1. Dal Processo di Khartoum del 2016, si è passati al nuovo “Processo di Roma” promosso da Giorgia Meloni. Cortine fumogene per nascondere accordi impresentabili con paesi terzi non sicuri. Nel 2016 si arrivo’ ad un accordo bilaterale dell’Italia con il Sudan del dittatore criminale Bashir, oggi si vorrebbero nuovi accordi con Egitto, Libia e Tunisia, anche se in questi paesi non c’e’ alcuna garanzia effettiva sul rispetto per i diritti umani. La principale operazione di cooperazione di polizia con il Sudan si rivelò subito una gigantesca bufala, era il caso del trafficante “il Generale”, scambiato per un falegname, uno scambio di persona che è durato anni di processo, ed i respingimenti collettivi operati nel 2016 verso Khartoum vennero denunciati a livello internazionale. A distanza di sette anni si ripropone una distanza incolmabile tra realtà dei fatti, nei quali si verificano gravi violazioni dei diritti umani, nei paesi di transito con i quali si collabora, e solenni dichiarazioni di principio sui diritti fondamentali delle persone, ad uso di conferenze stampa nelle quali neppure ai giornalisti è consentito fare domande.
Sono sotto gli occhi di tutti le tragedie che si ripetono nel Mediterraneo, ma anche le deportazioni forzate di cui sono vittime i migranti subsahariani, da parte di Dbeibah in Libia e Saied in Tunisia, principali alleati con Al Sisi in Egitto, del governo Meloni, che ha permesso loro una posizione di assoluto rilievo nel corso della Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni nel Mediterraneo.
Le conclusioni della Conferenza di Roma largamente ricopiate dal Migration Compact promosso dalle Nazioni Unite nel 2016 e duramente avversato dai partiti di destra al governo in Italia, come i richiami della Meloni alle posizioni del Papa, durante la Conferenza della FAO per politiche contro la fame e la malnutrizione, dimostrano il paradosso su cui le destre in Italia governano la mobilità migratoria, propagandando una sfilza di buoni propositi, ma praticando disinformazione quotidiana e concludendo o inasprendo accordi, basati sulla negazione dei diritti fondamentali, con Stati governati da regimi autoritari. Il proibizionismo delle migrazioni che costituisce il vero elemento unificatore della attuale maggioranza di governo in Italia, alimenta gli affari delle organizzazioni di trafficanti e cancella le prospettive di sviluppo del Mediterraneo, che non possono che basarsi sulla mobilità migratoria, e non certo sulla condizionalità migratoria (visti di ingresso e soldi in cambio di riammissioni di irregolari e respingimenti su delega).
Le politiche perseguite dal governo Meloni nei rapporti con i paesi di origine o di transito, si basano su dati di fatto inesistenti, come se la Libia fosse un paese unitario, o come se la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia provenisse dai paesi più poveri dell’Africa, mentre è vero l’esatto contrario. Per non parlare delle migliaia di persone che arrivano negli aeroporti libici e tunisini senza alcun controllo effettivo, prima di imbarcarsi per la traversata del Mediterraneo. Nessuno affronta la questione della corruzione sistematica che caratterizza i paesi con i quali l’Italia intende collaborare con “accordi operativi” di polizia.
2. Secondo quanto comunicato dall’ANSA, come doveva essere ampiamente prevedibile,”Il Parlamento libico della Cirenaica (Hor) in una dichiarazione riportata dal The Libya Update “mette in guardia i partecipanti alla Conferenza Internazionale di Roma sullo Sviluppo e le Migrazioni dal prendere decisioni che potrebbero portare a un cambiamento demografico in Libia”. “Il governo libico è il governo legittimo incaricato dal Parlamento e la rappresentanza della Libia in questa conferenza è illegale”, si legge nel comunicato che prosegue con l’affermazione: “Non consentiremo l’insediamento di alcun migrante sul territorio dello Stato libico, per qualsiasi motivo“. E con questo comunicato il generale Haftar, che controlla la Cirenaica, svuota del tutto quanto deciso a Roma durante la Conferenza internazionale di domenica scorsa. E’ del resto noto che la maggior parte delle partenze verso l’Italia avviene ormai dalla Cirenaica, piuttosto che dalla Tripolitania.
