Lo scorso 6 luglio abbiamo ottenuto un successo cruciale contro l’ingerenza di ENI nel mondo della ricerca e della didattica universitaria, vincendo un ricorso al Consiglio di Stato per l’accesso agli atti del Politecnico di Torino. Dopo il TAR, anche l’ultimo grado della giustizia amministrativa ha infatti confermato la nostra legittima richiesta di trasparenza sugli accordi e i contratti che esistono tra ENI (e le società della sua galassia) e il Politecnico di Torino. Ora l’ateneo dovrà fornire i propri atti e in questo modo rendere pubblici anche i dati relativi ai finanziamenti che recepisce dalle aziende dell’oil & gas.
L’università è un luogo di sapere, di conoscenza e di ricerca, ma se tutto questo è finanziato da aziende che hanno specifici interessi allora l’ateneo diventa uno strumento culturale, formativo e di greenwashing nelle mani di aziende private e fossili come ENI.
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento“ questo cita la nostra Costituzione, ma quando un’azienda interferisce nell’erogazione della didattica di un corso di laurea si viola lo scopo formativo dell’Università. Se i finanziamenti arrivano da chi compie crimini nei confronti dell’ambiente, è ancora più grave.
Oggi gli atenei si accordano con ENI, dandole lo spazio che dovrebbe appartenere solo ed esclusivamente a una didattica libera e indipendente. Consentendo a questa azienda fossile di prendere parte al processo formativo di centinaia di studenti e studentesse le nostre università si rendono complici di un processo di greenwashing culturale e sociale. E allora tocca a noi di Greenpeace cercare di fare trasparenza sul ruolo delle aziende fossili nelle istituzioni culturali del Paese, come primo passo per bonificare la cultura dagli interessi che agiscono contro l’ambiente globale.
Siamo consapevoli del grave sotto-finanziamento delle università – è noto che il Fondo di Funzionamento Ordinario è troppo basso – ma i rettori dovrebbero lottare per aumentare i contributi pubblici destinati alle università e non accettare fondi da realtà che distruggono il nostro Pianeta. Dovrebbero porsi seriamente la domanda se sia eticamente e culturalmente corretto dare spazio nei nostri atenei a chi viola scientemente gli Accordi di Parigi e continua a creare un mondo di ingiustizia climatica e sociale, o se si può finalmente fare una scelta forte e coraggiosa defossilizzando le nostre università e le nostre scuole.