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ROMPIAMO IL SILENZIO SULL’AFRICA. Rilanciamo ancora una volta l’Appello alla stampa di Alex Zanotelli: “Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano”

Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l´omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa. È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga. È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur. È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni. È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa. È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai. È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera. È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dove è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi. È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa, soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi. È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia, Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l´ONU. È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile. È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!). Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia della “invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi. Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l´Africa Compact, contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti. Ma i disperati della storia nessuno li fermerà.  Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L´ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall´ENI a Finmeccanica. E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l´Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimanere in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?). Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull´Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti? Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un´altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa. capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo.

Appello ai giornalisti/e  \ ripubblicato quest’anno anche da Volere la Luna

  

Acquistare abiti di seconda mano non basta a fermare l’inquinamento da fast fashion: “60% in più rispetto al 2000 sono i capi di abbigliamento che oggi acquistiamo e che, subito dopo, eliminiamo”

È la moda usa e getta, detta anche fast fashion: abiti con vita brevissima, che durano al massimo una stagione. Un sistema in crescita, che si nutre di prezzi bassi, grandissima disponibilità, campagne pubblicitarie martellanti. Lo chiamiamo consumismo, facciamo finta di non sapere che dietro ci sono diritti umani calpestati. La maglietta che ci costa solo cinque euro è, infatti, realizzata da lavoratori, più che altro donne, sfruttati, che non ricevono un salario dignitoso, lavorano un numero di ore disumano, in condizioni di scarsa igiene e senza tutele. Quello che forse ancora non sappiamo è che quella maglietta che a noi costa solo 5 euro, costa moltissimo al pianeta, tantissima acqua, sostanze chimiche inquinanti (dai pesticidi usati nei campi di cotone ai prodotti chimici adoperati nei processi di filatura, tessitura, sbiancamento e tintura dei materisli) e molte emissioni di gas serra. Le sostanze chimiche inquinanti sono tante, a partire dai pesticidi usati nei campi di cotone. Ma le fibre naturali sono state sostituite, per lo più, da fibre artificiali, come il nylon o l’acrilico, realizzate dal petrolio trasformato in fibre, quindi con lo stesso potere inquinante della plastica, compreso il rilascio di microplastiche durante il lavaggio. Anche le fibre semi-sintetiche, come la viscosa, che si ottengono dalle piante, necessitano di un processo di trasformazione che richiede l’uso di sostanze chimiche altamente inquinanti. Per non parlare dell’impatto ambientale determinato dallo smaltimento di questi tessuti, che merita di essere descritto in un apposito approfondimento. C’è poi l’enorme consumo di acqua, per produrre la maglietta di cui parlavamo si consumano 3.900 litri d’acqua, la quantità bevuta da una persona in 5 anni. Non stupisce che, a partire da queste premesse, l’industria della moda usa e getta sia una delle più inquinanti al mondo. Basta pensare che l’intero settore produce, ogni anno, emissioni di gas serra pari a 1,2 miliardi, più dei trasporti aerei e marittimi internazionali. Sono i dati della Ellen MacArthur Foundation, e risalgono al 1917. Come mai l’acquisto di capi di abbigliamento va crescendo anche se molti vestiti vengono poco usati e rimangono nell’armadio? La maggior parte delle persone, sollecitata dalla pubblicità, sente il bisogno di acquistare in continuazione per seguire le tendenze della moda, che offre sempre nuovi stimoli. Se un tempo nei negozi arrivava una nuova collezione quattro volte all’anno, oggi ne arrivano anche il triplo, ci dice chi lavora nel settore. Qualcuno prova ad invertire la rotta. Il progetto #CambiaMODA!  Promosso da Istituto Oikos, Mani Tese e Fair, finanziato dall’Agenzia per la Cooperazione Italiana, si propone – ad esempio – di favorire un cambiamento culturale e materiale del “sistema moda” attraverso percorsi didattici e campagne di sensibilizzazione rivolti soprattutto ai più giovani. Suggerisce anche gesti semplici come quello di frequentare negozi di seconda mano o donare i propri abiti usati invece di buttarli. Approfondendo, però, constatiamo che non ci sono ricette facili e scontate. Prendiamo, da una parte, l’esempio di Mani Tese, che ha una lunga tradizione di attenzione all’ambiente e di contrasto al consumismo attraverso il riutilizzo degli oggetti, abiti compresi. Li riceve in dono e li rivende nel proprio mercatino dell’usato, che a Catania si trova in via Montenero, alimentando – con il ricavato della vendita – progetti e campagne nel Sud del mondo. Questo esempio di riutilizzo dell’abbigliamento non è, tuttavia, quello dominante. Sulla compravendita dei capi di seconda mano sono nati, di recente, notevoli giri di affari che fanno riferimento alla sostenibilità, ma di sostenibile hanno ben poco.

