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Non sgomberare l’ex Masini. Assemblea 14 luglio: “Liberiamo Bologna dalle frontiere”
Appello sottoscritto da Mediterranea, Piazza grande, Arci, Famiglie accoglienti, Ya Basta, Centro Astalli, Cantieri meticci, Hayat, Comunità cristiana di base, Approdi, Portico della pace e Dialoghi che prende spunto dall’occupazione di H.O.Me. all’ex caserma Masini e affronta il tema dei tanti spazi abbandonati che in città potrebbero dare una risposta all’emergenza abitativa
“Come siamo da sempre contrari e contrarie alle frontiere blindate degli Stati nazionali che generano morte ai confini d’Europa, nello stesso modo – scrivono le associazioni – siamo per l’abbattimento delle frontiere interne alla nostra città. L’apartheid generato da un mercato immobiliare drogato dalla speculazione sta provocando sempre più un processo di espulsione abitativa. Se questo è sempre più vero per tutte e tutti noi, per chi viene inoltre da un percorso di migrazione diventa ancora più drammatico in quanto, oltre agli ostacoli del mercato, si trova anche a fronteggiare una discriminazione etnica. Persone che vengono accolte dalla città come forza lavoro ma a cui non si garantisce il diritto a una casa e quindi a una vera cittadinanza”. Continua l’appello: “Come è giusto portare i migranti su una nave al porto sicuro, talvolta non rispettando gli alt di chi vuol far valere la legge facendo accordi con la Libia, così riteniamo giusto aprire le porte di stabili abbandonati per dare un tetto a chi è escluso, seppur lavoratore e con capacità economica, spesso avendo un contratto indeterminato e lavorando nei settori del turismo o della logistica che fanno la ricchezza della nostra città. Siamo quindi solidali con le esperienze quali H.O.Me. all’ex Caserma Masini che hanno avuto il coraggio di praticare una forzatura, ne scongiuriamo lo sgombero e rivendichiamo la necessità della messa a disposizione di altri spazi abbandonati con la concessione di usi temporanei ai fini dell’enorme, e non più trascurabile nell’oggi, emergenza abitativa metropolitana”. Per questo “invitiamo singolx e realtà cittadine solidali a un’assemblea il 14 luglio alle ore 18 ad H.O.Me. nel Piazzale Irma Bandiera dell’ex Caserma Masini (via Orfeo 46) per discutere insieme di diritto alla città per tuttx”, si conclude l’appello.
appello su zic.it
Lo scioglimento di Soulèvements de la Terre. Cosa succede ora? Il soggetto politico sciolto, benché si tratti di un movimento senza una forma delimitabile come un partito o un’associazione, si trova di fatto bandito dallo spazio pubblico e “democratico”
A nostro parere – scrive la rivista online “Malamente” – la notizia dello scioglimento del movimento Souèvements de la Terre in Francia indica due importanti linee di tendenza anche per le lotte ecologiste nel nostro paese: 1) è possibile aumentare il livello di efficacia e l’impatto delle azioni contro le industrie ecocide e contro le grandi opere inutili a patto di dotarsi di un’alchimia organizzativa intelligente, generosa e coraggiosa, di cui abbiamo estremo bisogno anche in Italia. La tendenza è globale ed è necessario aprire maggiormente il dibattito nel nostro paese verso ciò che sta accadendo altrove; 2) gli stati democratici sono in difficoltà di fronte all’enorme contraddizione generata dalla crisi ecologica e fanno ricorso agli strumenti dell’antiterrorismo, alzando così il livello dello scontro in una direzione che era già prevista da numerose analisi e ricerche sul tema e che non deve sorprenderci. Per questo abbiamo deciso di tradurre e documentare quello che sta succedendo in Francia, anche perché pensiamo che nonostante la generosità estrema di tanti/e attivisti/e ecologisti/e che si impegnano quotidianamente nel nostro paese sia necessario uno scatto di creatività e di determinazione all’altezza della situazione drammatica che stiamo vivendo.
