Negli ultimi giorni la vostra nave Ocean Viking ha effettuato con il coordinamento delle autorità italiane ben 15 operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, portando a bordo un totale di 623 migranti recuperati da piccole imbarcazioni in difficoltà. Eppure il cosiddetto codice di condotta per le Ong contenuto nel decreto Cutro vieta, seppure in modo implicito, i soccorsi multipli. D’altra parte alle navi umanitarie cariche di naufraghi stremati e traumatizzati vengono sempre assegnati porti di sbarco lontani. Come vedi questa apparente contraddizione nell’atteggiamento del governo?
Per quanto riguarda la scelta di coordinare le Ong nelle operazioni di soccorso io preferisco non chiamarla contraddizione, ma giusta decisione presa in base a degli obblighi internazionali che tutti i Paesi europei devono rispettare. E spero anche che ciò che è accaduto in queste ultime operazioni non resti un fatto fine a sé stesso, ma diventi uno spunto per riflettere su come affrontare il tema in modo globale. Mi sembra che finora si sia parlato solo di come fermare gli sbarchi, invece speriamo che i fatti degli ultimi giorni spingano a nuove valutazioni sul tema del soccorso in mare e sulla necessità impellente di un coordinamento europeo.
Sull’assegnazione dei porti lontani invece posso solo dire che in questo periodo le partenze sono continue e c’è bisogno di tutti i mezzi disponibili per soccorrere le persone in difficoltà: non ci era mai successo di dover effettuare 14 operazioni in una sola notte. Noi ribadiamo che la situazione è molto grave e va gestita con tutte le forze possibili, altrimenti tragedie come quella di pochi giorni fa nel canale di Sicilia sono destinate a ripetersi.
Un recente studio pubblicato dalla rivista internazionale Scientific Report smonta la teoria propagandistica del “pull factor” costituito dalle navi umanitarie, già smentita da numerosi altri rapporti. In base alla tua esperienza, quali sono i fattori principali che determinano i flussi migratori?
Questo nuovo studio conferma quello che abbiamo sempre detto, ovvero che le Ong non sono e non sono mai state un “pull factor”. Anche perché le Ong hanno iniziato a operare dopo Mare Nostrum, quindi nel 2015. Se si guardassero i numeri dal 2011 al 2015 si vedrebbe che gli arrivi erano anche più numerosi di ora: quindi le Ong hanno sempre fatto semplicemente il loro dovere, ovvero soccorrere le persone e monitorare il mare in una delle rotte più mortali del mondo.
Io penso che le persone partano perché sono costrette a scappare da violenze e povertà; il fenomeno delle migrazioni non può essere fermato, ma va affrontato in modo corale, senza ideologie e strumentalizzazioni.
Da gennaio a luglio del 2023 più di 100.000 migranti sono arrivati sulle coste italiane e purtroppo il numero dei morti in mare ha superato i 2.100. Cosa si può fare per invertire questa tragica tendenza?
Quello che possiamo fare è riflettere sul fatto che più di 2.000 persone sono morte nel Mediterraneo: questo è il problema vero, non il fatto che sono arrivate in Italia centomila persone perché sono state salvate. Dobbiamo decidere da quale prospettiva vogliamo vedere questa sfida: a volte non si capisce se il mondo sia più triste per la morte di 2.000 persone o perché centomila sono state salvate. Io credo che dobbiamo collaborare tutti per affrontare la questione riflettendo sulle violenze e sulle violazioni dei diritti umani nei Paesi di partenza e di transito e rendendoci conto che è urgente e necessario impegnarci da subito per assicurare delle vie legali di accesso all’Europa.