lettura integrale su ArgoCatania

 

Rapporto-ISTAT 2023. Prospettive demografiche e popolazione in età di studio e di lavoro: “Cambiamenti nel Mercato del Lavoro e Investimenti in Capitale Umano” 

Gli scenari demografici più recenti mettono in luce come entro i prossimi venti anni in Italia vi sarà una riduzione consistente della popolazione in età di studio e di lavoro. Tuttavia, la contrazione della platea di studenti può essere mitigata dalla diminuzione degli abbandoni nelle scuole secondarie superiori e da un aumento dei tassi di partecipazione all’istruzione universitaria. In entrambi i casi in Italia si sono registrati progressi significativi già nell’ultimo decennio, ma la distanza dai Paesi più virtuosi dell’Unione è ancora ampia, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Inoltre, le maggiori criticità di queste ultime riguardano anche le competenze dei diplomati, che risultano in media più basse rispetto a quelle misurate al Centro-Nord. Quasi un quinto dei giovani tra 15 e 29 anni in Italia non lavora e non studia (il dato più elevato tra i Paesi Ue dopo la Romania), e fino a un terzo in Sicilia. Favorirne l’ingresso nel sistema formativo e nel mercato del lavoro potrebbe contribuire a ridurre la dissipazione del capitale umano dei giovani, risorsa sempre più scarsa nel prossimo futuro. Gli effetti del calo della popolazione in età da lavoro e dell’invecchiamento sono apprezzabili già oggi. Nonostante il recente andamento favorevole dell’occupazione, l’Italia si colloca ancora all’ultimo posto in ambito europeo e, al tempo stesso, detiene il primato (dopo la Bulgaria) per l’elevata età media degli occupati. L’aumento dei tassi di occupazione, in particolare per i giovani e le donne, potrebbe compensare la perdita prevista nel numero di occupati per effetto della dinamica demografica e ridurre la disuguaglianza di genere nei redditi. Gli effetti delle tendenze demografiche sul mercato del lavoro non vanno intese dunque come un destino ineluttabile. Il nostro Paese può conseguire ampi margini di contenimento degli effetti sfavorevoli della dinamica demografica agendo sul recupero dei ritardi strutturali. In questa prospettiva, per competere nella società della conoscenza, è fondamentale l’investimento in capitale umano e l’impiego di professionalità qualificate, unitamente alla modernizzazione del sistema produttivo

dal cap.2 del rapporto Istat.pdf

 

“Salute bene comune. In Europa un primo grande passo”. Continua la mobilitazione per l’infrastruttura pubblica europea per vaccini e farmaci –  firma la PETIZIONE