Sempre secondo il The Libya Update, come riferito da ANSA, l’Italia aveva invitato il comandante generale dell’Esercito nazionale libico (Lna), Khalifa Haftar, a partecipare alla Conferenza di Roma, ma l’uomo forte dell’Est “ha rifiutato” “a causa della presenza del primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibah”, insediato a Tripoli nell’ovest del Paese. Un primo ministro che viene considerato partner essenziale del governo Meloni, ma che ha chiesto la riabilitazione del principale trafficante mai arrestato in quel paese, adesso rimesso in libertà e piazzato a capo dell’Accademia navale libica. Se si volesse davvero indagare sulla mafia libica, forse si potrebbe cominciare da quei personaggi che minacciano sistematicamente gli operatori umanitari che soccorono vite in mare.
Pochi giorni prima della Conferenza internazionale di Roma, del resto, il segnale inviato dai libici era stato chiarissimo. Un motopesca siciliano che si trovava a ben 90 miglia dalla costa di Misurata era stato pesantemente mitragliato durante un tentativo di sequestro sventato soltanto per l’intervento di un elicottero militare italiano e di un assetto navale della missione Mediterraneo sicuro. Questi interventi sono diretta conseguenza del riconoscimento di una immensa area di ricerca e salvataggio (SAR) libica, che le autorità di Tripoli e Bengasi considerano non come una area di responsabilità per soccorrere vite umane in mare, ma come una zona riservata di giurisdizione esclusiva, all’interno della quale possono imporre pedaggi di ogni natura al naviglio commerciale in transito. Eppure è una zona in cui la legalità internazionale dovrebbe essere garantita, e che dovrebbe essere presidiata dalle navi, anche italiane, della missione Eunavfor-Med IRINI. Ma evidentemente questa presenza militare europea viene tenuta nascosta, o non può operare secondo il mandato conferito, forse per non intralciare i tentativi di accordo con le diverse autorità libiche al fine di favorire le intercettazioni in acque internazionali e la deportazione dei naufraghi “soccorsi” in alto mare verso i centri lager libici. E non è neppure un caso se, negli stessi giorni antecedenti la Conferenza internazionale di Roma, i maltesi conducevano esercitazioni navali con la Guardia costiera che risponde agli ordini del GNA (Governo di accordo nazionale) di Dbeibah. Infatti la loro partecipazione alla Conferenza di Roma è rimasta evidentemente sul piano formale, per non sbilanciarsi troppo, come invece ha fatto la Meloni, dal momento che La Valletta ha stretto da tempo accordi sia con il governo di Bengasi che con il governo di Dbeibah a Tripoli. Le conseguenze sono note da tempo, da quando i libici, magari con le motovedette donate dall’Italia, penetrano nella zona SAR maltese per bloccare i barconi carichi di migranti e riportarli in territorio libico, dove il loro destino è segnato, perchè saranno fatti scomparire e ceduti di fatto ai trafficanti, come in diverse occasioni hanno denunciato l’OIM e l’UNHCR.
Memorandum d’intesa e accordi operativi per contrastare le migrazioni irregolari si basano dunque sulla ricorrente violazione del diritto internazionale, con accordi che non garantiscono il rispetto degli obblighi di soccorso in mare, dunque il rispetto della vita umana, negata anche in territorio africano. Le persone migranti vengono respinte collettivamente da paesi che non danno attuazione al diritto di asilo previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dalla normativa europea, e che, come la Tunisia, per questa sola ragione non possono essere considerati come “paesi terzi sicuri”. Ma di tutto questo, ovviamente, neppure un accenno durante i lavori della Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni nel Mediterraneo. Senza una effettiva garanzia dei diritti umani non vi sono però speranze di sviluppo in nessuno dei paesi della sponda sud del Mediterraneo che, dopo la breve stagione delle primavere arabe, sono finiti in mano a dittatori o ad autocrati che hanno esautorato le assemblee elettive e governano con la forza dei militari e delle polizie.
Le esigenze di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) sulla base di accordi con paesi terzi non “sicuri” non possono prevalere sugli obblighi di salvaguardia della vita umana e dei diritti fondamentali delle persone. A cui si è richiamata persino Giorgia Meloni al’apertura della Conferenza internazionale di Roma su sviluppo e migrazioni nel Mediterraneo. La clausola di salvaguardia prevista dall’art.14 del Protocollo addizionale contro la Tratta e dall’art.19 del Protocollo addizionale contro il traffico di esseri umani, allegato alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine transnazionale, stilata a Palermo nel 2000, stabilisce che ” Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica i diritti, gli obblighi e le responsabilità degli Stati ed individui ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti umani e, in particolare, laddove applicabile, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo Status dei Rifugiati e il principio di non allontanamento”. I respingimenti collettivi, come quelli realizzati in mare per effetto della collaborazione delle autorità europee ed italiane con le guardie costiere libiche e tunisina, ed i respingimenti nel deserto, come quelli praticati di recente da Saied in Tunisia, non sono dunque conformi al diritto internazionale e non possono essere considerati strumenti utilizzabili per contrastare le migrazioni irregolari. Eppure proprio su quei respingimenti collettivi su delega, attuati in acque internazionali, o in Tunisia ed in Libia verso paesi terzi dell’area subsahariana, si basano gli accordi operativi destinati a rimanere segreti, che si vorrebbero concludere dopo le Conclusioni della Conferenza internazionale di Roma.
