Allo scoppio della guerra in Ucraina avevo scritto che già dal primo giorno dei combattimenti c’erano due sconfitti senza possibilità d’appello. Il primo dei perdenti era costituito dai popoli coinvolti, col popolo ucraino in prima fila (e su questo non ci piove). A livello geopolitico ad avere già perso la guerra prima di combatterla era invece l’Europa. 

Sono stato facile profeta. Troppo facile per farmene un vanto. Anche se, per la verità,  il servilismo e il lecchinaggio dell’Europa nei confronti degli USA e della NATO è stato oltre ogni limite di decenza. Sorprende soprattutto l’acquiescenza della Germania che sta assistendo in silenzio al crollo del suo progetto imperiale. Un impero che sembrava potersi progressivamente affermare ed espandere poggiando su due pilastri. Da un lato la riduzione dell’Europa a mercato interno, grazie al controllo dell’Euro, dall’altra parte la possibilità di porsi come soggetto di riferimento della possibile costruzione di una nuova dimensione eurasiatica, grazie all’energia a basso costo della Russia e al progressivo intensificarsi degli scambi con la Cina. Un progetto innanzitutto commerciale, ma si sa che l’economia ci sta un attimo a condizionare la politica, o a farsi essa stessa “politica”. 

La fine del progetto tedesco è emblematicamente rappresentato dagli attentati che hanno distrutto i gasdotti Nord Stream 1 e 2, di cui soltanto ora in Germania si comincia a ipotizzare la responsabilità dell’Ucraina, con tutta l’ipocrisia di chi sa benissimo che senza il permesso USA nessuno avrebbe mosso un dito.

Un passaggio che segna anche la fine della vecchia Europa, così come la conoscevamo fino ad oggi, con lo spostamento della sua centralità politica ad est in funzione anti russa ed anti cinese. È la Polonia, sempre più super militarizzata, che si pone oggi come paese guida della nuova frontiera orientale e come riferimento politico di una nuova Europa ridotta a mero satellite degli USA. Una Europa destinata alla pura insignificanza politica, e con essa inevitabilmente anche ad una crescente decadenza economica, che investirà innanzitutto il vecchio cuore del suo occidente geografico. (Se crolla la Germania, per Francia, Spagna, Italia ecc. non c’è speranza. Per il nostro paese si tenga anche conto che le nostre PMI, del nord industrializzato, sono in buona misura parte dell’indotto dell’industria tedesca).

Ma forse la situazione di oggi è solo l’ultimo, e forse decisivo, capitolo di una guerra più ampia, anche se silenziosa, che tra Europa e USA si combatte dall’alba del nuovo millennio. Con l’entrata in vigore dell’Euro nel 2002 per la prima volta dai tempi  degli accordi di Bretton Woods del 1944, si poneva concretamente la possibilità che una nuova valuta potesse sostituire il dollaro come moneta di riferimento degli scambi internazionali e come riserva delle banche centrali a livello mondiale. Tra coloro che sostenevano l’Euro c’erano Saddam Hussein e Gheddafi. Magari sarà un puro accidente della storia, ma sappiamo tutti che fine hanno fatto.  

In ogni caso l’esito dello scontro tra le due valute era segnato in partenza, e la ragione è molto semplice. Gli Stati Uniti, oltre ad essere un vero Stato centralizzato, hanno l’esercito più forte del mondo, mentre l’Europa non è uno Stato unitario e non ha  un vero esercito. Dal nostro punto di vista libertario, questo potrebbe anche essere un bene per il vecchio continente, se non fosse che il suo territorio è militarizzato, anche con armi nucleari, sotto il controllo degli alleati d’oltre oceano. È comunque dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale che il dominio degli USA si regge a livello globale sul matrimonio indissolubile tra dollaro ed esercito.

La data topica della sconfitta europea può essere fatta risalire alla vicenda dei subprime, quando gli effetti della crisi nata oltreoceano furono scaricate sulle fragilità dell’Europa.  Da allora molte cose sono cambiate. Nel 2008 il PIL dell’Europa era pari complessivamente a quello degli USA. Da quel momento il vecchio continente è rimasto al palo, mentre negli Stati Uniti la produzione della ricchezza è quasi raddoppiata.