Il 12 luglio 2023 il Parlamento europeo ha compiuto un primo grande passo nella difesa della salute di tutti e di tutte noi: ha approvato il Rapporto sulle lezioni della pandemia di Covid-19 raccomandando a Commissione e Stati Membri la creazione di una infrastruttura pubblica europea per la ricerca e lo sviluppo di farmaci e vaccini. Nonostante il testo non abbia sciolto tutti i nodi relativi alla proprietà intellettuale, il Forum Disuguaglianze e Diversità ha accolto con soddisfazione l’esito della votazione in quanto, esattamente un mese prima, aveva lanciato la campagna “Salute bene comune” a sostegno di questa proposta, scrivendo una lettera a tutti gli europarlamentari italiani per chiedere a ciascuno di impegnarsi per sostenerla. Anche i cittadini e le cittadine interessati al tema erano stati sollecitati a scrivere ai propri rappresentanti in Europa e a firmare la petizione lanciata dal ForumDD a settembre del 2022 a sostegno della stessa proposta, già firmata da importanti esponenti del mondo scientifico, come il premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi, quello dell’Economia Amartya Sen e quello per la Fisica Barry Barish.  La creazione di un’impresa pubblica europea in grado di controbilanciare i grandi monopoli tecnologici privati in un settore come la salute, è tra le “15 proposte per la giustizia sociale” avanzate nel 2019. La proposta è stata presentata anche il 28 settembre 2022 al Panel for the Future of Science and Technology (STOA) da Massimo Florio, professore dell’Università di Milano e membro dell’assemblea del ForumDD. Florio è anche autore, insieme a Simona Gamba (Università di Milano) e Chiara Pancotti (CSIL), di uno studio indipendente redatto su richiesta del Parlamento europeo proprio nell’ambito dei lavori della Commissione speciale, presentato lo scorso 24 marzo. Per i nove vaccini analizzati dallo studio si stima che le imprese, prima di avere la certezza di vendere il prodotto, abbiano investito 5 miliardi di euro per la ricerca e lo sviluppo e 11 miliardi per investimenti produttivi per un totale di 16 miliardi. A fronte di questi investimenti, alle imprese sono arrivati 9 miliardi di euro in sovvenzioni a fondo perduto per ricerca e sviluppo, prevalentemente da Stati Uniti, e 21 miliardi in accordi di acquisto anticipato, cioè firmati prima che i vaccini siano stati autorizzati, in misura simile da Stati Uniti e Unione Europea, per un investimento totale del pubblico di 30 miliardi. Ciò significa che la maggior parte del rischio finanziario che ha permesso la realizzazione dei vaccini è stata assunta dal settore pubblico e quindi da tutti e da tutte noi. Al grosso rischio assunto dagli Stati rispetto a quello delle imprese non ha corrisposto un diritto di comproprietà della conoscenza prodotta. Questo ha significato non permettere a terzi di produrre i vaccini per consentire di agire ovunque e nel più breve tempo possibile per arginare la pandemia e finanziare con soldi dei contribuenti la ricerca e ritrovarci a pagare di nuovo beni e servizi che le grandi società private producono grazie a essa. Per esempio si stima che il costo di produzione per una dose di vaccino Pfizer o Moderna, sia tra gli uno e i due dollari. Vengono però vendute a circa venti dollari l’una, e le due aziende hanno fatto sapere ai loro investitori di voler quintuplicare il prezzo portandolo a cento dollari a dose. Per evitare che questo accada di nuovo e per fare sì che l’infrastruttura pubblica europea diventi realtà, nei prossimi mesi proseguirà la mobilitazione per diffondere e far firmare la petizione.

leggi comunicato integralmente su FDD-ForumDisuguaglianzeDiversità

 

Autonomia differenziata e presidenzialismo: il Tavolo no AD contro l’ordine del giorno approvato in Senato il 25 luglio. Continua la campagna di mobilitazione nazionale del Tavolo No Ad e della Rete dei Numeri Pari, con decine e decine di iniziative territoriali, in preparazione della manifestazione nazionale del 7 ottobre a Roma

