L’associazione ambientalista Legambiente ha lanciato quella che definisce un’iniziativa di “ecologia umana” per fornire alloggi dignitosi ai lavoratori agricoli nella Piana del Sele, in provincia di Salerno. Siamo andati a vedere come funziona.
Guardandola dalle colline che la dominano dall’alto, le grandi serre agricole della Piana del fiume Sele sono visibili a perdita d’occhio. Fino al mare. Percorrendo le sue strade, soprattutto la mattina presto e al tramonto, è tutto un via vai di migranti in bicicletta. “Secondo le nostre stime nell’agroindustria della Piana sono circa 12mila”, fa di conto, per l’Atlante delle Guerre, Anselmo Botte, storico sindacalista della CGIL di Salerno che da decenni segue il fenomeno. Senza quelle 24mila braccia di magrebini, immigrati dell’Africa subsahariana, bengalesi, indiani e pakistani, il comparto agricolo e bufalino entrerebbero rapidamente in crisi.
La Piana del Sele è in una delle aree agricole più estese, fertili e meccanizzate della Campania: 3.600 ettari di superficie, di cui quasi il 90% realmente utilizzato. Frutta, verdura, ortaggi e la tipica mozzarella di bufala campana coprono da qui il mercato locale ed entrano nella grande distribuzione organizzata, fino ai mercati esteri. Grandi imprese con oltre 100 ettari di terreno (retaggio del vecchio latifondo) e noti marchi del comparto (anche stranieri) qui fatturano milioni di euro.
I problemi ovviamente sono tanti, a partire dall’illegalità diffusa: spaccio di droga, prostituzione e tratta di esseri umani interessano da tempo questa fascia costiera che da Salerno arriva nel Parco del Cilento. C’è poi il lavoro nero. “A detta del Libro rosso della CGIL (con dati INPS) i senza contratto sono il 60%, con il settore agricolo tra i più esposti”, prosegue Botte. Se 4-5 anni fa guadagnavano 20 euro al giorno a nero, oggi chi è stato regolarizzato arriva a prenderne il doppio. “Ma anche per chi ha ottenuto il contratto- sottolinea il sindacalista salernitano – c’è la solita discrepanza tra giornate lavorate, che quasi mai corrispondono con quelle effettive. In media si lavora quasi tutto il mese, quindi 22/25 giorni, ma in busta paga quando va bene sono al massimo 10/12, quindi praticamente la metà”.
L’altro grande problema è di tipo abitativo. “La situazione alloggiativa è molto degradata”, denuncia ancora Botte. “Dopo lo sgombero a Eboli del ‘ghetto’ di San Nicola Varco strutture di quelle dimensioni non ce ne sono più. I migranti si sono spalmati su tutta la Piana del Sele, nei centri storici o lungo la litoranea, dove popolano edifici costruiti abusivamente negli anni Settanta e Ottanta, pensati per il turismo locale e poi affittati ai migranti”. E non sempre con regolare contratto di locazione.
In questo scenario si inserisce l’esperienza di OrtoMondo. Siamo nel comune di Capaccio-Paestum (22mila abitanti), noto per la sua area archeologica sede di tre antichi templi greci ancora oggi in ottimo stato di conservazione. Qui il locale circolo di Legambiente ha lanciato un’iniziativa destinata ai migranti di housing sociale o, come loro stessi amano definirla, di ‘ecologia umana’. Grazie alla lunga esperienza maturata sul campo, assieme a Rovigo e Scicli, Veynes e Pays de Saint-Aulaye (Francia) e a due distretti di Berlino (Germania), Capaccio-Paestum è entrata a far parte delle sette località pilota del progetto europeo Involve (INtegration of migrants as VOLunteers for the safeguard of Vulnerable Environments) che impegna varie associazioni in “percorsi di volontariato, in cui costruire e sperimentare una nuova idea di cittadinanza europea per comunità più inclusive, sicure e coese”. Il presidente del locale circolo di Legambiente, Pasquale Longo, ci tiene però subito a chiarire all’Atlante delle Guerre: “Non abbiamo alcun finanziamento, tutto è in auto-sostentamento e siamo auto-sufficienti, dando ugualmente dignità a persone che sviluppano autonomamente il loro percorso”.
La struttura in questione è un complesso abitativo con attorno un ettaro di terreno e un improvvisato campetto da calcio. Quando la visitiamo, essendo metà pomeriggio, i suoi residenti stanno tornando in bicicletta o a bordo di ciclomotori dal loro lavoro agricolo nella Piana. A seconda delle stagioni, nel poco tempo libero a loro disposizione, a OrtoMondo coltivano peperoni, scarola, insalata, cipolle, grano, carciofi e melanzane. Ma anche prodotti della propria terra, come l’okra, il karcadè o le zucche africane. Cui si aggiunge l’apicoltura per il miele.
