In questi ultimi mesi Il nostro paese è stato al centro di alcuni atroci fatti di sangue che hanno scosso l’opinione pubblica.
Un uomo che uccide la compagna incinta dopo avere messa incinta un’altra donna. Alcuni ragazzi che scorrazzando con un SUV affittato provocano un incidente in cui muore un bimbo di cinque anni. Una ragazza di sedici anni, pare, uccisa a coltellate da un coetaneo che si è poi sbarazzato del cadavere con carrello della spesa.
Inutile dire che la reazione nei social è stata feroce. Richieste di pene esemplari. Lamentele per un sistema penale troppo blando con gli assassini, che vengono messi in libertà dopo solo pochi anni di carcere. Qualcuno arriva addirittura ad azzardare ‘idea della pena di morte.
Eppure, cosa che sembrerà a molti quasi incredibile, l’Italia è uno dei paesi al mondo col minore numero di omicidi. Esattamente 309 nell’anno passato, pari ad un tasso dello 0,52 per centomila abitanti. In pratica un omicidio ogni duecentomila italiani. Al mondo solo Giappone ed Indocina stanno messi meglio. In Europa, esclusi gli stati piccolissimi come San Marino, Andorra ecc. che non fanno testo, nella graduatoria dei paesi con meno uccisioni ce la battiamo alla pari con Austria, Svizzera e Norvegia, che però come si può facilmente capire, sono nazioni meno problematiche rispetto alla nostra, grazie ad un numero minore di residenti e con meno diseguaglianze sociali e territoriali. I paesi che per certi versi ci somigliano come Regno Unito, Germania e Francia hanno un numero di vittime significativamente superiore. Negli Stati Uniti poi, gli omicidi sono in proporzione sedici volte di più rispetto al nostro paese. I numeri che riguardano i paesi dell’Africa e del Sud America sono poi da capogiro.
Intendiamoci: che i relativamente pochi omicidi che avvengono oggi siano considerati inaccettabili a differenza dei più di 3000 (tremila!!) che funestavano le nostre vite ad inizio anni novanta, non è affatto un dato negativo. Significa che i nostri concittadini hanno imparato a capire che la sola idea che un uomo uccida un altro uomo (che spesso purtroppo è in realtà una donna) è semplicemente insopportabile.
Il guaio è che il giusto sdegno si trasforma in una inarrestabile pulsione giustizialista. Un errore evidente: Basta considerare come i paesi con i sistemi penali più severi come gli USA vedono i delitti di ogni tipo in costante aumento. Gli unici veri strumenti per combattere il crimine sono l’affermarsi a tutti i livelli di un concetto avanzato di giustizia sociale, l’educazione di massa e la capacità di fare della discussione intorno ai valori della convivenza civile l’unico vero campo di battaglia che è giusto frequentare.
Sul futuro pesano purtroppo parecchie incognite. La prima consiste nel fatto che il mondo della politica ha nel nostro paese una profonda tradizione di tipo giustizialista. E’ giustizialista ovviamente la destra, oggi al potere, che ha sempre visto nella disciplina e nell’ordine sociale imposto con la forza e col controllo di polizia gli strumenti privilegiati della propria idea di legalità. Ma è divenuta nel tempo sempre più giustizialista anche la sinistra istituzionale, che negli anni si è persa per strada l’originaria idea di uguaglianza e di giustizia sociale, per approdare ad una idea di società giusta i cui soli caratteri fondanti sono il puro e acritico rispetto della legge e la severità della pena per chi sbaglia.
Ad aggravare la situazione vi è anche il sostanziale fallimento di quella che nella nostra Costituzione veniva chiamata, con un termine magari discutibile, la funzione “rieducativa” della pena. Fatto sta che i percorsi di risocializzazione e riabilitazione dei detenuti sono solo rare eccezioni. Il carcere è in genere solo segregazione e morte civile.
Questa situazione fa sì che spesso ai detenuti vengano applicati i benefici di legge in modo meccanico (la famosa e generica “buona condotta”) per via della mancanza di altri possibili criteri, che dovrebbero riferirsi a quei percorsi di riscatto civile che semplicemente non esistono. Un motivo in più per generare insofferenza nell’opinione pubblica. E l’insofferenza genera altro giustizialismo.
Attualmente nelle nostre galere il numero dei detenuti è doppio rispetto a trent’anni fa. Ed è sempre aperta la discussione su misure sempre più punitive come il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Ne ho già parlato altrove. Quello che invece vorrei qui sottolineare come un vero e proprio salto di qualità nella logica repressiva del crimine, che diventa poi inevitabilmente repressione del dissenso, è il ruolo sempre più importante ed invasivo che stanno assumendo nel nostro paese “le misure preventive”. Un assurdo giuridico fondato sull’idea che si possano applicare al cittadino delle restrizioni alla libertà personale o delle limitazione nel godimento dei propri diritti, del tutto al di fuori delle garanzie del processo penale, nella logica perversa che si tratta per l’appunto di azioni “preventive”. Quindi nessun crimine è stato commesso, ma la punizione arriva lo stesso, perché il malcapitato viene ritenuto capace di commetterlo in futuro. E’ questa la via da sempre seguita per costruire uno stato di polizia.
Questo è il vero pericolo! La possibilità che l’idea di un nuovo stato di polizia, sempre più nelle corde dei nostri politici, si possa saldare col giusto bisogno della gente di avere giustizia, seppure maldestramente esitato in una visione giustizialista.