Non è bastato il corposo documento dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che ha dimostrato – nero su bianco – i gravi pericoli dell’autonomia differenziata; non sono bastati i pronunciamenti – dai toni diversi, ovviamente – di Banca d’Italia  e Confindustria; non è bastato l’intervento della Commissione Europea e neppure le audizioni in commissione I del Senato dove, su 61 soggetti auditi, 35 hanno detto no all’autonomia differenziata. Non sono bastate nemmeno le dimissioni dalla Clep di 4 autorevolissimi giuristi, in disaccordo su procedure e merito. L’ordine del giorno approvato il 25 luglio al Senato parla chiaro: avanti tutta. In modo inatteso e irrituale la maggioranza «impegna il Senato ad approvare il disegno di legge Calderoli sull’Autonomia differenziata in tempi rapidi». Le dichiarazioni del ministro Calderoli – “non possiamo fermare la legge per definire i diritti” – contraddice persino l’impostazione del suo stesso progetto, che prevedeva preventivamente la definizione dei livelli essenziali di prestazione prima dell’approvazione del ddl che norma le procedure di accesso delle regioni a statuto ordinario all’autonomia differenziata. L’Italia che brucia al Sud e viene colpita da grandini come sassi al Nord può permettersi davvero di affidare alla potestà legislativa esclusiva della regione la cura di ambiente e territorio? O forse la collettività nazionale, la Repubblica, appunto, deve farsi carico di creare condizioni di esistenza dignitosa, sicura e civile per tutti e tutte, ovunque risiedano? Le accelerazioni del  Governo non ci impediranno di continuare ad affermare la costanza delle nostre ragioni..

comunicato 

 

18 – 24 Settembre 2023: la 16° Settimana Internazionale per il Reddito di base. L’International Basic Income Week è una settimana partecipativa auto-organizzata

Dal 18 al 24 settembre 2023, in tutto il mondo, si terrà la 16° edizione della Settimana per il reddito di base (Basic Income Week). Come ogni anno, durante la settimana, si organizzeranno iniziative pubblici, seminari di approfondimento, spettacoli teatrali, marce, concerti, dibattiti, presentazioni di libri, incontri sul tema del reddito di base etc.. La Basic Income Week ha come finalità quella di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e sulla proposta del reddito di base. Il metodo è quello che le reti ed i sostenitori del reddito di base, organizzino in modo autonomo forme di comunicazione ed informazione per dare maggior visibilità al tema del reddito. L’obiettivo è quello di allargare la sfera dei sostenitori facendo conoscere la proposta del reddito di base. Ci sono, in particolare, alcuni eventi che possono dirsi ufficiali:

  • Basic Income Profile Picture Action 1-24 settembre 2023. 
  • Count on basic income: Azione fotografica mercoledì 20 settembre 2023, #countonbasicincome
  • 6° International Basic Income Beer Venerdì 22 settembre 2023, #basicincomebeer
  • 5a Marcia Internazionale del Reddito di Base Sabato 23 settembre 2023, #basicincomemarchasicincomeweek16

Come ogni anno, anche il Basic Income Network Italia, raccoglierà le varie iniziative promosse in Italia (cerca nel sito www.bin-italia.org le altre edizioni) e le convoglierà al programma generale internazionale.  La partecipazione, la promozione, la scelta dei temi e del metodo deve essere definito in piena autonomia e libertà di scelta da coloro i quali daranno vita alla propria iniziativa. Chiediamo solo di farci avere notizia dell’evento che intendete promuovere, cosi da poter realizzare un calendario delle diverse iniziative che saranno promosse in Italia. Sarà nostro compito darne maggior diffusione e comunicazione sia sul piano nazionale, sul nostro sito e i social media del BIN Italia, sia nei canali di informazione e comunicazione delle reti internazionali per il reddito di base e sul sito internazionale della Basic Income Week. Per questo vi chiediamo di inviarci data, orario, luogo, titolo e programma dell’iniziativa e successivamente di inviarci foto o video dell’iniziativa stessa una volta realizzata. Per costruire un calendario delle iniziative, potete inviare le informazioni della vostra iniziativa a: info@bin-italia.org. Questo ci permetterà di avere una “fotografia” delle iniziative che saranno promosse in Italia

basicincomeweek.org

 

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