1.Era tutto prevedibile con giorni e giorni di anticipo in cui nessuna autorità statale ha predisposto piani di intervento coordinati in acque internazionali approfittando del rimpallo di competenze, conseguenza della ripartizione del Mediterraneo centrale in tante zone di ricerca e salvataggio (SAR), in cui l’unico coordinamento esistente mira alla delega dei respingimenti collettivi ai libici ed ai tunisini, senza alcun rispetto per gli obblighi di salvataggio della vita umana in mare, imposti agli Stati dalle Convenzioni internazionali.

In base all’art.98 punto 2 della Convenzione di Montego Bay (UNCLOS), “Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le cir-
costanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”.
Può ritenersi ancora che la Libia, nelle sue attuali frammentazioni politiche e territoriali, e la Tunisia del presidente Saied, ormai trasformato in un autocrate, siano in possesso di questi requisiti per salvaguardare la vita umana in mare?

Venerdì 4 agosto scorso, quando era già evidente la serie di burrasche che avrebbe colpito il Mediterraneo centrale, chiedevamo invano alle autorità politiche e marittime italiane ed europee di predisporre piani di emergenza per soccorrere il maggior numero possibile di naufraghi che si sarebbero trovati in pericolo in mare nei giorni successivi. Chiedevamo il coinvolgimento di tutte le unità civili e militari presenti in quel tratto di mare, soprattutto gli assetti aeronavali di Frontex, della missione europea Eunavfor-Med IRINI e della Marina militare impegnata nella missione Mediterraneo sicuro, Chiedevamo anche, come si verificava fino al 2016, il dislocamento in acque internazionali delle unità navali più grandi della Guardia costiera italiana, che invece sono state impegnate prevalentemente nei trasferimenti di migranti dall’hotspot di Lampedusa verso altri centri di prima accoglienza, E infine chiedevamo che le navi umanitarie delle ONG fossero impiegate in base alle loro potenzialità reali di ricerca e salvataggio, mentre invece proprio le navi umanitarie più grandi sono state, ancora una volta, allontanate verso porti sempre più distanti, praticamente vuote, solo per impedire che potessero continuare a svolgere la loro attività di soccorso in acque internazionali. Del resto era proprio questo lo scopo del decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023, che ha permesso al Ministero dell’interno di esercitare una ampia discrezionalità per allontanare le navi delle ONG, addirittura fino ai porti di La Spezia e Ravenna, o sottoporle a provvedimenti di fermo amministrativo.

2. Non è servito a nulla che dal mondo scientifico arrivassero ulteriori conferme della totale mancanza di basi delle tesi che si richiamano al “pull factor”, che sarebbe esercitato dalle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali operate dalle navi umanitarie, persino quando queste attività sono co-operate o assistite da navi della Marina militare o della Guardia costiera, come si verificava nel 2014, con l’operazione Mare Nostrum e poi ancora nel 2016, fino al cd. Codice di condotta Minniti, adottato nel luglio del 2017.

Malgrado la denuncia, a livello delle Nazioni Unite, della frequente collusione delle milizie libiche e delle correlate guardie costiere, con le organizzazioni di trafficanti, e malgrado la conclamata corruzione che caratterizza i sistemi di controllo di frontiera in Libia e in Tunisia, si è andati avanti con la consegna di altre motovedette ai libici e con la proposta di un Memorandum d’intesa tra Unione Europea e Tunisia. Un Memorandum che si è finora risolto in una bozza non vincolante sottoscritta dal sottosegretario agli esteri tunisino e dal rappresentante della Commissione europea per le relazioni esterne, su cui neppure Saied e la Meloni hanno apposto una firma. Un ennesimo Memorandum d’intesa che si vorrebbe prendere a modello delle future relazioni con Egitto e Marocco,  ma che, prima ancora di essere approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ha già prodotto una scia di morte legittimando le peggiori pratiche di respingimento collettivo e di abbandono in mare decise dal presidente tunisino Saied, con il supporto determinante di Giorgia Meloni e del ministro dell’interno Piantedosi. I migranti forzati che sono da mesi in fuga dalla Tunisia non cercano di attraversare il Mediterraneo perché i trafficanti gli promettono il paradiso in Europa, ma tentano soltanto di fuggire dalle persecuzioni alle quali vengono sottoposte dal governo del presidente Saied, o dal rischio di essere respinti nella terra di nessuno al confine tra Tunisia e Libia. Gli ultimi accordi stipulati tra il presidente della Tunisia Saied ed il governo provvisorio di Tripoli, espongono ad ulteriori rischi di detenzione arbitraria e di respingimento collettivo i migranti subsahariani sballottati al confine tra i due Stati. Dietro gli impegni umanitari si celano soltanto luoghi di confinamento in condizioni disumane e procedure arbitrarie di respingimento collettivo, magari camuffate come “rimpatri volontari”. 

