L’8 e il 9 luglio, a due anni dal licenziamento via e-mail dei 500 lavoratori della Gkn di Campi Bisenzio, il collettivo di fabbrica, in rappresentanza degli operai che da due anni resistono alla loro condanna con un ricco programma di socializzazione della loro lotta e di riconversione ecologica della loro produzione ha convocato nello stabilimento occupato, insieme ai rappresentanti italiani, tedeschi e svizzeri del movimento Fridays for Future, un incontro per consolidare e sviluppare ulteriormente la loro convergenza, ribadirne il carattere aperto e internazionale promosso attraverso le manifestazioni comuni e i molti Insorgiamo tour realizzati nel corso di questi due anni.
Sabato 8 si è svolta un’assemblea con la partecipazione di oltre 200 attivisti, di cui molti venuti da Svizzera e Germania, in cui sono state presentate le prospettive dei vari partecipanti. Ad essa ha fatto seguito la divisione in quattro gruppi di lavoro – convergenza, comunità energetiche, destre e negazionismo climatico, mobilità e prospettive dell’industria automobilistica – i cui risultati sono poi stati esposti nella riunione conclusiva. I tempi stretti a disposizione non hanno consentito un approfondimento sufficiente dei temi affrontati. Su mobilità e industria automobilistica, riassumo qui per punti ciò che sono riuscito solo in parte ad esporre:
- L’idea, al centro delle aspettative di molti ambientalisti, di “risolvere” i problemi posti dall’automobile con la sostituzione delle automobili a motore termico con quelle elettriche va scartata e combattuta perché:
- Le automobili nel mondo sono già troppe (circa 1,3 miliardi). Se tutti dovessero raggiungere i tassi di motorizzazione dell’Europa di due abitanti per veicolo (quelli dell’Italia sono ancora più bassi), nel 2050 avremmo nel mondo 5 miliardi di automobili, insostenibili per motivi di spazio, di risorse, di energia. Diversamente dovremmo sostenere che l’auto personale dovrà esistere solo nel mondo già sviluppato, mentre gli abitanti del resto del pianeta dovranno continuare a farne a meno. Un’evidente iniquità che urta contro l’abbinamento di giustizia ambientale e sociale, ma anche con il fatto che a vincere la corsa catastrofica alla motorizzazione ormai sono gradi Paesi emergenti come India, Cina e Brasile.
- L’auto elettrica di per sé non elimina né la congestione, piaga delle nostre città le cui vie e piazze sono state sottratte agli umani – giochi dei bambini, socialità, incontri personali, passeggio – né l’inquinamento: l’80% del particolato emesso è dovuto all’attrito dei freni e delle ruote, non agli scappamenti. Poco cambierebbe, quindi, anche se tutta l’energia necessaria fosse generata da fonti rinnovabili.
- La transizione necessaria dall’auto privata al trasporto pubblico in città è resa complicata dal fatto che non si può limitare – anche gradualmente, con divieti di transito, di parcheggio a bordo strada – il ricorso all’auto privata (media, 1,2 passeggeri per veicolo, spesso in moto non per raggiungere la destinazione, ma alla ricerca di un parcheggio) se il trasporto pubblico non offre valide alternative; cosa oggi impossibile da raggiungere proprio perché le strade centrali, occupate e congestionate dalle auto non permettono lo scorrimento dei mezzi pubblici e in quelle periferiche, o nelle ore di movida, i mezzi non raccolgono un numero sufficiente di passeggeri perché le loro cadenze e i loro percorsi sono troppo scomodi.
Le soluzioni possono essere:
- La diffusione graduale ma progressiva della mobilità flessibile: car-pooling di azienda, ma anche di quartiere e isolato, car-sharing, city-logistic per la distribuzione delle merci, ma soprattutto taxi collettivo e trasporto a domanda, unificando i servizi sotto il controllo pubblico invece di disperderli tra molte società private in concorrenza tra loro.
- Promuovere la mobilità dolce (bici e monopattini) con percorsi protetti.
- Sviluppare la città dei 15 minuti, decentrando le funzioni urbane in modo che tutti i servizi essenziali, pubblici e privati siano raggiungibili a piedi in tempi accettabili.
- Promuovere lo smart working e l’e-government amministrativo on line, anche mettendo a disposizione centri di prossimità dove svolgerlo o accedervi.
- Indubbiamente per tutte queste cose ci vuole un piano, come minimo a livello cittadino ed elaborato dal basso a partire dalle esigenze delle comunità. Bisogna che i collettivi di lotta comincino a farsene carico, per lo meno nelle sue linee generali.
- Quale futuro per l’industria automobilistica?
La mobilità sostenibile offre sicuramente una molteplicità di impieghi e di occasioni di lavoro più interessanti del lavoro alla catena di montaggio. Ma come è sbagliato pensare di sostituire il parco automobilistico a propulsione termica con uno elettrico di pari entità, così è illusorio pretendere che a ogni impiego nell’industria dell’auto attuale possa corrisponderne uno in quella della mobilità elettrica.
Indubbiamente ci vorranno molti veicoli di nuova concezione per la mobilità flessibile e molti addetti a un governo decentrato della mobilità, ma come in molti altri settori, non è detto che tra posti persi e posti nuovi il conto torni. Mobilità intersettoriale sostenuta da formazione, reddito di base garantito e riduzione degli orari di lavoro sono strumenti della transizione irrinunciabili.
Ma il vero problema è promuovere dal basso anche la transizione della produzione. E come?
- Il collettivo di fabbrica della Gkn ha mostrato come costruire comunità dal basso attraverso la lotta. Invece di chiedere la solidarietà, offrire la propria. “E voi come state?” vuol dire: siamo pronti ad aiutarvi proprio a partire dalla nostra lotta. Finora ha funzionato non solo sul territorio e con la rete dei collegamenti con altre realtà in crisi, ma in parte anche nei confronti delle autorità locali. Uno snodo essenziale, non solo per negoziare da posizioni di maggior forza con il governo, ma anche per far partire dal basso la transizione.
- Certo l’industria automobilistica è troppo complessa e articolata in fasi disperse in tutto il mondo perché una singola amministrazione locale riesca a smuoverla, ma i piani per una mobilità alternativa – e quindi anche la domanda di veicoli adeguati, autobus e veicoli per il trasporto a domanda – non possono che partire di lì.
- Se a un’amministrazione sotto la spinta di una comunità in lotta, se ne aggiungeranno altre nelle stesse condizioni, la domanda complessiva potrebbe raggiungere dimensioni adeguate a stimolare la conversione di alcune produzioni.
- Un suo vero controllo dal basso può realizzarsi solo saltando la mediazione del mercato e creando un rapporto diretto tra produzione – soprattutto quelle a monte e a valle della filiera, progettazione e assemblaggio finale – e utenze: i Comuni, le amministrazioni locali responsabili del trasporto pubblico.
E come? Con società o associazioni di impresa comuni a produzione e utenze. La Volkswagen lo ha fatto in passato, insieme a una società di distribuzione elettrica, per smerciare i suoi cogeneratori ricavati dal motore di un’automobile. Lo si può fare anche per promuovere il trasporto pubblico e quello flessibile.