Dopo l’avvio della discussione del disegno di legge del Movimento 5 Stelle per la modifica del reato di tortura, nella giornata di ieri, in Commissione Giustizia del Senato, è arrivata la congiunzione con il testo di Fratelli d’Italia per l’abolizione del reato. Introdotto nel codice penale italiano solo nel 2017 – in ottemperanza all’obbligo inderogabile che il nostro Paese aveva assunto quasi trent’anni prima con la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura – l’esistenza del reato e la punibilità di questo crimine contro l’umanità sono già messe in discussione, nonostante la necessità della norma per colpire violazioni gravi sia ben visibile nell’uso che ne è stato fatto fin dalla sua entrata in vigore.
La proposta a firma Fratelli d’Italia, infatti, intende abolire il reato e derubricarlo ad aggravante comune, ponendo a rischio la punibilità di chi usa la tortura come strumento di sopraffazione. Tuttavia, un esito analogo, allo stato attuale, potrebbe avere anche una semplice modifica “migliorativa” dell’attuale testo di legge, in quanto rischierebbe – così come denunciato anche dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale – di rallentare o far saltare i processi e i procedimenti già in corso, con l’esito di far andare in prescrizione i reati.
“Da quando è stato introdotto il reato – dichiara Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone – sono numerosi i procedimenti che abbiamo visto nascere per le torture (o presunte tali) avvenute nelle carceri italiane. Da Santa Maria Capua Vetere a San Gimignano. Da Torino a Ivrea. Sono aumentate anche le denunce, perché sia tra le persone detenute che anche all’interno della stessa amministrazione penitenziaria, si è diffusa l’idea che non debbano esistere spazi di impunità. Per questo, abolire la legge, rischia invece di mandare un messaggio opposto e di far ripiombare il carcere nel sistema opaco che lo caratterizzava fino a pochi anni fa”.
Secondo Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, “ci sono voluti quasi 30 anni per inserire nel codice penale la parola tortura, e potrebbero volerci anche solo 30 giorni per cancellarla. Un passo indietro così grave sarebbe in totale contrasto con la Convenzione Onu contro la tortura e, oltre ai danni che produrrebbe rispetto ai procedimenti già in fase di svolgimento, rappresenterebbe una macchia sulla reputazione internazionale dell’Italia”
Infine, Luigi Manconi, Presidente di A Buon Diritto sottolinea nuovamente come “Nonostante i suoi limiti, il reato di tortura, approvato nel 2017 con un ritardo di trent’anni dalla ratifica italiana della Convenzione delle Nazioni Unite, sta svolgendo una funzione efficace: di sanzione nei confronti di trattamenti inumani e degradanti e di dissuasione rispetto alla tentazione di comportamenti violenti tanto diffusi, in particolare all’interno delle istituzioni totali. L’attuale fattispecie non va modificata, perché sarebbe inevitabile una soluzione peggiore e una misura di sostanziale impunità verso i possibili e i presunti torturatori”.
A Buon Diritto, Antigone e Amnesty International Italia, in prima linea nel chiedere l’introduzione del reato e nel difendere il testo che fu poi approvato, chiedono dunque che questa legge non venga né modificata, né tantomeno abrogata, e che l’Italia continui a impegnarsi nel perseguire chi si rende colpevole del reato di tortura, così come era stato più volte richiesto al nostro Paese dalla Corte europea dei diritti umani e da altri organismi internazionali, negli anni in cui non si era ancora dotato di una legge in tal senso.
Per queste ragioni, le tre organizzazioni si appellano a tutte le forze politiche, affinché la legge sulla tortura non subisca alcuna modifica, in nome del rispetto dei diritti umani.