3. Ancora nei giorni nei quali centinaia di persone rischiavano di annegare in acque internazionali, i libici con il supporto di Frontex  e delle autorità italiane che ospitano la missione europea, hanno portato a compimento intercettazioni che si sono concluse con un nuovo sequestro delle persone nei famigerati centri di detenzione in Libia. Il coordinamento tra i diversi stati costieri, con l’eccezione di Malta che dopo gli accordi con i libici ha rafforzato la sua politica di abbandono in mare, è stato finalizzato esclusivamente, non alla salvaguardia della vita umana, ma alla riduzione degli arrivi sulle coste italiane. E siccome sembra che nessuno riesca a fermare le partenze, anche per le politiche violente e di pulizia etnica promosse, nei confronti delle persone di origine subsahariana, dalle autorità tunisine e libiche, con il sostegno europeo, si è puntato sull’effetto dissuasivo delle stragi in mare e sulla criminalizzazione dei facilitatori, degli scafisti e dei trafficanti, figure troppo spesso confuse in una narrazione distorta e falsificante che ha come unico obiettivo l’occultamento delle responsabilità delle autorità politiche e militari. Autorità invisibili che affrontano la questione delle traversate del Mediterraneo esclusivamente come una difesa della frontiera ed un contrasto delle attività criminali legate al traffico di persone. Attività delittuose che quando non si possono attribuire agli scafisti si imputano persino ai sopravvissuti, tra i quali si deve per forza tirare fuori il responsabile del naufragio. Anche quando la gran parte degli arrivi si verifica con barchini di pochi metri nei quali non è facile ipotizzare la presenza di veri e propri scafisti, perché sempre più spesso la condotta di queste imbarcazioni viene affidata ai migranti, magari si tratta di pescatori, che hanno già qualche cognizione di mare. Nessun trafficante si imbarcherebbe su imbarcazioni tanto fatiscenti, mettendo a rischio oltre alla propria vita, anche i guadagni della propria attività illecita e la sua stessa libertà. E nei paesi di transito le organizzazioni criminali hanno largamente infiltrato, se non sostituito come in Libia, le istituzioni statali. Lo confermano i rapporti delle Nazioni Unite e delle principali agenzie umanitarie. E al di là della collaborazione tra diverse agenzie di sicurezza che operano anche per finalità commerciali, non si vede una vera cooperazione sul piano giudiziario, che andrebbe realizzata sul piano delle rogatorie internazionali richieste dalla magistratura inquirente. Ma se le indagini internazionali fossero davvero portate sino in fondo, potrebbero emergere collusioni che risulterebbero forse scomode per la gestione dei rapporti bilaterali, basati sugli scambi commerciali, di idrocarburi ed in prospettiva di elettricità, oltre che sul contrasto dell’immigrazione irregolare.

4. I veri responsabili di questi naufragi stanno ai tavoli di governo o al comando di unità militari che, pur vedendo nei loro sofisticati sistemi di tracciamento le imbarcazioni dei migranti a rischio di naufragio, non predispongono alcuna attività di ricerca o salvataggio, almeno fino a quando questi si trovano in acque internazionali, allertando semmai qualche unità navale commerciale in transito, alla quale si riesce persino ad ordinare lo sbarco dei naufraghi in porti non sicuri, per intenderci con la realizzazione di pushback su delega verso la Libia o la Tunisia. Tanto da violare le Convenzioni internazionali, e in particolare la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, che impongono lo sbarco in un “place of safety” dopo i salvataggi in mare, pur di non fare aumentare il numero degli arrivi in Italia ed in Europa. Numeri che comunque continuano a crescere, e questo dimostra in modo inconfutabile che le politiche di esternalizzazione delle frontiere, e i respingimenti delegati a paesi terzi che non rispettano i diritti umani, non diminuiscono affatto il numero delle partenze, ma aumentano soltanto il numero delle vittime in mare, o nei deserti nei quali vengono abbandonate le persone migranti, sempre più spesso intere famiglie, con donne e bambini.

Ormai non sorprende più che le autorità statali facciano tutto il possibile per nascondere la verità dei fatti, tanto che delle stragi in acque internazionali si apprende regolarmente dai racconti dei sopravvissuti, mentre non ci sono tempestive comunicazioni ufficiali, che pure sarebbero obbligatorie in base alle Convenzioni internazionali richiamate anche dal Piano SAR nazionale italiano 2020. E su Frontex, malgrado la chiarezza degli obblighi di soccorso imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014, continua a incombere anche nel Mediterraneo centrale, la stessa opacità, e la stessa collusione con attività di respingimento illegali, che ha portato alle dimissioni il precedente direttore Fabrice Legeri, dopo i respingimenti collettivi che l’agenzia ha operato, in supporto alle autorità greche, dalla Grecia verso la Turchia.

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