A. Dopo i fallimenti di Giorgia Meloni a Bruxellese nei rapporti con le autorità di governo dei paesi nordafricani, oggetto di una pressione crescente dal momento dell’insediamento del nuovo governo, con la proposta di un nuovo “Piano Mattei” per l’Africa, il Viminale mette a punto la nuova strategia delle procedure accelerate in frontiera, previste dalla legge n.50 del 2023 (ex “Decreto Cutro”) nel tentativo di accelerare le espulsioni ed i respingimenti delle persone appena soccorse in mare, e dimostrare così al proprio elettorato una “gestione” più rigorosa delle procedure di sbarco e di prima identificazione, fino al punto di ridurre al minimo le garanzie di difesa e la stessa possibilità di accesso effettivo alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale. Ma questo progetto sembra fallire persino con il partner finora più “disponibile” nelle politiche di rimpatrio dall’Italia, il premier tunisino Saied, un autocrate che sta cancellando i diritti umani nel suo paese, e che pratica da mesi una politica di confinamento e di espulsione violenta dei cittadini subsahariani presenti o in transito in Tunisia. Per non parlare dei mancati soccorsi in alto mare della Guardia costiera tunisina, sostenuta, come le sedicenti guardie costiere libiche, dalle autorità italiane.

La previsione di una maggiore efficacia nel contrasto degli sbarchi, propagandata dal governo Meloni, si basava dunque su presupposti che non si sono realizzati e che difficilmente si realizzeranno in futuro, considerando il netto rifiuto dei paesi di transito e di origine a collaborare nell’esecuzione di misure di allontanamento forzato. Occorre riflettere anche sull’enorme costo di queste procedure che per effetto del ricorso generalizzato alla categoria di “paese terzo sicuro”, anche per coloro che non ne sono cittadini, ma vi sono solo transitati, assumerebbero il carattere di vere e proprie deportazioni, se non di respingimenti collettivi vietati dalle Convenzioni internazionali. Si verificherebbe anche una serie di gravissime violazioni di norme internazionali ed europee, che hanno già comportato condanne a livello internazionale dell’Italia in passato, quando si sono volute accelerare le procedure di respingimento immediato, se non ”differito”, attuando misure limitative della libertà personale e cancellando i diritti di difesa. Al governo italiano, ed alle autorità periferiche del ministero dell’interno forse sfugge come sia ancora mancata a livello europeo la “ratifica” delle “procedure accelerate in frontiera”, previste con termini brevissimi, e al momento irrealizzabili, dalla legge n.50 del 2023. Una “ratifica”, con un congruo sostegno economico, che il governo italiano ha cercato dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo del 9 giugno, fino all’ultimo Consiglio dei capi di governo a Bruxelles del 29 e 30 giugno, con ostinazione degna di migliore causa, una “ratifica” che non è arrivata e non poteva arrivare, malgrado gli annunci di successo della Meloni. Sui temi trattati su richiesta dell’Italia non si è giunti ad alcuna conclusione operativa, ed è ancora in alto mare il Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea. Alla fine quando diranno che si sarà raggiunta una intesa, occorrerà leggere bene il reale contenuto degli accordi e verificare quanti soldi mette davvero a disposizione l’Unione Europea.

 

B. La legge n.50 del 2023di conversione del decreto legge “Cutro”, con l’art.7 bis, dedicato alle procedure accelerate, integra gli articoli 28 bis e 29 del Decreto legislativo n.25 del 2008 con particolare riferimento ai casi di “procedure in frontiera” e di “domanda reiterata”.

La legge n.50 del 2023, modifica il decreto legislativo n. 142 del 2015, che in un unico provvedimento dava attuazione alle Direttive dell’Unione europea in materia di Accoglienza (2013/33/UE) e di Procedure (2013/32/UE) per il riconoscimento della protezione internazionale, adottate nel 2013. Il provvedimento approvato sull’onda delle reazioni alla strage di Cutro estende ancora una volta i casi di trattenimento del cittadino straniero durante lo svolgimento della procedura in frontiera. La stessa legge prevede poi la possibilità di internare i richiedenti asilo nei Centri per i rimpatri (CPR) previsti dall’art. 14 del Testo Unico sull’immigrazione, e aumenta i tempi intervallo tra una convalida e l’altra (da 30 s 45 giorni), confermando la durata massima del trattenimento amministrativo in 90 giorni (art.10 bis legge n.50 del 2023).