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Il lavoro part-time, una questione di genere. Un focus sull’Italia di Openpolis: Nel sud Italia è più basso il tasso di occupazione femminile
Il lavoro part-time, una questione di genere – La sottoccupazione è un fenomeno che colpisce maggiormente le donne rispetto agli uomini. Pur essendo mediamente più istruite, ad oggi in Ue le donne lavorano ancora meno degli uomini. A causa di pregiudizi sociali e culturali sui ruoli familiari, spesso sono costrette più dei loro colleghi maschi a scegliere occupazioni con meno ore, che permettano loro di dedicarsi principalmente alla cura della famiglia e della casa. Condizioni dettate da una forte disparità di genere che ancora incide in Europa. Il 4% delle donne in Ue svolge un lavoro part-time (2021). Una quota che nel caso degli uomini è pari invece ad appena l’1,8%. Il lavoro a tempo parziale ha quindi un’incidenza più che doppia tra le donne. Un dato che però varia ampiamente da paese a paese.
Un focus sull’Italia – Approfondendo la situazione interna al nostro paese, a livello regionale emerge una forte eterogeneità, da leggere con particolare attenzione. A un primo sguardo, vediamo che tra i lavoratori part-time l’incidenza femminile è maggiore al nord. 81,5% dei lavoratori part-time nella provincia autonoma di Bolzano sono donne (2021). In Trentino Alto Adige e Veneto più dell’80% dei lavoratori part-time sono donne. Nelle province autonome di Bolzano e Trento e in Veneto più dell’80% dei lavoratori part-time sono di sesso femminile. Seguono sotto questo aspetto la Valle d’Aosta (78,6%) e la Lombardia (77,2%). Mentre le cifre più basse si riscontrano in Calabria (55,4%), in Sicilia e in Campania (entrambe intorno al 60%).
Nel sud Italia è più basso il tasso di occupazione femminile – Ma bisogna tenere conto del fatto che l’occupazione è diversa nelle varie regioni e che ad esempio nel meridione è molto più elevato il tasso di inattività e molto più basso quello di occupazione, soprattutto tra le donne. Se anziché considerare il numero di donne sul totale dei lavoratori a tempo parziale analizziamo la composizione dell’occupazione divisa per genere, vediamo che in tutta Italia, in maniera praticamente invariata, la sottoccupazione è più marcatamente un fenomeno femminile. Circa il 24% di tutte le occupate ha infatti un impiego part-time, con variazioni minime a seconda della macroarea. Bisogna evidenziare che dati risultano in questo caso molto più elevati rispetto a quelli forniti da Eurostat perché questi ultimi consideravano la quota sul totale della forza lavoro allargata, che comprende disoccupati, occupati e inattivi (sia quelli disponibili ma non alla ricerca di un impiego che quelli alla ricerca ma non disponibili), laddove invece Istat considera soltanto gli occupati, siano essi dipendenti o indipendenti. Differenze geografiche maggiori sono invece riscontrabili tra gli uomini. Nella macroregione del nord-est l’incidenza del lavoro a tempo parziale è pari al 6,5%. Una cifra che invece al centro si attesta al 9,3% e al sud raggiunge il 10,3%.
si rinvia all’intero report Openpolis
Lavoro. Maledetto lavoro #1. Abolire l’odiato reddito, restaurare l’antica famiglia
Il “Decreto lavoro” è legge. Ma in che senso dovremmo parlare di un decreto lavoro? A ben guardare, di lavoro si parla molto poco in questo decreto, mentre si parla molto di sussidi, sgravi, crediti d’imposta, benefits; agendo di fatto senza trasformare di una virgola l’impianto normativo del mercato del lavoro. La misura simbolo del modo con cui questo governo intende punire e riportare all’ordine qualche milione di lavoratrici e di lavoratori, migranti e non, è infatti la cancellazione dell’odiatissimo Reddito di cittadinanza (Rdc). Essa dimostra che questo governo sta ostinatamente cercando di sottrarre quelle quote di potere sociale e di autonomia che le diverse forme di salario indiretto, seppur frammentate, avevano garantito durante la crisi della riproduzione sociale amplificata dalla pandemia. Lavoratrici e lavoratori sono ritenuti colpevoli di essersi più o meno sottratti durante la parentesi pandemica al comando del salario grazie a un welfare ritenuto eccessivamente generoso e che adesso va non solo ridimensionato, ma sempre più condizionato alla disponibilità di sottomettersi a un rapporto di lavoro. Il provvedimento cardine di questo decreto è senz’altro la sostituzione del Rdc con l’Assegno d’inclusione (Adi) e il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), una mossa che rende ancora più stringente quel circuito lavoro-formazione-welfare, differenziando però ulteriormente tra poveri “meritevoli” e non, mentre diminuisce la somma di denaro considerata sufficiente per riprodurre la propria forza-lavoro. E infatti, se il Rdc era rivolto a tutti i nuclei familiari secondo criteri di residenza e di reddito, l’Adi aggiunge come requisito la presenza nel nucleo familiare di almeno un minore, o un disabile, o un anziano con più di 60 anni d’età. In altri termini, il requisito della presenza di un “inoccupabile” nel nucleo familiare deve scongiurare la possibilità che i soldi ricevuti possano essere usati per rifiutare la dipendenza da un padrone.
