall’asse occidentale, con al comune denominatore la volontà di emanciparsi dal dollaro, è altrettanto vero che in questi anni non sono riusciti ad emergere con una proposta convincente, a causa di economie molto eterogenee, interessi asimmetrici e tensioni politiche internazionali. E’ presto per delineare la strada che tracceranno il renminbi cinese, le rupie indiane o un’utopica moneta coniata dai BRICS, ma di sicuro quella strada è ancora molto in salita. Soprattutto in funzione delle difficoltà legate a queste economie: nel caso cinese il controllo dei capitali operato da Pechino, ovvero il blocco alla libera movimentazione del denaro, ne impedisce profondamente la diffusione; l’economia Indiana invece ha aspetti ancora fragili, dove le esportazioni globali incorporano solo il 2% e la rupia è una valuta non completamente convertibile. Inoltre, a maggio di quest’anno, dopo vari mesi di negoziati, si sono sospesi gli sforzi per regolare il commercio bilaterale India-Russia in rupie. Per non parlare delle ostilità di confine che legano Cina e India, ostacoli ulteriori alla creazione di un’unione monetaria alternativa.
Allo stesso tempo è giusto sottolineare che le acque si stanno pian piano scuotendo e i Paesi BRICS hanno perseguito un’ampia gamma di iniziative per diminuire la loro dipendenza dal dollaro, a partire dai numerosi accordi commerciali siglati tra la Russia, la Cina e il Brasile rivolti a favorire un maggiore uso di valute diverse dalla banconota statunitense nelle loro transazioni transfrontaliere. Le banche centrali di questi Paesi stanno trasferendo parti significative delle loro riserve valutarie dal dollaro all’oro. Recenti accordi petroliferi tra Cina e Arabia Saudita sono stati celebrati in renminbi: il mercato del petrolio è infatti un settore rilevante dove i Paesi del Sud del mondo utilizzano sempre più le valute locali per i pagamenti commerciali.
La teoria ci insegna che più transazioni vengono effettuate in una determinata moneta più liquidi diventano i mercati denominati in quella moneta e quindi più essa si rafforza. Considerando che i Paesi BRICS rappresentano oltre il 40% della popolazione mondiale e il 31,5% del PIL aggregato, l’ordine odierno potrebbe anche essere rivisto nelle prossime decadi se determinate condizioni si dovessero avverare.
Indubbiamente, per scalfire il trono occupato dal dollaro, i BRICS dovrebbero prima appianare le divergenze, risolvere gli interessi nazionalisti contrapposti, abbandonare gli assetti politici dittatoriali e far fronte comune, per poi far maturare le proprie economie, sviluppare migliori sistemi di pagamenti, consolidarsi fiscalmente. Tappe che sempre più affermerebbero le loro monete a livello mondiale.
Il prossimo summit dei capi di Stato dei paesi BRICS, che si tiene a Johannesburg il 22-24 agosto, potrebbe essere il primo passo verso una svolta nel processo multipolare della politica e dell’economia mondiale. Più che della creazione di un’improbabile moneta BRICS, si discuterà della possibilità di istituire un sistema efficiente di pagamento integrato per le transazioni transfrontaliere, che non dipenda più dal dollaro. Staremo a vedere se alle parole belle e pompose che sicuramente si spenderanno faranno seguito delle azioni concrete.