Io ricordo di averlo accompagnato in Bosnia, Kosovo, El Salvador, Guatemala, Australia, Vietnam, paese che, come un voto emesso, visitava ogni anno, ma penso che non ci sia stato scenario di guerra che non l’abbia visto discreto seminatore di pace, della costruzione della pace.
Bettazzi ha attraversato il mondo del Concilio, del dialogo, della nonviolenza, delle domande critiche, dell’incontro. Profeta della pace e della nonviolenza, don Bettazzi è tutt’altro che un protagonista del passato. È piuttosto un uomo del futuro. Si è sporto, ha anticipato, ha aperto squarci di futuro. Ed è esattamente ciò che gli ha causato non poche incomprensioni e avversità, soprattutto da parte delle sentinelle del passato rassicurante.
Bettazzi amava la navigazione in mare aperto, le cime senza orizzonti obbligati, i percorsi non indicati dalle cartine geografiche. Come tutti i profeti autentici, Bettazzi è stato, è, un uomo libero. Anche se ripeteva che il profeta era don Tonino e che lui era piuttosto il patriarca, i costruttori della pace di ogni latitudine e di ogni credo l’avranno come punto di riferimento sempre perché quell’uomo dava puntualmente voce all’anima. Non solo alla sua, ma all’anima del mondo di cui aveva imparato le lingue nelle sessioni del Concilio. È figlio di quella Pentecoste. Se qualcuno dovesse lasciarsi sfuggire che da oggi il mondo è più povero, rispondetegli che il futuro è più ricco. E non abbiamo altre parole se non il grazie che si deve al cielo e alla terra.