La relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, Francesca Albanese, ha presentato, lo scorso lunedì 10 luglio, un rapporto assai analitico e dettagliato che punta il dito sulle responsabilità di Israele in relazione alle gravi e sistematiche violazioni dei diritti dei palestinesi, alla pratica della detenzione di massa dei palestinesi, e, in generale, per la portata e la sistematicità di tali violazioni, nello «sfidare le fondamenta stesse dell’ordine giuridico internazionale».
Il rapporto, datato 9 giugno 2023, nella sua “advance unedited version”, formula inoltre una serie di puntuali raccomandazioni, prima fra tutte quella per cui «il sistema israeliano di privazione arbitraria della libertà dei palestinesi nei territori palestinesi occupati, derivante da una occupazione irrimediabilmente illegale, deve essere abolito tout court, a causa della sua intrinseca incompatibilità con il diritto internazionale». Le raccomandazioni si estendono poi a tutti gli attori:
1) agli Stati terzi: (a) di fare ricorso … alle misure diplomatiche, politiche ed economiche previste dalla Carta delle Nazioni Unite; (b) di non riconoscere come legittima, né di sostenere o assistere, l’occupazione israeliana …; (c) di perseguire la commissione di crimini internazionali;
2) allo Stato di Israele: (a) di dichiarare una moratoria sulla detenzione dei minori; (b) di rilasciare tutti i detenuti palestinesi, in particolare i bambini, detenuti per atti di natura non offensiva secondo il diritto internazionale; (c) di consegnare i corpi dei palestinesi deceduti e di garantire sepolture dignitose. Tali raccomandazioni consistono quindi in una serie di misure da adottare «come primo passo verso rimedi a lungo termine per decenni di privazione arbitraria della libertà del popolo palestinese»;
3) alla Autorità Palestinese: (a) di cessare ogni forma di detenzione arbitraria, nonché la tortura e i maltrattamenti dei detenuti, … ivi compresa la consegna dei corpi degli israeliani deceduti trattenuti a Gaza; (b) di interrompere gli accordi di sicurezza che possono portare alla violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali secondo il diritto internazionale; (c) di garantire misure efficaci di supervisione e responsabilità, anche coinvolgendo strategicamente organizzazioni per i diritti umani.
Il rapporto raccomanda inoltre un’indagine indipendente e approfondita sulla possibile commissione di crimini internazionali derivanti dalla detenzione arbitraria sistematica dei palestinesi. In particolare, il Procuratore della CPI dovrebbe esaminare la possibile commissione dei crimini internazionali di: (a) privazione intenzionale del diritto delle persone a un processo equo e regolare, (b) uso diffuso della tortura e di trattamenti crudeli, inumani o degradanti, (c) deportazione o trasferimento illegale, (d) grave privazione arbitraria della libertà in violazione del diritto internazionale, (e) persecuzione contro un gruppo o una collettività identificabile in ragione della sua identità, (f) apartheid.
Come espresso, infatti, nella sezione II (D) del rapporto, sulla base delle premesse esposte, «la detenzione dei palestinesi è solo un elemento di un più ampio panorama carcerario, che si estende oltre la prigione come paradigma di governo del territorio occupato e di confinamento della sua popolazione. La presenza di colonie illegali esaspera sia la discriminazione e la violenza contro i palestinesi, sia la loro criminalizzazione e incarcerazione. A propria volta, soffocare le libertà dei palestinesi, favorendo la frammentazione, la sorveglianza e la segregazione del loro spazio vitale, facilita l’espansione delle colonie. Ciò crea un ambiente soffocante che cancella i diritti e, rendendo la popolazione sotto occupazione arbitrariamente punibile, erode il loro status di civili protetti».
Di conseguenza, come espresso nella sezione IV ( C ) § 37, «i palestinesi nei territori occupati rischiano costantemente di essere imprigionati: questo rischio si estende ai contadini che lavorano la loro terra, ai bambini che vanno a scuola attraverso le aree militari chiuse, ai leader politici che esercitano il loro mandato e alla società civile che si batte per i diritti umani. La criminalizzazione e l’incarcerazione privano i palestinesi del diritto di muoversi liberamente, lavorare, proseguire gli studi, riunirsi pacificamente, esprimere la propria identità, la propria cultura, le proprie opinioni, vivere la propria vita economica, sociale e politica», minacciando il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione.
Si tratta di un panorama di estrema gravità, esacerbato dal clima politico creato dall’attuale governo di Israele, da più parti definito il governo più radicalmente a destra dell’intera storia d’Israele, in relazione al quale proseguire la mobilitazione per i diritti e l’autodeterminazione del popolo palestinese. La minaccia rappresentata dalla destra radicale, oggi al potere in Israele, è ben espressa da alcune recenti dichiarazioni dei suoi ministri più oltranzisti, Bezalel Smotrich, secondo il quale «è nostro diritto e nostro dovere continuare ad agire per compiere la missione dei cittadini di Israele, difendersi e costruire la nostra madrepatria», e Itamar Ben Gvir, secondo il quale «la terra d’Israele è per il popolo d’Israele, in base alla Torah di Israele». Un misto di oltranzismo e fanatismo, o, per riprendere l’immagine usata da Pierre Haski in riferimento ai due ministri, «due ideologi dell’estremismo di destra al cuore del potere».