Pubblichiamo la parte scritta della relazione di Gemma Maltese – inserita nel suo più articolato intervento sostenuto in quel di Rende lo scorso 29 giugno – letta nel corso della presentazione del libro della Multimage (curato da Toni Casano ed Antonio Minaldi), tenutasi presso il sito distaccato della Biblioteca comunale intitolato a “Carlo Cuccomarino”, figura storica cosentina animatrice del pensiero critico politico e sociale non solo calabrese

 

Come mi trovo qui? Dove sono? Chi sono questi qui? Qui dove è ora?

Mentre si faceva queste domande, vedeva una serie di sagome che gli sembravano di umani che a gruppetti stavano seduti in una sala con attorno tanti oggetti che potremmo ancora definire libri, per accordarci superficialmente su forma e sostanza. Nella stanza, gli parve si discutesse dell’affermarsi nel XXI secolo del dominio, a comando militare, della lobby del capitale. Si presentavano immagini di devastazione, saccheggio secolare, riproduzione di vite attraverso algoritmi, giri finanziari su guerre, crisi e speculazione: un mondo di merci, tra le tante, quella umana, sempre più disorientata e in via di estinzione, come altre specie su quel pianeta su cui il viaggiatore era arrivato.

I gruppi dominanti, in quell’angolo di mondo terrestre come per il resto del globo, si erano organizzati in una banda, su scala globale, che arrivava ovunque, risucchiava valore e risputava prodotti materiali e immateriali pronti a nuove valorizzazioni o alla morte, da cui e su cui ancora speculare. La tanatopolitica era il regime di fondo su cui il modo capitalistico continuava la propria corsa alla distruzione.

Come accadeva tutto questo? Spiegavano nella sala, per farla breve, che: nel XXI secolo il capitalismo aveva messo a lavoro l’anima umana – e l’anima si sa non si ferma mai – e da questa presa totalizzante se ne traevano profitti esorbitanti; Ex novo (???), il profitto veniva riprodotto dall’appropriazione, decodifica e uso a fini commerciali e di controllo di ogni piccolo battito riguardante la vita. Dalle interazioni attraverso algoritmi, paure, desideri, emozioni, conoscenze e esperienze diventano continuamente profitto. La vita nuda, senza che necessariamente ci se ne accorgesse, era la tavola da piallare per il capitalismo-piallatore che mentre pialla, acquisendo tutto il valore della tavola, produce un oggetto modellato e pronto per essere in vendita.

Manipolazione e spettacolarizzazione, sempre a fini di lucro, del disastro totale in cui  si era, quando non bastavano, si accompagnavano a repressione e violenza diretta contro chi dal disastro del capitalismo voleva uscirne fuori. Per tenere in piedi il giro di affari, le guerre continuavano ad essere una buona pratica per affermare tale dominio e uscire dallo stagno della sovrapproduzione.

Tra i vari passaggi che poté ascoltare in quella sala, prima di decidere di ripremere il pulsante e rimettersi in viaggio, ci fu anche qualcosa che suonava come: “in un mondo in cui l’intera vita è messa a valore, riuscire a liberare il proprio tempo dal ricatto dello sfruttamento del lavoro salariato vuol dire poter praticare il potere del rifiuto a farsi sfruttare e quindi riportarsi da un rapporto di dominio ad uno di potere, cioè dentro una relazione con un minimo di reciprocità di influenza, in cui si apre qualche possibile alternativa; ‘nell’attuale crisi della contrattazione collettiva e nella perdurante fase di perdita del potere di acquisto’, insieme al salario minimo, l’introduzione di un reddito di base, il più possibile incondizionato e sganciato dal lavoro, restituisce la possibilità di scegliere e provare ad invertire la rotta”. A quel punto del discorso il viaggiatore chiese ad un vicino di posto nella sala, “scusi, in che anno siamo?”

I due si guardarono e sorrisero, la persona a cui venne fatta la domanda interpretò la stessa come una provocazione ironica, eppure il viaggiatore nel tempo era serio nel chiedere. In alto sul muro centrale, dall’immagine riflessa da un proiettore, notò che l’anno in corso era il 2023. Sorrise, lui, ora, si alzò in piedi, fece per uscire dalla sala e da lì entrare in chissà quale altro tempo/spazio e allora sentì, mentre la discussione era andata avanti: “Occupare l’utopia potrebbe essere il titolo del nuovo ciclo di seminari a cui si approda con questo percorso di conricerca su dominio e sfruttamento nel XXI secolo e da cui si riparte”.

Il viaggiatore, che veniva da un altrove chiamato proprio Utopia, e forse loro lì in quella stanza intendevano altro, sentendo questa espressione, mentre era già fuori dalla sala, pensò tra sé e sé: “Forse sarà meglio rimettersi in movimento verso Utopia, se si riesce, meglio farsi trovare preparati e combattivi”.