Gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di ritirare la richiesta di estradizione per il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange. A farlo intendere in maniera netta è stato, questa mattina, il Segretario di Stato americano Anthony Blinken di fronte alla stampa australiana, durante la conferenza stampa successiva all’incontro bilaterale con il Ministro degli Esteri dell’Australia, Penny Wong.

La trascrizione della conferenza stampa è stata pubblicata sul sito del governo statunitense e certifica ufficialmente la posizione statunitense: «Assange è stato accusato di una condotta criminale molto grave negli Stati Uniti in relazione al suo presunto ruolo in una delle più grandi compromissioni di informazioni riservate nella storia del nostro Paese. Le azioni che si presume abbia commesso hanno rischiato di danneggiare gravemente la nostra sicurezza nazionale a vantaggio dei nostri avversari e di mettere soggetti umani specifici a grave rischio di danni fisici o di detenzione». I nostri alleati, ha concluso perentorio, «devono comprendere la sensibilità degli Stati Uniti su questo caso».

Una risposta che pare chiudere la porta a qualsiasi rinuncia americana alla richiesta di estradizione presentata al Regno Unito, Paese dove Assange si trova attualmente. L’Alta Corte britannica ha già dato il proprio via libera all’estradizione e a giorni si dovrebbe pronunciare sul ricorso presentato dal fondatore di WikiLeaks, ultima possibilità di evitare l’estradizione (salvo un improbabile esito positivo di ricorso presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, istituzione di cui il Regno Unito è rimasto membro anche dopo la Brexit). Negli Stati Uniti, Julian Assange rischia una condanna a vita in un carcere di massima sicurezza, in virtù dei 18 capi di accusa formulabili nei suoi confronti per violazione della Legge sullo spionaggio, nonché per frode e abusi informatici. Il tutto solo per aver fatto giornalismo d’inchiesta: ottenendo documenti che certificavano gravi violazione dei diritti umani, delle leggi internazionali sui crimini di guerra, e di spionaggio ai danni degli alleati da parte del governo degli Stati Uniti d’America.

La conferenza stampa si è svolta nella città australiana di Brisbane, dove Blinken ha incontrato Wong e il Ministro della Difesa australiano, Richard Marles, per discutere di nuove collaborazioni nella militarizzazione del Pacifico, annunciando – secondo quanto riportato da The Guardian – l’accordo per aumentare i pattugliamenti di sottomarini nucleari USA in acque australiane in cambio dell’aiuto americano nell’avvio della produzione di missili australiani.

Tornando al caso Assange, il Segretario di Stato americano e il Ministro degli Esteri di Canberra si sono ritrovati a dover rispondere alla domanda di un giornalista australiano. Assange è cittadino australiano e, almeno in quel Paese, la stampa pare non disposta a far passare il caso sottotraccia, chiedendo al governo azioni concrete per la sua liberazione. Wong ha assicurato che, nel colloquio bilaterale, ha chiesto conto a Blinken della posizione americana sul caso Assange, ricordando che il suo governo ha già dichiarato pubblicamente che «il caso si è trascinato troppo a lungo e deve essere portato a conclusione». Tuttavia la sua risposta lascia trasparire chiaramente che il governo australiano non ha intenzione di esagerare: qualsiasi sarà la sorte che gli Stati Uniti riserveranno al fondatore di WikiLeaks non ci saranno ripercussioni. Wong si è infatti pilatescamente lavata le mani circa la sorte di Assange, affermando che «il signor Assange ha presentato ricorso nel Regno Unito» e «il governo australiano non è parte di questi procedimenti legali e non può intervenire su di essi».

Musica per le orecchie americane, visto che se è vero che l’Australia non può interferire nel processo dal punto di vista legale, altrettanto evidente è che potrebbe fare molto dal punto di vista politico, visto che la fedele alleanza di Canberra è fondamentale per Washington in chiave anti-cinese nell’Oceano Pacifico, come dimostrato dallo scopo stesso della visita di Blinken, tutta incentrata sulla cooperazione militare.

Il Segretario di Stato USA ha avuto certamente buon gioco a ribadire di fronte ai media australiani la posizione del governo americano contro Julian Assange. «Capisco davvero le preoccupazioni e le opinioni degli australiani – ha ammesso bonario – ma penso che sia molto importante che anche i nostri amici australiani capiscano le nostre». E purtroppo, in tutta evidenza, saranno le «preoccupazioni» americane a emettere sentenza sul futuro di Julian Assange e, insieme a lui, su quello di coloro che credono nel giornalismo d’inchiesta.

Andrea Legni – direttore de L’Indipendente

 

L’articolo originale può essere letto qui