Giovedì 22 giugno con un drappello di ciclisti guidati da Paola Gianotti, la detentrice del guinness dei primati per il più veloce giro del mondo in bici, siamo partiti da Santhià per dire a tutti che è preferibile avere migliaia di persone che vengono a camminare piuttosto che un camino che produce fumi e ceneri da rifiuti industriali.
A metà anni ottanta ci fu una fortunatissima trasmissione di Arbore in cui Massimo Catalano diceva cose tipo: “È molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati” . Sembrano ovvietà ma facevano ridere.
Non fa ridere per niente invece che l’ovvietà che sia meglio un cammino di un camino di un inceneritore faccia così fatica a essere compresa, almeno da chi persevera nel riproporre l’inceneritore a Cavaglià.
Facciamo del sarcasmo, ma la questione è seria.
Dopo che per molti anni ci si occupa di una questione si tende a tralasciare i fatti salienti, a pensare che tutti sappiano, ma non è cosi ed invece è importante ricordarli.
L’area di cui stiamo parlando è compresa tra il vercellese, il biellese e il canavese e viene chiamata Valledora. Geologicamente fu la zona limite del Ghiacciaio Balteo, quello che nel Quaternario, con i suoi movimenti, formò l’Anfiteatro Morenico d’Ivrea. La Valledora fu parte dell’antico alveo della Dora Baltea. Questa storia geologica la caratterizza nella sua conformazione e, tra i lasciti, vi è la presenza di ottima ghiaia da fondale. Fu così che la Valledora diventò un luogo di estrazione di materiale per l’edilizia.
Tanti buchi nel sottosuolo per estrarre ghiaia, buchi da riempire poi con i rifiuti … forse Catalano non lo direbbe, ma La Palice sì.
Abbiamo fatto, con poche frasi, un salto temporale di milioni di anni e siamo arrivati negli anni ‘80 del ‘900. Esattamente quando tutto sembrava che non dovesse mai cambiare, tanto che pareva di essere in un eterno presente che capire non sai, che si potesse bere l’amaro della città da bere all’infinito, che fosse tutto semplice anzi c’est plus facile e, se non sbaglio, c’era anche un uomo del monte che diceva sempre sì. Ecco, invece, in Valledora quell’uomo ha detto no, almeno dagli ‘80 in poi.
Prima delle escavazioni, prima delle discariche, la Valledora era coltivata a frutta, proprio per le proprietà del terreno derivanti dalla particolarità della conformazione, si potevano produrre ottime mele e pesche. Oggi è rimasto qualche produttore che eroicamente resiste, ma la maggior parte delle coltivazioni di frutta sono state sostituite da discariche, cave e ancora discariche. Una di queste, Alice2, perde percolato.
Ah! Tra l’altro l’area è anche una zona di ricarica delle falde acquifere.
Si insediarono anche alcune industrie. Nell’area industriale di Cavaglià trovate ora principalmente la Life Company A2A, con il polo tecnologico di trattamento dei rifiuti e la Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano, e la Polynt, una multinazionale della chimica. A2A fa il trattamento della plastica. Arrivano i camion con la differenziata di quel materiale. Riescono a mandare al riciclo una piccola parte di tutti i tipi di plastica che gli arrivano, il resto è da bruciare (almeno il 50%) o da stoccare in discariche -preferibilmente all’estero. La Polynt (ex Chemial) è una multinazionale che fa esteri, basi per ulteriori prodotti chimici. Ci ho lavorato 4 anni della mia vita, ma questa è un’altra storia.
L’industria più interessante, per dimensione e tipologia di produzione, fu la Zincocelere. Una fabbrica di circuiti stampati, inizialmente indotto Olivetti, che dava lavoro a 500 persone fino a metà anni ’90.
Poi andò a gambe all’aria in meno di un decennio.
Proprio sull’area della “Zinco” – così si chiama in zona – la Life Company vuole realizzare un inceneritore. Ora, possiamo disquisire di nomi e funzioni e dissertare sulla differenza tra inceneritore e termovalorizzatore, ma il fatto resta: su un’area già compromessa, che sarebbe solo da bonificare, si vuole sommare al rischio ambientale presente un altro bel rischio. Come scrivemmo in un altro articolo citando il grande Totò: E’ la somma che fa il totale!
