Sembra ieri eppure sono trascorsi dieci anni, 120 mesi, 40 stagioni, dai nostri ultimi messaggi…miei e di Abuna Paolo (Padre Paolo Dall’Oglio). Luglio 2013, ero a Trieste, preoccupata per lo stato di salute di Edvino (Ugolini, un sensibile poeta della Pace). Paolo era in Kurdistan durante il Ramadan. Pensando al caro amico molto sofferente mi suggeri i versi de “La Carità” di San Paolo concludendo il suo scritto con “Siamo impastati di eternità e messi a cuocere nel forno del tempo per essere cotti dal fuoco dell’Amore”. Poi fu il silenzio tra di noi!
Ho iniziato a seguire progetti di pace dopo essermi innamorata di due parole “Pace e Nonviolenza”. Il mio territorio di azione il bresciano, parte delle mie origine. Qui esiste un aeroporto militare dove si presuppone ci siano 20 testate atomiche. Andando li prima edizione della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza (2/10/2009-2/1/2010) ho scoperto che all’interno del giardino del Museo di Santa Giulia a Brescia cresce un Hibakujumoku di Nagasaki, il figlio di un caco sopravvissuto all’attacco atomico del 9 agosto 1945. Grazie alle cure del dottor Masayuki Ebinuma (dottore degli alberi) sono nati dei frutti i cui semi hanno donato le prime pianticelle adottate dai bambini delle scuole primarie in Giappone. Grazie all’artista Tatsuo Miyajima che ha raccontato questa storia di rinascita di vita durante la Biennale a Venezia del 1999 il Kaki Tree Project si è diffuso in tutta Italia, soprattutto nella provincia di Brescia. Nel giugno del 2012, presa dall’entusiasmo di essere riusciti a far arrivare un caco di Nagasaki al Giardino della Pace e della Speranza a Kabul (Afganistan), ma soprattutto dalle drammatiche notizie che iniziavano ad arrivare dalla Siria, mi misi “in cammino” per cercare di far anche arrivare li un Albero della Pace. E’ stato così che sono entrata in contatto con Padre Paolo Dall’Oglio e la comunità monastica Deir Mar Musa (San Mosè l’Abissinio). In quel momento era appena stato espulso dopo trent’anni dalla Siria per essersi apertamente schierato contro il governo di Assad.
Iniziò tra di noi un intensa corrispondenza che si interruppe con il suo rapimento. Paolo mi raccontò il suo cammino in quel monastero vecchio di oltre 1.500 anni 1.300 metri sulle montagne che si rivolgono a Nebek. La rifondazione stabile della comunità monastica iniziò a partire dal 1991. La priorità era la riscoperta del significato assoluto e non strumentale della vita spirituale, della vita di preghiera. Sotto questo aspetto, l’antico monastero siriano costituiva un testimone forte del valore della vita spirituale nel passato della regione, ma anche del rischio di perdere tale valore. L’antica vita monastica orientale è elemento essenziale dell’anima cristiana ed anche del mondo culturale, simbolico e mistico dell’Islam. La comunità di Deir Mar Musa era quindi prima di tutto una comunità di silenzio ed di preghiera, tanto nella vita personale dei monaci e delle monache che nella loro vita sociale. Bisognava quindi elaborare una vita di semplicità evangelica in responsabile armonia con il creato e la società circostante, e comportante la riscoperta del significato dell’attività manuale e del valore del corpo e delle cose, in un’estetica della giustizia e della gratuità. E poi l’ospitalità, quella abramitica (un’attività sacra degli antichi monaci, sulla base d’un valore sempre ritenuto divino in questa regione). Il monastero, dunque, inteso come luogo d’incontro, nell’approfondimento, non nell’oblio, delle specificità identitarie, tuttavia non in vista della chiusura ma, al contrario, nell’emancipazione da una cultura della separazione, per elaborare invece, gradualmente, una cultura della comunione. Questo implicava pure che la comunità cristiana di Deir Mar Musa viva una forte sottolineatura della dimensione ecumenica, cioè di comunione e di unità fra le Chiese, senza perdere nulla della specificità siriaca ed anche siro-cattolica del monastero stesso. L’orizzonte è quello della relazione islamo-cristiana con la scelta della lingua araba come lingua nella vita sociale e liturgica della comunità. Dunque, una sosta nel «cammino di Abramo».
Nel suo viaggiare tra le due estati del 2012-2013 Paolo mi disse “Aspettiamo fiduciosi… ormai la dimensione della tragedia atomica comincia a essere la stessa della tragedia siriana. Quindi la resurrezione giapponese ci parla”, la rinascita di vita testimoniata dal kako di Nagasaki che aspetta di raggiungere (finalmente) la sua destinazione (Deir Mar Musa).
Sabato 29 luglio, a esattamente dieci anni dal suo rapimento in Siria, ci sarà alle 17.00 presso la Chiesa di Sant’Ignazio a Roma la presentazione del libro “Il mio testamento”, pubblicato da ITL Libri (con il marchio Centro Ambrosiano). Il volume racchiude le conferenze inedite tenute da Padre Dall’Oglio nei mesi prima della sua espulsione dalla Siria. Un’opera che svela una visione aperta a nuovi orizzonti di ecumenismo, di fraternità e dialogo con l’Islam. Temi cari anche a Papa Francesco, che ne firma la prefazione.
L’evento sarà scandito da interventi di testimoni autorevoli che l’hanno conosciuto da vicino, come padre Jihad Youssef (superiore della Comunità monastica Deir Mar Musa), Adib al-Khoury, direttore casa editrice Comunità Deir Mar Musa, Elena Bolognesi, redattrice e traduttrice del testo, e Giovanni Dall’Oglio, fratello di padre Paolo, che interverrà a nome della famiglia.
Alle ore 19.00, dopo la presentazione, si terrà una celebrazione eucaristica presieduta dal Segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin, per onorare la memoria di padre Paolo e per rinnovare il suo impegno verso gli ideali di pace e dialogo con tutti.