La nuova norma dettata dall’art. 7 bis della legge 50/2023, prevede che

1. Fuori dei casi di cui all’articolo 6, commi 2 e 3-bis, del presente decreto e nel rispetto dei criteri definiti all’articolo 14, comma 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il richiedente può essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura in frontiera di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lettere b) e b-bis), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e fino alla decisione dell’istanza di sospensione di cui all’articolo 35-bis, comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 25 del 2008, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.

2. Il trattenimento di cui al comma 1 può essere disposto qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con i Ministeri della giustizia e dell’economia e delle finanze, sono individuati l’importo e le modalità di prestazione della predetta garanzia finanziaria.

Il trattenimento non può comunque protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per lo svolgimento della procedura in frontiera e la convalida del trattenimento comporta un periodo massimo di permanenza non prorogabile di quattro settimane. Il trattenimento è disposto in appositi locali presso le strutture di cui all’articolo 10-ter, comma 1 del decreto legislativo n. 286/1998 ovvero nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo n. 286/1998 [comma 2, lettera b), capoverso articolo 6-bis].

Le norme che prevedono il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo potrebbero risultare in contrasto con l’art. 10 della Direttiva 2013/33/EU (Direttiva Accoglienza), che detta le condizioni per il trattenimento dei richiedenti asilo, come la disponibilità di spazi aperti, il diritto di essere informati delle norme vigenti nel centro, la possibilità di comunicare e ricevere visita da parte di personale UNHCR, familiari, avvocati consulenti legali e rappresentanti di organizzazioni non governative. In ogni caso, il trattenimento dei richiedenti asilo, che nella normativa euro-unitaria viene considerato come un caso residuale, nell’ordinamento italiano diventa ormai la regola prevalente, al di là della sua dimostrata inapplicabilità.

Secondo le posizioni contenute nei documenti dell’’UNHCR , che valgono per tutti i potenziali richiedenti asilo, “la detenzione di richiedenti asilo non dovrebbe essere utilizzata in maniera automatica o obbligatoria per tutti, piuttosto dovrebbe rappresentare l’eccezione. Brevi periodi di trattenimento sono ammissibili nella fase iniziale di verifica dell’identità e durante i controlli di sicurezza quando l’identità è incerta o controversa o emergono elementi indicativi di rischi per la sicurezza. Quando una misura di detenzione è applicata per un fine legittimo, essa deve essere prevista dalla legge, deve fondarsi su di una decisione individuale, e deve risultare strettamente necessaria e proporzionale, avere un durata prestabilita ed essere sottoposta a revisione periodica . La detenzione non dev’essere applicata ai minori”.

Risulta invece dalle prassi di queste prime settimane di applicazione della legge n.50 del 2023 che il trattenimento amministrativo dei minori stranieri non accompagnati dopo lo sbarco in Italia sia largamente praticato in strutture “di prima accoglienza” nelle quali si realizza una totale limitazione della libertà personale.

 

C. Piuttosto che formulare proposte normative che sarebbero schiacciate dall’attuale maggioranza parlamentare, che su questi temi sta svuotando persino la rappresentatività reale di Camera e Senato, occorre accrescere il livello della mobilitazione, rafforzare i collegamenti con le comunità migranti, anche tra le due sponde del Mediterraneo, estendere le reti di assistenza e difesa legale attorno tutti i centri di detenzione (impropriamente chiamati “di prima accoglienza”) nei quali si praticano procedure accelerate in frontiera, dunque nei centri Hotspot e negli “altri luoghi a disposizione” del Ministero dell’interno, verso cui possono trasferirsi a discrezione le persone appena sbarcate, private di informazioni e di assistenza legale.

Occorre moltiplicare le denunce a livello nazionale ed internazionale, su tutte le prassi amministrative che non rispettano i diritti e le garanzie sancite da Regolamenti e Direttive europee, oltre che da Convenzioni internazionali.

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