L’elenco che fa il Movimento Valledora è impietoso. Nel volgere di pochi chilometri abbiamo a Cavaglià numerose attività di cavazione inerti con cave in essere e con ripristini in larga parte disattesi, un impianto di bioessicazione di RSU, una discarica per rifiuti urbani (ASRAB) e una per i rifiuti Speciali (A2A Ambiente) entrambe esaurite, un impianto di selezione della plastica (A2A Ambiente), un impianto di produzione CSS (A2A Ambiente), un impianto di trattamento della frazione organica da rifiuti solidi urbani (FORSU) con produzione di bio-metano e compost, una discarica per rifiuti inerti. Troviamo ad a Alice Castello due discariche per rifiuti urbani e assimilabili che, a tutt’oggi, rilasciano percolato nel sottosuolo, una bonifica realizzata con rifiuti finalizzata alla bonifica delle precedenti, una discarica per rifiuti inerti. Invece a Santhià abbiamo una cava recentemente ampliata e a Tronzano Vercellese varie cave di cui una raggiunge la profondità di – 47 metri dal piano campagna. Infine a a Borgo D’Ale c’è una bella discarica di materiale inerte.
Sembra che tutta la spensieratezza degli anni ‘80 si sia concentrata in questi pochi km2.
Miracolosamente – o forse no – l’area la stanno riqualificando due cammini.
La Via Francigena, ovvero quella strada che, ripercorrendo le tappe di Sigerico, conduce i viandanti da Canterbury fino a Roma, ma anche più giù fino a Santa Maria di Leuca. Il tratto piemontese passa proprio dalla Valledora, esattamente percorre i sentieri tra Cavaglià e Santhià.
Alberto Conte, esperto di cammini e di strategie per il turismo a piedi e in bicicletta, quando vide questa zona e le potenzialità che avrebbe potuto avere – e che ha – come porta verso il Biellese e il Canavese, si è messo di buzzo buono a tracciare un itinerario per valorizzare tutte le peculiarità presenti in questi tre territori.
Ha definito la prima tappa percorrendo in senso inverso la Via Francigena, partenza da Santhià e arrivo a Roppolo; da lì su, attraversando la Serra Morenica più lunga d’Europa, verso Magnano e poi Torrazzo. Poi si sale ancora più su fino a Graglia, dove si incontra un primo Santuario, precedente a quello dell’arrivo, ovvero il maestoso Santuario di Oropa. Un percorso semplice, in 4 tappe di 16 km, che porta le persone dai paesaggi di pianura fino a quelli montani.
Beh, questo Cammino è passato da 300 passaggi nel 2019 a 3.300 nel 2022. E la tendenza del 2023 sta andando verso un raddoppio dei risultati dell’anno precedente. Che cosa significa questo per il territorio? Vuol dire generare microeconomia, iniziarne la riqualificazione, attraversare i paesi unendoli con i sentieri, costruire coesione territoriale. E’ anche la premessa per altre forme di valorizzazione, non solo forme di turismo lento, ma anche di agricoltura sostenibile. Portare turisti orientati al viaggio lento e al rapporto con la natura significa avere una potenziale domanda per prodotti agricoli naturali e biologici.
Ora, tornando alle domande di Catalano: è meglio riqualificare una zona con un cammino di successo o dequalificarla con un camino che emette fumi e produce ceneri da rifiuti industriali che si definiscono non pericolosi?
Giovedì eravamo in una dozzina a girare video a camminatori, produttori locali e abitanti per dire: Si al Cammino, No al camino. Un drappello, come dicevo in apertura di questo scritto, per iniziare di nuovo – in piemontese si dice torna – delle azioni di attivismo mediatico, per convincere tutti dell’ovvio, per cambiare la narrazione – e la realtà – di un territorio.
Quello che vi proponiamo è un primo video prova con alcune delle riprese che abbiamo fatto. Nei prossimi giorni, mesi, anni, insomma fino a quando non convinceremo tutti, anche il proponente, che la Valledora ha già dato e merita un altro futuro, persevereremo con il nostro mediattivismo.
Buona visione, seguiteci e condividete. Grazie a tutti e grazie Paola!
#noinceneritoreacavaglià
https://www.youtube.com/shorts/2T4UOUfNzdg