L’esercito sudanese dopo una serie di sconfitte nella capitale sta compiendo un’offensiva generalizzata su tutti i fronti a Khartoum.
Bombardamenti aerei e dell’artiglieria aprono la strada all’avanzata delle truppe speciali di terra, in una guerra strada per strada.
Non ci sono informazioni sulle vittime cadute, anche perché la maggior parte degli ospedali sono fuori servizio, perché sono stati occupati dalle milizie e trasformate in basi militari, per sfuggire ai bombardamenti aerei. Uno sviluppo militare che non promette giorni sereni per la popolazione intrappolata tra i due belligeranti.
La guerra dalla capitale si è estesa alle altre province, sia ad ovest nel Darfur, sia a Sud in Kordofan e Nilo Blu. L’esercito che prima minimizzava la ribellione in Kordofan, adesso attacca nei suoi comunicati i capi del Fronte popolare, che “avrebbero tradito gli accordi firmati nel 2020, in una fase di difficoltà delle forze armate”.
Il governo militare accusa i ribelli di voler lo smembramento della nazione.
Il pericolo maggiore però rimane in Darfur, dove le milizie di Hamidati hanno una forte concentrazione di truppe e di armamenti, diverse vie di rifornimento con Libia, Ciad e Repubblica Centrafricana ed hanno un serbatoio di proselitismo nello scontro interetnico.
Il governatore del Darfur, Minni Arko Minnawi, ha proposto di utilizzare le milizie locali come forze di interposizione, ma la proposta è caduta nel vuoto.
Va detto che i media occidentali non seguono la guerra in Sudan con la dovuta attenzione, neanche un decimo di quella dedicata alla guerra in Ucraina. Forse questo atteggiamento cambierà dopo i recenti accenni di Mosca ad una mediazione, in collaborazione con Ankara.