3. L’attenzione sugli accordi operativi con i paesi terzi, mirati esclusivamente al contrasto delle organizzazioni criminali che gestiscono le uniche vie di fuga rimaste (law enforcement), dimostra la reale intenzione di fondo che anima il Memorandum d’intesa abbozzato dall’Unione Europea con il governo tunisino, ma non ancora approvato dal Consiglio europeo, e le conclusioni della Conferenza internazionali di Roma su sviluppo e migrazioni.
L’apertura di canali legali di ingresso, che il governo italiano propaganda sulla base del Decreto flussi triennale recentemente approvato, si rivela una chimera per coloro che si trovano ancora nei paesi più poveri e nei paesi di transito, dai quali non sarà certo possibile ottenere visti di ingresso per lavoro. Un “decreto flussi” che si basa su “campagne mediatiche” da lanciare nei paesi di origine per scoraggiare le partenze, e sui meccanismi di incontro tra domanda ed offerta di lavoro risalenti alla Bossi-Finì, già sconfitti dalla storia e causa della migrazione irregolare. Perché trova un contratto di lavoro solo chi e’ già arrivato in Italia. Questo lo potrebbero vedere tutti. Occorre invece una sanatoria permanente e la possibilità di visti di ingresso per ricerca di lavoro. La mobilità migratoria deve caratterizzare l’intero bacino del Mediterraneo “allargato” di cui parla adesso Giorgia Meloni, ma senza sotterfugi che riducono le possibilità di ingresso legale proprio per la maggior parte delle persone “candidate” a fare ingresso irregolare in Italia, che si abbandonano invece alle mafie internazionali, spesso colluse con le autorità di polizia di quei paesi con i quali adesso si stringono accordi bilaterali. Nessun baratto è possibile tra diritti umani e contrasto dell’immigrazione irregolare. Sta tutto qui il gioco delle tre carte che la Meloni sta tentando a livello internazionale, una operazione di politica estera destinata al fallimento, malgrado gli annunci trionfali di questi giorni. Anche perchè l’appoggio dell’Unione Europea, dopo la rottura con la Spagna e la Francia proprio sui dossier che riguardano il Mediterraneo, è tutto da provare.
Sembra del tutto scomparso, nell’attività internazionale promossa dalla Meloni, il rispetto degli obblighi derivanti in capo agli Stati, ed all’Italia, in materia di prima accoglienza e accesso al territorio nazionale per presentare una richiesta di asilo, e per le attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali, indipendentemente dalla ripartizione delle zone SAR in caso di dsitress, fino alla assegnazione di un porto sicuro di sbarco. Continua il boicottaggio operato contro le navi del soccorso civile con l’assegnazione di porti di sbarco sempre più lontani dai luoghi dei soccorsi. Una scelta che aumenta gli arrivi in autonomia su Lampedusa, riducendo i soccorsi umanitari delle ONG, e rende ancora più caotica la situazione della prima accoglienza in Italia.
Come richiesto dall’Assemblea dei popoli per la dignità dei migranti che il 20 luglio 2023 ha stilato la dichiarazione di Tunisi, “ci rifiutiamo di fare dell’accordo tra Tunisia e UE un modello da seguire, lo denunciamo e chiediamo un dialogo responsabile e partecipativo che includa le forze civili, politiche, sindacali e dei cittadini per promuovere soluzioni alternative e sostenibili che portino diritti”.
Giorgia Meloni propaganda a reti unificate un generale riconoscimento dei diritti della persona migrante, ed un principio di pari dignità che sembra però valere soltanto per quei governanti con cui va d’accordo, non certo con i migranti che sono vittime degli accordi bilaterali di riammissione o di respingimento, non meno di quanto non lo siano dei trafficanti, che alla fine nessuno sembra davvero interessato a contrastare. Come possono confermare migliaia di persone che sono state intercettate in acque internazionali, riportate indietro in Tunisia o in Libia, e dopo avere subito ulteriori abusi, sono comunque riuscite a tentare di nuovo la traversata del Mediterraneo, arrivando in Italia.