L’attuale occupazione mediatica del calendario, susseguente a quella religiosa che assegnava uno o più santi per ogni giorno dell’anno, ha prodotto un altra forma di inflazione -quella delle “giornate mondiali” dedicate ad un tema specifico – in cui la parte più ricca dell’umanità cerca di mascherare la sua colpevole negligenza al resto del mondo. La retorica che accompagna queste celebrazioni – dalla giornata mondiale della Terra, dell’acqua, del clima o a quelle dedicate ai bambini, alle donne o ai migranti – è una insopportabile esibizione di buoni propositi che stridono con le condizioni reali dei temi o dei soggetti a cui si riferiscono.
Non sfugge a questa logica la giornata dell’Oceano, fissata per l’8 di giugno di ogni anno, che suscita in me una rabbia particolare, non fosse altro perché in un tempo lontano (quasi 60 anni fa) svolgevo attività di ricerca su una nave oceanografica. Ciononostante non starò qui a parlare delle condizioni generali di degrado in cui versano i mari (ambientalisti e scienziati non mancheranno di esporre le loro preoccupate considerazioni in occasione di questa giornata), ma dello svolgimento dell’ennesimo misfatto, in questo caso ai danni del mare, che si sta consumando sotto i nostri occhi, in nome della transizione energetica.
Accade che una vasta area del Pacifico settentrionale, pari a circa 4,5 milioni di Km² (una volta e mezza la superficie dell’India), situata tra l’arcipelago delle Hawaii e la costa del Messico, sia teatro di una intensa attività di ricerche oceanografiche. In questa area, conosciuta come Clarion-Clipperton Zone dal nome di due faglie che attraversano il fondo dell’oceano Pacifico da Est a Ovest, sono state scoperte oltre 5000 specie di organismi marini, finora sconosciuti, che vivono tra i 4000 e i 6000 metri di profondità.
Al momento la sola cosa che gli scienziati impegnati nelle ricerche sono riusciti a comunicare al mondo è il loro stupore per questa scoperta: vermi e artropodi, che costituiscono la maggior parte di queste specie (ma non mancano spugne, cetrioli di mare e coralli), testimoniano di quanto poco si sappia ancora della vita nei mari e, soprattutto, delle acque profonde la cui circolazione, tra l’altro, sovrintende sia all’assorbimento della CO2 dall’atmosfera, sia alla modulazione del clima.
Accade altresì che nella stessa area l’International Seabed Authority (ISA, Autorità internazionale per i fondali marini di cui fanno parte i più importanti stati del mondo, ma non gli USA), abbia concesso 16 licenze di sfruttamento minerario per altrettante aree di estrazione che assommano, approssimativamente, ad 1 milione di Km². Oggetto dello sfruttamento marino sono i “noduli polimetallici” (presenti anche nell’Oceano indiano), cioè composti minerali delle dimensioni di una patata o di un meloncino, formatisi in milioni di anni e giacenti sul fondo marino, particolarmente ricchi di nichel, cobalto, Terre Rare ed altri minerali indispensabili alla realizzazione della transizione energetica.
Accade infine che, in ossequio allo sviluppo sostenibile, l’ISA abbia costituito nella Clarion-Clipperton Zone, 9 aree di particolare interesse ambientale di 40.000 Km² ciascuna che, inframmezzandosi con le aree di sfruttamento (vedi mappa), dovrebbero mitigare le ricadute dell’attività estrattiva e preservare l’habitat naturale.
Niente di più perverso e ipocrita se solo si considera che per portare in superficie questi noduli, occorre dragare il fondo del mare, aspirare noduli e sedimenti marini (fango etc) per poi separarli, disperdendo in mare un residuo solido in quantità incalcolabili, attività che non può non coinvolgere le stesse aree protette.
Dunque la folle corsa alla transizione energetica, concepita pressochè esclusivamente come fuoriuscita dai combustibili fossili, predispone a ripetuti disastri, complice un pensiero ecologista che ne ignora le contraddizioni (estrattivismo, aumento della disuguaglianza sociale) in ciò ripercorrendo l’intera parabola descritta da Dario Paccino ne “L’imbroglio ecologico”: “Raggiunto l’accordo sulla natura, sul consumismo, sui costi, l’ideologia ecologica era pronta, come Cenerentola riscattata dal principe, ad indossare le più belle vesti del guardaroba del padrone”.1
Tale metafora è una azzeccata raffigurazione, secondo me, del declino dell’ecologia perché, nei cinquanta anni passati, è successo esattamente questo ed oggi, non essendoci più vesti a disposizione, l’ecologia si presenta spoglia di qualsiasi orpello distintivo.
Con oggi intendo, qui ed ora, la politica della transizione ecologica, il new green deal, presentato come soluzione globale ed unica per le sorti del pianeta che sta impietosamente naufragando sugli scogli delle compatibilità economiche e degli assetti geopolitici di monsieur le capital.
Per rendersene conto basta leggere l’ultimo documento firmato dalla Fiom e dalle maggiori organizzazioni ambientaliste italiane dal titolo “Alleanza clima lavoro”2 dove si fa un panegirico della mobilità elettrica, con in testa l’automobile, simbolo, una volta, del più bieco capitalismo e del mezzo di trasporto più atomizzante e discriminante che si potesse immaginare, per non parlare del trasporto merci, per il quale si chiede una tempestivo passaggio all’elettrificazione, non su ferrovia, ma su gomma.
Neppure l’urgenza a far presto (Siamo ancora in tempo!) derivata dagli enigmatici calcoli IPCC degli ultimi dieci anni sulla temperatura media terrestre e fatta propria da molti movimenti ambientalisti, ha più ragione di essere, dal momento che l’ultima pubblicazione di questo organismo intergovernativo ( IPCC’s Six Assessment Report -AR6, del 2023)3 smentendo tutti i precedenti rapporti, prevede che entro il secolo l’aumento della temperatura media della Terra supererà la fatidica soglia di 1,5-2°C. Previsione che, come le precedenti che spronavano a far presto, è frutto di simulazioni a dir poco ottimistiche dato che nei punti più critici del pianeta (maggiormente collocati nell’emisfero Nord) le rilevazioni effettive della temperatura, da 20 anni a questa parte, mostravano aumenti di carattere esponenziale perché, in definitiva, causati da fenomeni con feed-back positivo come la diminuzione dell’albedo (potere riflettente) dovuto allo scioglimento dei ghiacci, che a sua volta innalza il livello dei mari accelerando il fenomeno dello scioglimento.
Il messaggio esplicito di questo ultimo rapporto IPCC è che gli effetti dei cambiamenti climatici potranno essere mitigati (ma non eliminati) dalla transizione energetica per cui occorrerà predisporre politiche di adattamento, ricorrendo anche ai magheggi della geo-ingegneria o dell’ agro-ingegneria (per chi se le potrà permettere) di modo che questo sistema mondo, basato su produzione e consumo illimitato di merci, possa seguitare a funzionare.
L’ecologia dell’equo e sostenibile profitto è bella che pronta e se sarà necessario dragare gli oceani o fare buchi sulla luna per ottenere i minerali necessari alla transizione energetica pazienza: al massimo si spargerà un po’ di polvere nello spazio e qualche pesce morirà, ma l’ecologia -siatene certi – non ne risentirà.
1L’imbroglio ecologico, Dario Paccino – Einaudi, 1972
2https://sbilanciamoci.info/wp-content/uploads/2023/04/Documento-Alleanza-Clima-Lavoro_def.pdf
3https://report.ipcc.ch/ar6syr/pdf/IPCC_AR6_SYR_SPM.pdf