L’edificio è composto da otto alloggi indipendenti (quattro al piano terra e altrettanti al superiore) in grado di ospitare 16 persone. “Questa è una struttura privata”, puntualizza Longo di Legambiente. “Precedentemente era adibita a Centro di accoglienza straordinaria (Cas): 70 ospiti, rispetto ai nostri 14 attuali”. Quando nel settembre 2020 la struttura ha chiuso, l’associazione ha affittato l’edificio: “Paghiamo 1.200 euro di canone, cui si aggiungono l’energia elettrica (in media circa 600 euro al mese) e il gas. Costi che presto ridurremo, poiché una ditta del settore ci ha donato dei pannelli solari da balcone”. Tutti gli abitanti degli alloggi contribuiscono alle spese: “Per la casa ogni migrante paga 75 euro al mese”, puntualizza Longo. “I moduli abitativi sono da 2 persone: vivere qui gli costa quindi 150 euro al mese, la metà se non un terzo dei prezzi di mercato. E ovviamente, quando necessario, li sosteniamo noi”.
Infissi, arredi ed elettrodomestici dell’housing di OrtoMondo sono di seconda mano, provenendo dal recupero dei rifiuti ingombranti. Questo di Legambiente Capaccio-Paestum è un esperimento, “un modello dell’accoglienza diffusa che dovrebbero fare le aziende – suggerisce Longo – attraverso un patto di solidarietà e magari consorziandosi tra loro per offrire ai propri dipendenti una casa a prezzo calmierato. Dieci strutture come queste darebbero dignità a oltre 100 persone, anche perché a loro difficilmente affittano regolarmente abitazioni”.
Oltre all’orto sociale, Legambiente ha attivato due ciclo-officine, organizza corsi di alfabetizzazione e di educazione stradale, fornisce supporto legale e li coinvolge nelle attività di volontariato. Tra quelle finalizzate alla cura del territorio c’è ad esempio il taglio dell’erba nell’area archeologica di Paestum e la pulizia delle mura dell’antica città greca. Tanto che alcuni, i più attivi, sono nel tempo diventati soci dell’associazione ambientalista. Gli abitanti di OrtoMondo sono tutti uomini, con poco più di trent’anni di età, dalle storie molto simili tra loro.
“Li definisco immigrati di terzo livello – riprende il presidente del circolo – perché sono regolari, lavorano con un contratto, guadagnano 750/900 euro al mese e inviano soldi a casa alle famiglie”.
Kandra, senegalese, come quasi tutti lavora nel settore agricolo: “Nella Piana, dove sono arrivato cinque anni fa, mi occupo soprattutto di salvia e insalata. A OrtoMondo vivo da 12 mesi e mi ci trovo bene, perché abbiamo una casa, stiamo insieme e ci sosteniamo a vicenda. La domenica, che finisco di lavorare prima, curo l’orto sociale”.
Malang, anche lui del Senegal e da tre anni nella Piana, è l’ultimo arrivato: “Sono qui da venti giorni, non ho ancora nemmeno la residenza”, spiega mentre è intento a spostare dei pali da un campo della struttura che deve essere arato.
C’è poi Ariu, altro senegalese, il quale qualche mese fa è tornato per 24 giorni dalla sua famiglia: “Sono partito in aereo da Napoli e in appena sei ore ero a casa”, racconta all’Atlante delle Guerre con il sorriso stampato sulle labbra. “In Senegal ho una moglie e un figlio: quando sono partito aveva pochi mesi, ora ha sette anni”. A OrtoMondo dal febbraio 2021, anche Ariu è impiegato nel settore agricolo della Piana: “Salvia, rosmarino, menta e timo”. In Senegal lavorava ugualmente la terra: “Coltivavo mais e meloni, ma non riuscivo a sfamare la mia famiglia. Sei anni fa, attraversando Mali, Burkina Faso e Niger, sono così arrivato in Libia. Un viaggio durato sei mesi. Dopo 15 giorni in Libia ho poi raggiunto via mare Lampedusa e da lì mi hanno portato direttamente qui a Capaccio-Paestum. Sul barcone eravamo 415 persone, delle quali 5 sono morte durante il viaggio. Fortunatamente ci hanno salvati in mare”. Dalla sua nuova casa a OrtoMondo, situata ai piedi della collina, Aru vede la Piana nella quale lavora. Ma soprattutto, in lontananza, il mare che come gli altri ha attraversato in cerca di un futuro migliore, rischiando la propria vita.