Cosa ci riserva il futuro? Gli USA possono fare la voce grossa con l’Europa, con gli alleati del Pacifico e all’interno del G7, ma fuori dell’ambito del loro controllo diretto, in sostanza degli alleati-sudditi, la loro capacità di penetrazione nel sistema mondo sembra destinata ad andare in crisi. L’alleanza dei non allineati (con gli USA) riuniti nel BRICS che comprende Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, sta crescendo d’importanza. Ne è testimonianza l’allargamento dal 1 gennaio 2024 ad Argentina, Etiopia, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Iran. Ma soprattutto inquietante è per il dominio a Stelle e Strisce, l’idea, attualmente allo studio, di creare una nuova moneta rivale del dollaro. Qualora il progetto dei BRICS si dovesse realizzare, e conoscendo le usuali pratiche guerrafondaie degli Yankees, c’è poco da stare allegri. Qualunque cosa succeda è comunque certo che tutto faranno i padroni d’oltreoceano tranne che mollare la presa sul nostro vecchio continente.

Se l’Europa non cambia passo le cose andranno sempre più a peggiorare. Ma l’attuale classe dirigente della UE, del tutto prona agli interessi del più forte, è ormai parte del problema. In una Europa sempre più in crisi e declassata, e con una memoria di classe ormai quasi del tutto cancellata grazie alla crisi della vecchia sinistra (ormai da tempo parte del sistema), le tentazioni del populismo di estrema destra potrebbero prendere il sopravvento. In Italia c’è già un governo neofascista, in Spagna Vox è ormai stabilmente parte del sistema, in Francia la Le Pen può aspirare alla presidenza, ma è soprattutto la Germania a preoccupare. Il partito neo nazista è dato già ora al secondo posto nelle intenzioni di voto ed è in costante crescita. 

L’esperienza italiana dimostra che il sovranismo della destra è una finzione e che una volta presa la poltrona del potere le genuflessioni nei confronti del padrone americano sono divenute prassi quotidiana. Il cambiamento è nelle politiche interne con un inasprimento delle scelte classiste, razziste e sessiste. Una Europa in mano alla destra sarebbe solo un ulteriore accentuarsi dell’atlantismo, in un rafforzato clima di odio e di violenza verso tutto ciò che sa di diverso rispetto ai canoni del vecchio Occidente (lo straniero, il transessuale, il disoccupato ritenuto un fallito ecc.).

C’è un’altra strada che è possibile percorrere? Tradizionalmente la sinistra radicale del vecchio continente si è attestata su una posizione che rivendicava la costruzione di “un’altra Europa”.  Posizione in origine condivisibile rispetto ad una visione internazionalista, alla volontà di valorizzare i contenuti progressisti e rivoluzionari della nostra storia, ed in linea con le aspettative diffuse a livello di massa alla nascita dell’Unione. Ma oggi? 

Oggi tutto è cambiato! L’Europa è stata tradita. Le sue attuali istituzioni sono una macchina di dominio totalmente asservita agli interessi del capitale globale, finanziario e militare, in versione Occidentale, e senza neppure la parvenza di un sistema democratico delle decisioni. Commissione europea e BCE agiscono come una dittatura nei confronti dei singoli Stati, e soprattutto dei popoli. La macchina del debito e della guerra sono il vero sovrano!

Forse è veramente venuto il momento di chiedersi, da parte delle forze che vogliono un cambiamento radicale dell’esistente, se è ancora il caso di tergiversare sul futuro di questa Europa. Dobbiamo assistere alla catastrofe pensando che questo impianto istituzionale sia ancora utilizzabile ed emendabile? Dobbiamo continuare a sperare senza neppure sapere bene su cosa? Dobbiamo rischiare di affondare, ed anche per primi, insieme a tutto l’Occidente? 

Non sono decisioni facili e non vanno prese alla leggera. Chi scrive in passato è stato un grande sostenitore dell’europeismo oltre l’attuale Unione, e idealmente lo sono ancora. Prima di dire “fuori dall’euro e fuori dall’Europa” dobbiamo valutare bene ogni cosa, ma sicuramente non possiamo più fare finta che il problema non esista.