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Disarmare il linguaggio dalla retorica della guerra e dalle logiche securitarie nelle aule scolastiche: diciamo basta alla normalizzazione e all’indottrinamento bellicista  

Tra pochi giorni comincia un nuovo anno scolastico e la tendenza didattica ed educativa per i nostri ragazzi e le nostre ragazze sembra essere già chiaramente anticipata dalle aziende che producono e distribuiscono zaini. E così, all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole giunge la segnalazione che Giochi Preziosi, leader nella distribuzione di giochi in Italia, azienda che probabilmente di marketing se ne intende, comprende la linea verso la quale i nostri governi spingono la scuola ed esce sul mercato con una nuova campagna pubblicitaria per la collezione di zaini dell’Esercito Italiano prodotti da Officina Italia, zaini con i marchi anche della Folgore e degli Alpini. Potrebbe sembrare anche una innocua operazione commerciale, ma ciò che la rende raccapricciante ai nostri occhi è l’uso delle parole adottate per il lancio di articoli che dovrebbero essere indossati dai ragazzi e dalle ragazze per andare a scuola a studiare: «Tutti sull’attenti!» o, peggio: «L’esclusiva collezione zaini Esercito per sentirsi sempre in missione!». L’idea stessa di interpretare la lezione e la vita scolastica come una missione militare, il fatto di immaginare che un docente, magari entrando in classe, possa battere i tacchi e urlare «Tutti sull’attenti!» fa venire i brividi a chi ha scelto i processi educativi per costruire un mondo che allontani la guerra dai pensieri, dal linguaggio e dalla pratica quotidiana. Quello adottato da Giochi Preziosi, che su questa sbavatura non può permettersi di peccare di ingenuità, è un linguaggio che evoca in noi scenari inaccettabili risalenti ai momenti più bui della nostra storia, quelli in cui la familiarizzazione con la violenza era funzionale ad una ideologia totalitaria e di sistema che doveva indirizzare i giovani verso una “Cultura della difesa”, una “Cultura della sicurezza”, ma che, in fondo, era una “Retorica di guerra”.

comunicato osservatorionomilscuola.com

 

Sull’emergenza migranti la Caritas invoca un cambio di rotta. Subito un confronto complessivo con governo, regioni, comuni e terzo settore: “Serve un modello diverso di accoglienza e integrazione” 

«Sui migranti “basta parlare di emergenza”: va aperto un confronto a tutto campo e a diversi livelli con il governo, i comuni, le regioni e le altre reti del terzo settore impegnate nell’accoglienza per affrontare la questione in modo strutturale. Don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, chiede a tutti di fare un passo avanti di fronte alla situazione di questa estate che vede gli sbarchi superare ampiamente quota 100 mila – siamo al doppio rispetto allo scorso anno – e il sistema di accoglienza italiano faticare molto per reggere l’urto dei bisogni e delle necessità». Così scrive sulle sue pagine il Redattore Sociale, in apertura  del pezzo sull’ emergenza migranti, facendo un reso conto sulle posizioni dal direttore della Caritas – riportando anche le dichiarazioni rilasciate su alcuni quotidiani della carta stampata –,  assunte in ordine all’insostenibilità registratasi nella gestione del fenomeno migratorio: “Occorre ragionare tutti insieme per concordare soluzioni efficienti, a partire dal reperimento degli spazi idonei per accogliere dignitosamente queste persone. Da parte nostra – dice il direttore Pagniello – questo comporta una maggiore assunzione di responsabilità, ma da parte di chi governa occorre il coraggio di superare la logica emergenziale per accogliere bene favorendo ad esempio il ritorno dell’accoglienza diffusa”. Infatti il ripristino di quest’ultima fattispecie, negata con l’entrata in vigore del decreto-Cutro, consentirebbe ai richiedenti asilo di essere destinati ai Cas-Centri di accoglienza straordinaria. In una delle sue interviste, riprese da RS, Marco Pagniello ha dichiarato la piena disponibilità della Caritas ad affrontare il tema sul riordino organico della materia:  “vogliamo metterci a fianco del governo, di ogni governo, per provare a costruire un modello diverso di accoglienza e integrazione. Se è vero, come è vero, che l’Italia ha bisogno di manodopera, credo che si tratti di studiare nuove formule per avere più flussi di ingresso, ad esempio tramite i corridoi umanitari, lavorativi, universitari”.

