La Rete Emergenza Climatica e Ambientale (RECA) Emilia Romagna, una rete di più di 50 associazioni ambientaliste, dopo la catastrofe climatica che ha colpito la regione a maggio, chiede la moratoria per tutti i cantieri che interessano i corsi d’acqua. Ne parliamo con Gabriele Bollini, urbanista e membro del comitato scientifico Reca.

Cosa chiedete esattamente?

Dopo l’alluvione di maggio, chiediamo uno stop a tutte le opere pubbliche da costruire o in costruzione, anche quelle già approvate. Bisogna infatti verificare le condizioni di fattibilità, rifare la valutazione di impatto ambientale, questi eventi alluvionali hanno in molti casi cambiato il contesto fluviale, ampliato il letto, modificato gli argini e ampliato le zone a rischio idrico.

Parliamo del progetto della Fondovalle Savena, secondo lotto, anche detto Nodo di Rastignano? Qui i cantieri hanno già comportato l’abbattimento di migliaia di alberi nel Parco del Paleotto, come denunciato nell’autunno 2022 dalle associazioni.

Esttamente, il progetto della nuova Fondovalle in sostituzione della Futa, che attraversa Rastignano, è vecchio di 30 anni: prevede di scavalcare la strada del Paleotto, il torrente Savena e la Statale della Futa,  mettendo tre piloni sulla sponda sinistra, facendo passare la strada sopra al torrente con un ponte a campata unica, senza piloni in alveo. Una parte della strada del Paleotto è però crollata, divorata dal torrente in piena: ora il letto del fiume è più che raddoppiato e inoltre sono venuti alla luce dei muraglioni probabilmente rinascimentali ovvero dello stesso periodo del Ponte del Paleotto poco più a valle; muraglioni che sono ovviamente da tutelare. Questo ritrovamento ha dimostrato che l’alveo naturale è stato nel passato ben più largo, ed è stato (si è) nel tempo ristretto. Ora il fiume si è ripreso il suo letto e il progetto approvato e valutato vent’anni fa non è più possibile realizzarlo. Bisognerà necessariamente rivedere l’intero progetto. Che cosa vogliono fare Comune e Città Metropolitana di Bologna? Mettere i piloni nell’alveo o ricostruire la sponda? E’ evidente che tutto il progetto vada rivisto e sottoposto a una nuova VIA, quella esistente risale al 2008 ed è nei fatti invalidata. Forse dopo 30 anni la cosa più sensata è l’opzione zero. Per questa e per altre opere, non si può fare finta che non sia accaduto nulla. Ricordiamo che nel Piano di adattamento ai cambiamenti climatici del Comune di Bologna il Torrente Savena, nella zona a monte della Chiusa di San Ruffillo, viene indicato fra le aree soggette a rischio idraulico. Ora più che mai.

Purtroppo la Regione Emilia Romagna è ai primi posti come consumo di suolo in zone a rischio idraulico.

Certo, e questo nonostante ci sia la legge regionale 24/2017, che assume come obiettivo il consumo di suolo “a saldo” zero al 2050. Eppure dal 2018 a oggi abbiamo continuato a consumare suolo allo stesso ritmo degli anni precedenti, anche e soprattutto in aree a pericolosità idraulica. 19 ettari al giorno, 2 mq al secondo. Secondo i dati di Ispra, fra il 2020 e il 2021 (ovvero in un anno) si è consumato suolo (si è incrementato il consumo di suolo) per 78,6 ettari in aree a pericolosità elevata (ovvero allagabili con tempo di ritorno tra 20 e 50 anni), per 501,9 ettari in aree a pericolosità media (ovvero allagabili per eventi con tempo di ritorno tra 100 e 200) e per 548,3 ettari in aree a pericolosità bassa (ovvero allagabili con tempo di ritorno superiore a 200 anni). Ma ora sappiamo che i tempi di ritorno, con il cambiamento climatico in atto, saranno sempre più brevi.

La moratoria che chiedete vale solo per il Nodo di Rastignano?

Come Reca abbamo messo a punto una bozza di lettera, da inviare alle autorità -comprese, soprattutto, Autorità di Bacino e Protezione Civile- e invitiamo i comitati a chiedere la moratoria per tutte le opere che attraversino o costeggino corsi d’acqua, o che interessano pendii franati o a rischio frana. Dovrebbe essere scontato, ma purtroppo non è così.