leggi articolo approfondito su ConnessioniPrecarie
Autonomia Differenziata – Amato, Bassanini, Gallo e Pajno abbandonano il CLEP: «Non ci sono più le condizioni per una nostra partecipazione»
Ad abbandonare i lavori sono stati i due ex presidenti della Corte Costituzionale – Giuliano Amato e Franco Gallo – l’ex presidente del Consiglio di Stato – Alessandro Pajno – e l’ex ministro della Funzione Pubblica Franco Bassanini, i quali hanno espresso forti critiche non solo sui parametri per assicurare diritti civili e sociali, ma anche sulle materie da sottrarre alla devoluzione e, perfino, sulla marginalizzazione del potere legislativo, emersa quest’ultima allorquando è stata fatta esplicita richiesta «di consentire al Parlamento di definire preventivamente limiti alla negoziazione delle intese. Nella lettera di dimissioni scrivono i quattro: «Restiamo consapevoli dell’importanza che avrebbe per il Paese una completa e corretta attuazione delle disposizioni costituzionali ricordate», mostrando il senso di responsabilità istituzionale, dati i ruoli ricoperti in passato dalle eminenti personalità. Non a caso Adriana Pollice su il manifesto ci ricorda – in particolare – il ruolo rilevante avuto da Franco Bassanini. come ministro del “secondo governo Amato”, nel varo della riforma del titolo V della Costituzione, da cui – dobbiamo dire purtroppo – trae oggi la stura il secessionismo leghista con l’autonomia differenziata.
«Abbiamo apprezzato, caro Ministro – scrivono le sopracitate personalità –, alcune tue importanti affermazioni, in particolare allorché hai escluso trasferimenti di competenze in materia di norme generali sull’istruzione. Abbiamo anche apprezzato il fatto che Sabino Cassese abbia proceduto all’istituzione di un nuovo sottogruppo dedicato alla individuazione dei Lep nelle materie non ricomprese nel perimetro dell’art. 116 terzo comma». Tuttavia, precisano i nostri: «Prima dell’attribuzione di nuovi compiti e funzioni ad alcune Regioni con le corrispondenti risorse finanziarie, è necessaria la determinazione di tutti i Lep attinenti all’esercizio di diritti civili e sociali e la definizione del loro finanziamento secondo l’art. 119 della Costituzione». Occorre, quindi, che vengano individuati «i nuovi Livelli essenziali delle prestazioni per assicurare effettivamente il superamento delle disuguaglianze territoriali nell’esercizio dei diritti civili e sociali. Vi sono infatti materie nelle quali il legislatore non ha mai proceduto a determinare i Lep e molte altre nelle quali questa determinazione è stata parziale». Inoltre, non è mai stato fatto il lavoro di comparazione dei Lep con le risorse in modo da definire «quali livelli essenziali effettivamente sono assicurabili a tutti, senza discriminare nessuno o creare insostenibili oneri per la finanza pubblica». In sostanza una riforma siffatta non si può informare sul principio che l’autonomia differenziata sarà a costo zero, senza che da essa non derivino «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», giacché, così come scrivono i dimissionari del Clep: «Spettano al Parlamento le scelte fondamentali sull’allocazione delle risorse pubbliche. Il ricorso al criterio della spesa storica non risolve il problema perché riflette le disuguaglianze territoriali che la Costituzione mira a superare». Insomma registriamo l’ennesima bocciatura del ministro Calderoli dopo quelle rilevate dall’ Ufficio parlamentare di Bilancio(cfr.Pressenza), Banca d’Italia a Corte dei Conti.
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