leggi articolo del Redattore Sociale

 

Va fermato il processo di militarizzazione della Sicilia. “L’Italia coinvolta nei teatri di guerra internazionali”. Una sintesi dell’intervista al pacifista siciliano Antonio Mazzeo    

Nel corso della manifestazione Canta e Cunta Festival è stato presentato, nello Spazio Averna dei Cantieri Culturali di Palermo, il fumetto “Sigonella. Le guerre alle porte di casa”, di Lelio Bonaccorso ed Antonio Mazzeo. A fine giornata, conclusasi l’iniziativa con gli autori, il giornalista  -noto per le sue battaglie contro la militarizzazione dei territori e da sempre forte oppositore delle grandi opere, spesso connesse alle strategie belliciste (Tav, Muos e Ponte sullo Stretto) – ha rilasciato una intervista al network organizzatore del Festival. Nella fattispecie, proprio a partire dalla particolarità dello strumento comunicativo utilizzato – il fumetto –, con il quale si è voluto ribadire -senza se e senza ma- il No alla guerra, gli è stato posto l’interrogativo: “Questo processo di militarizzazione può essere fermato?”. Alla domanda il nostro ha risposto guardando alle lotte del passato e alla loro riproduzione nel presente:  una generazione di attivisti capace di allargare lo specchio del conflitto sulle questioni ecologiche strettamente connesse alla critica della società dominante, riuscendo – parimenti – a fare comunità costituenti basate sulla cooperazione sociale. Sostanzialmente, Mazzeo ha precisato: « Il fumetto è drammatico, perché racconta in maniera cruda e sincera ciò che è stata Sigonella e la militarizzazione della Sicilia. Il volume però si conclude con tavole che ricordano la storia degli ultimi 50 anni dell’Isola. Una storia che ha visto milioni di persone scese in piazza per impedire l’installazione dei missili nucleari a Comiso. Quei missili furono installati ma quella mobilitazione costrinse due grandi superpotenze nucleari – Stati Uniti e Unione Sovietica – a raggiungere un accordo e smantellare quelle armi nucleari. Ricordiamo la straordinaria mobilitazione dei “No Mous” che entrarono nella base rivendicando un pezzo di territorio che gli era stato rubato e apparteneva alla riserva naturale. Il Muos purtroppo funziona ma quel modello di lotta e mobilitazione ha creato entusiasmi ». Infine, conclude rilanciando la generosità mai doma di quel movimento pacifista, mettendone in risalto la continuità resistenziale su vasta scala sociale: «Quei giovani oggi sono diventate persone che lottano contro le discariche, contro le grandi centrali, contro la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina e tanto altro. Persone che rigenerano movimenti e speranze, ma anche la voglia di riconquistare il territorio. La Sicilia è un’isola che per tanto tempo ha pagato in termini di morte e distruzione, ma anche dimostrato a livello internazionale una capacità enorme di mobilitazione e di non rassegnarsi davanti a niente. Rivendicando veramente un ruolo di pace e dialogo, di cooperazione in questi territori».

leggi l’intervista integrale

 

56 organizzazioni lanciano l’allarme: a rischio i salvataggi a causa degli ostacoli alle navi di soccorso negli Stati UE

Segnaliamo questo appello dal sito dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, in cui 56 organizzazioni, fra cui la stessa ASGI, denunciano le pericolose politiche migratorie degli Stati Membri dell’Unione Europea. Molti di questi, fra cui l’Italia, impedendo le operazioni di soccorso da parte delle navi delle ONG , mettono a serio rischio la vita delle persone migranti che attraversano il mare. «Pertanto – scrivono le 56 organizzazioni – lanciamo un appello urgente all’UE e ai suoi Stati membri: se l’ostruzione dell’assistenza umanitaria in mare continua, potremmo assistere entro la fine dell’anno ad una drastica riduzione o addirittura all’assenza di navi di soccorso civile in mare. Le conseguenze saranno ancora più letali, poiché la grave limitazione degli sforzi di soccorso civile non fermerà i tentativi di attraversamento delle persone».

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