La bretella Campogalliano Sassuolo, in progetto nel PRIT (Piano Regionale Integrato Trasporti) attraversa il Secchia e secondo le osservazioni di Legambiente andrebbe ad impattare le casse di espansione, zone umide e protette dove il fiume è libero di esondare e c’è molta biodiversità.  Poi c’è la tangenziale di Faenza, anche questa in progetto, che dovrebbe oltrepassare il Lamone, uno dei fiumi più pericolosi (per come è stato ristretto e canalizzato nel suo alveo), che ha letteralmente inondato Faenza. E tante altre opere…

L’elenco sarebbe lungo, in generale dobbiamo smetterla di cementificare ovunque ma soprattutto lungo i fiumi. Siamo pieni di strade, aumentano bretelle, passanti, poli logistici, condomini e nuove lottizzazioni residenziali e produttive. Quello che è successo in Romagna è emblematio. La nostra regione è il perfetto esempio di una geografia umana che non può resistere agli effetti di un clima sconvolto dalle emissioni di combustibili fossili. Antonello Pasini, climatologo e fisico del CNR, nel libro “L’equazione dei disastri” (Codice Edizioni, 2020) spiegava che il livello di rischio è dato dal prodotto fra la Pericolosità dell’evento stesso, la Vulnerabilità del territorio e l’Esposizione di persone o manufatti: R = P x V x E. Quando su un terreno con copertura naturale (in campagna o in una zona verde/parco) cadono delle precipitazioni meteoriche (cioè piove), circa il 50 % dell’acqua si infiltra nel suolo (in maniera superficiale o profonda), un 40 % evapotraspira dal suolo e dalle piante, e solo un 10 % defluisce in maniera orizzontale in superficie. Questo rapporto si capovolge nelle nostre città: si riduce l’infiltrazione (fino a un 15 %) e l’evapotraspirazione – perché c’è più cemento e asfalto e meno piante – e ben il 55 % dell’acqua piovuta defluisce orizzontalmente in superficie.

Come agire sui fiumi?

Il reticolo di fiumi è stato ingegnerizzato e canalizzato decenni fa, con argini sempre più alti, alvei stretti e rigidi. Un territorio bonificato, prima per guadagnare terra alle paludi e poi perché serviva sempre più spazio per costruire e per l’agricoltura. I nostri corsi d’acqua sono spesso pensili, cioè hanno il letto sopra il livello della pianura. Ai fiumi è stato tolto spazio, e quello spazio, quando avvengono eventi alluvionali, i fiumi se lo riprendono. Occorre quindi ripristinare aree di laminazione naturale delle piene, abbassando in certi punti gli argini e indennizzando gli agricoltori che potranno essere danneggiati dalle esondazioni, eliminare le coperture di cemento dai corsi d’acqua prima che lo facciano da soli (come ha fatto il torrente Ravone a Bologna). Occorrono più casse di espansione, che poi sono anche luoghi naturali, zone protette dove il fiume può esondare, ricche di biodiversià. Si devono spostare gli argini ovunque possibile, allontanare gli argini, rinaturalizzando le sponde ovunque è possibile farlo. Lo stesso piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (in corso di approvazione, si spera) non parla di dighe, né per la siccità né per le inondazioni. Ci opponiamo in particolare alla diga di Vetto (RE). Dobbiamo restituire spazio ai fiumi, non arginarli né bloccarli. E soprattutto smetterla di costruire nelle aree a rischio idraulico.

Gli ambientalisti vengono sempre definiti come disfattisti e “quelli del no”. Eppure come Reca e Legambiente avevate presentato alla Regione quattro proposte di legge di iniziativa popolare su consumo, acqua, energia e rifiuti, che fine hanno fatto?

Le abbiamo presentate nell’autunno passato con oltre 7000 firme, quando ne bastavano 5000, a testimoniare la grande partecipazione popolare. Ma la Regione, che aveva 6 mesi di tempo per la sua discussione in Commissione, non ha neppure iniziato a leggerle. Le proposte sono state portate in aula a inizio giugno, con il rischio che venissero bocciate senza neppure esaminarle. All’ultimo sono state rimandate in Commissione, che ora ha un anno di tempo per discuterle. Speriamo inizino presto, altrimenti è inutile parlare di partecipazione popolare, quando si ignorano le proposte concrete e ben studiate dei cittadini.

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